giovedì 9 ottobre 2014

Come ladri nella notte: Jobsact, la sinistra Pd vota la 24° fiducia a Renzi.


Con il voto di questa notte del Senato al Jobs act, il governo Renzi incassa la sua ventiquattresima fiducia. Dal giorno della sua nascita, tre al mese. Non c’è male per il “rottamatore” che vuole cambiare l’Italia no? Le prime due fiducie, quelle programmatiche, il Governo Renzi le aveva ottenute il 25 febbraio scorso. E via così, fidando su un partito che non si smentisce, sistematicamente mai! Deve essere per questa incallita abitudine che ieri, nonostante le minacce di sfaceli, alla fine anche Walter Tocci, oppositore del Jobsact, alla fine ha votato la fiducia e si è dimesso: l’unico. Un bilancio amaro, certamente per chi ha tentato da dentro il Pd di contrastare il cammino di Renzi.

Il dissenso ha preso forma, nel documento, presentato direttamente alla stampa a Palazzo Madama e preparato in maniera "estemporanea" che vanta 36 firme tra i democrat: 27 sono i senatori, tutti, pressoche', firmatari degli emendamenti della minoranza Pd alla legge delega; 9 sono invece i deputati, tutti membri della Direzione. Tra questi ultimi spiccano due membri della segreteria Dem, Micaela Campana e Enzo Amendola, i bersaniani D'Attorre e Zoggia, l'ex segretario Epifani e uno dei Democrat piu' oltranzisti nel dissenso anti-renziano come Stefano Fassina. Tutta gente che in molti casi, come Epifani, ha avuto un andamento ondivago e che ora tenta di ricrearsi una verginità. Non c'e' solo Area Riformista nel gruppo; ma manca il nome di Pier Luigi Bersani e manca quel Pippo Civati che da tempo si pone all'estremo opposto del renzismo, tanto che ieri sera, sono stati almeno due i senatori civatiani - Casson e Ricchiuti – a uscire dall'Aula al momento del voto di fiducia. E sul punto il messaggio del documento e' chiaro: "non e' nella nostra natura non votare la fiducia a un Governo Pd ma ora il testimone passa alla Camera, dove ci batteremo con determinazione per passi avanti". Passi avanti? Alla Camera il Governo dorme sonni tranquilli. E in quanto ai cosiddetti miglioramenti c’è da mettersi le mani nei capelli. Mancano, ad esempio adeguate garanzie "sull'invasivita' dei controlli" (video) e manca, soprattutto, "la parte riguardante le tutele nei casi dei licenziamenti disciplinari". Ma il documento del dissenso va oltre il merito del Jobs Act, con "un giudizio non positivo" su un ricorso alla fiducia che stoppa il dibattito, manifesta "le difficolta' e le debolezze del Governo" e "non potra' essere riproposto alla Camera". Concetto letteralmente ribadito da un altro 'big' della sinistra Pd, Gianni Cuperlo. E invece è questo che accadrà.
La tensione, al Nazareno, resta insomma alta e rischia di invadere l'Aula di Montecitorio. Civati accusa il Pd di fare "la cosa piu' di destra" della sua storia ed evoca dimissioni tra senatori.

"Non sono indifferente alla responsabilita' di rispettare le decisioni prese dal mio partito- dice Walter Tocci- e neppure alla responsabilita' del rapporto di fiducia tra la mia parte politica e il governo. Sono altresi' consapevole che i margini di maggioranza al Senato sono piuttosto esigui e non ho alcuna intenzione di causare una crisi politica". "Anche se ho sempre sostenuto- spiega- che l'alleanza tra partiti di destra e di sinistra dovesse essere a tempo e non per l'intera legislatura. Sarebbe meglio per tutti se la prossima primavera si tornasse a votare per formare un governo con un chiaro e determinato mandato elettorale. Ma, ripeto, questo non posso e non voglio deciderlo io. Saranno le massime autorita' istituzionali a definire i tempi della legislatura".

Sulla vicenda è intervenuto il segretario del Prc Paolo Ferrero: "Come ladri nella notte voteranno la fiducia su una delega che lascia mano libera al governo nella demolizione dei diritti dei lavoratori - scrive Ferrero in una nota - un atto che si pone contro la nostra Costituzione. Se il parlamento voterà la fiducia sul jobs act abdicherà la propria funzione e cederà tutti i poteri all'esecutivo, a questo governo che obbedisce alla Merkel".
 
Articolo 18, la delega in bianco è incostituzionale
di Piergiovanni Alleva
Il governo pone all’approvazione del Senato, ricat­tato dal voto di fidu­cia, un dise­gno di legge delega in mate­ria di lavoro ulte­rior­mente peg­gio­rato rispetto alla pro­po­sta ori­gi­na­ria. È un testo squi­li­brato, ipo­crita e inco­sti­tu­zio­nale per­ché con­tiene una disci­plina inu­til­mente det­ta­gliata di argo­menti minori, come per­messi paren­tali e fun­zio­na­mento dei Cen­tri per l’impiego, ma lascia totale mano libera all’esecutivo sui temi essen­ziali del pre­ca­riato, delle garan­zie nel rap­porto di lavoro e degli ammor­tiz­za­tori sociali.
Infatti nes­sun con­tratto pre­ca­rio viene abo­lito e sul tema fon­da­men­tale dell’articolo 18 per il momento si tace, ma poi ci si riserva di inter­ve­nire diret­ta­mente, ovvia­mente in senso puni­tivo, