Ricordate l’esultanza di Enrico “palle d’acciaio” Letta che solo qualche settimana fa si intestava lo strepitoso (?) quanto presunto successo della politica economica italiana? Ricordate il tono stentoreo con cui il premier ammoniva che “di sola austerity si muore?” e che ora l’Europa è attesa ad un cambio di passo capace di farle imboccare la strada della crescita? Ricordate lo stesso presidente del Consiglio rivendicare vincoli di bilancio più flessibili di quelli pretesi e imposti dall’oligarchia monetarista che governa l’Ue per nome e per conto delle grandi banche?
Beh, dimenticatevi tutto ciò. Non vi sarà nessun ripensamento, nessuna inversione di tendenza e, tantomeno, nessuna alba radiosa.
Ci ha pensato il ministro Saccomanni, nell’odierna, lunga intervista concessa a Massimo Giannini per la Repubblica, a chiarire lo stato reale delle cose. Non che il titolare dell’Economia sia stato avaro di lodi verso se stesso e verso il governo. Anzi. Anche lui, in linea con la moda corrente, si è accreditato come primattore di una politica che grazie al rigore dimostrato “è stata premiata dai mercati” (l’assalto alla diligenza cui si è assistito nell’ultimo scorcio di attività parlamentare è un peccatuccio veniale…e poi in futuro non si cadrà più in fallo). Dunque, se è così, se questa strategia ha fatto tornare lo spread al livello 200, perché mai si dovrebbe cambiare?
Il povero Giannini dev’essere stramazzato, se a questo punto dell’intervista ha sentito il bisogno di chiedere al ministro se non si rendesse conto della distanza “fra le rappresentazioni mediatiche del Palazzo e le condizioni reali del Paese”. Ma Saccomanni ha proseguito, imperturbabile, a dipingere un futuro roseo. Le cose, per lui, volgono al meglio e il 2014 (altra promessa che, come tutte le altre, non costa nulla) sarà l’anno in cui diminuiranno le tasse e si riscuoterà il dividendo di una strategia tanto virtuosa. Ma intanto le tasse aumentano, per l’effetto cumulativo di Tasi, Tuc, Tari, più la facoltà concessa ai comuni di metterci sopra un uno per mille.
E su cosa si fonda, concretamente, l’ottimismo così fortemente palesato? semplice: sulla perfetta continuità delle politiche sin qui adottate. In primo luogo su un ulteriore taglio della spesa pubblica di 32 miliardi da qui al 2016. Di quali ingredienti sia stato nel passato composto questo taglio abbiamo chiara nozione: pensioni, salari, servizi sociali e istruzione, innanzitutto. Più un colpo sotto la cintura ai diritti individuali e colletivi dei lavoratori, giusto per rendere il più possibile irreversibile quella china.
E’ la terapia greca, senza sconti, quella che il dottor salasso vuole si continui a praticare con passo sicuro e scrollandosi di dosso velleità di interpretazioni men che ortodosse dei patti europei. Che per Saccomanni vanno applicati alla lettera, visto che “non esiste una maggioranza di Paesi dell’Unione che vada nella direzione di un allentamento del Patto di stabilità. Ne dobbiamo prendere atto. Del resto – aggiunge lapidario – noi stessi abbiamo introdotto in Costituzione il pareggio di bilancio”. Come si vede, Saccomanni non usa giri di parole. Lui tiene a non lasciare ombra di dubbio circa la possibilità che si possa tornare a finanziare in deficit qualsivoglia progetto di sviluppo: ”Gli altri Paesi e l’Italia possono fare pressione sull’Europa perché faccia di più sulla disoccupazione. Ma sui vincoli di bilancio il 3% non è in discussione”, pena “la perdita di autonomia nella gestione dei nostri conti”. Inutile, dunque, prendersi la pena anche solo “di andare a Bruxelles a battere i pugni sul tavolo, come troppo spesso sento dire”. In altre parole, il perimetro entro cui i paesi (un tempo) sovrani possono agire ha l’ampiezza di un fazzoletto e il commissariamento di fatto è introiettato come un dogma inaggirabile.
Ma se la spinta a creare nuova occupazione non potrà venire dall’intervento della mano pubblica, chi e come potrà frenare la ruzzola che sta cancellando ogni speranza per almeno due generazioni?
L’ultima domanda dell’ormai stremato Giannini riguarda proprio la politica industriale e la latitanza del governo su asset di cruciale importanza come Mps, Telecom, Alitalia, Fiat: ”Possibile che non abbiate nulla da dire?, chiede al suo interlocutore l’esterrefatto vicedirettore di Repubblica. No, Saccomanni non ha proprio nulla da dire. Se non che “il coinvolgimento del governo in questi processi richiede molta cautela”. In particolare nei confronti delle aziende private “sulle quali il governo non ha alcuna voce in capitolo”. Per capirci, “bando alle velleità nazionalizzatrici”. E ci mancava… Siamo al laissez faire sponsorizzato dalla premiata ditta Alesina&Giavazzi che sul Corriere di ieri sfornava tutto il proprio consueto repertorio e tornava a chiedere tagli immediati alle spese per una ventina di miliardi.
Pensate, per il duo più ipermercatista che ci sia Saccomanni è solo “chiacchiere e distintivo”.
A completare il quadretto c’è infine Matteo Renzi con il suo favoloso Job act, di cui abbiamo già detto, su queste colonne, tutto il male possibile.
E il sindacato? Il letargo artico continua.
Beh, dimenticatevi tutto ciò. Non vi sarà nessun ripensamento, nessuna inversione di tendenza e, tantomeno, nessuna alba radiosa.
Ci ha pensato il ministro Saccomanni, nell’odierna, lunga intervista concessa a Massimo Giannini per la Repubblica, a chiarire lo stato reale delle cose. Non che il titolare dell’Economia sia stato avaro di lodi verso se stesso e verso il governo. Anzi. Anche lui, in linea con la moda corrente, si è accreditato come primattore di una politica che grazie al rigore dimostrato “è stata premiata dai mercati” (l’assalto alla diligenza cui si è assistito nell’ultimo scorcio di attività parlamentare è un peccatuccio veniale…e poi in futuro non si cadrà più in fallo). Dunque, se è così, se questa strategia ha fatto tornare lo spread al livello 200, perché mai si dovrebbe cambiare?
Il povero Giannini dev’essere stramazzato, se a questo punto dell’intervista ha sentito il bisogno di chiedere al ministro se non si rendesse conto della distanza “fra le rappresentazioni mediatiche del Palazzo e le condizioni reali del Paese”. Ma Saccomanni ha proseguito, imperturbabile, a dipingere un futuro roseo. Le cose, per lui, volgono al meglio e il 2014 (altra promessa che, come tutte le altre, non costa nulla) sarà l’anno in cui diminuiranno le tasse e si riscuoterà il dividendo di una strategia tanto virtuosa. Ma intanto le tasse aumentano, per l’effetto cumulativo di Tasi, Tuc, Tari, più la facoltà concessa ai comuni di metterci sopra un uno per mille.
E su cosa si fonda, concretamente, l’ottimismo così fortemente palesato? semplice: sulla perfetta continuità delle politiche sin qui adottate. In primo luogo su un ulteriore taglio della spesa pubblica di 32 miliardi da qui al 2016. Di quali ingredienti sia stato nel passato composto questo taglio abbiamo chiara nozione: pensioni, salari, servizi sociali e istruzione, innanzitutto. Più un colpo sotto la cintura ai diritti individuali e colletivi dei lavoratori, giusto per rendere il più possibile irreversibile quella china.
E’ la terapia greca, senza sconti, quella che il dottor salasso vuole si continui a praticare con passo sicuro e scrollandosi di dosso velleità di interpretazioni men che ortodosse dei patti europei. Che per Saccomanni vanno applicati alla lettera, visto che “non esiste una maggioranza di Paesi dell’Unione che vada nella direzione di un allentamento del Patto di stabilità. Ne dobbiamo prendere atto. Del resto – aggiunge lapidario – noi stessi abbiamo introdotto in Costituzione il pareggio di bilancio”. Come si vede, Saccomanni non usa giri di parole. Lui tiene a non lasciare ombra di dubbio circa la possibilità che si possa tornare a finanziare in deficit qualsivoglia progetto di sviluppo: ”Gli altri Paesi e l’Italia possono fare pressione sull’Europa perché faccia di più sulla disoccupazione. Ma sui vincoli di bilancio il 3% non è in discussione”, pena “la perdita di autonomia nella gestione dei nostri conti”. Inutile, dunque, prendersi la pena anche solo “di andare a Bruxelles a battere i pugni sul tavolo, come troppo spesso sento dire”. In altre parole, il perimetro entro cui i paesi (un tempo) sovrani possono agire ha l’ampiezza di un fazzoletto e il commissariamento di fatto è introiettato come un dogma inaggirabile.
Ma se la spinta a creare nuova occupazione non potrà venire dall’intervento della mano pubblica, chi e come potrà frenare la ruzzola che sta cancellando ogni speranza per almeno due generazioni?
L’ultima domanda dell’ormai stremato Giannini riguarda proprio la politica industriale e la latitanza del governo su asset di cruciale importanza come Mps, Telecom, Alitalia, Fiat: ”Possibile che non abbiate nulla da dire?, chiede al suo interlocutore l’esterrefatto vicedirettore di Repubblica. No, Saccomanni non ha proprio nulla da dire. Se non che “il coinvolgimento del governo in questi processi richiede molta cautela”. In particolare nei confronti delle aziende private “sulle quali il governo non ha alcuna voce in capitolo”. Per capirci, “bando alle velleità nazionalizzatrici”. E ci mancava… Siamo al laissez faire sponsorizzato dalla premiata ditta Alesina&Giavazzi che sul Corriere di ieri sfornava tutto il proprio consueto repertorio e tornava a chiedere tagli immediati alle spese per una ventina di miliardi.
Pensate, per il duo più ipermercatista che ci sia Saccomanni è solo “chiacchiere e distintivo”.
A completare il quadretto c’è infine Matteo Renzi con il suo favoloso Job act, di cui abbiamo già detto, su queste colonne, tutto il male possibile.
E il sindacato? Il letargo artico continua.
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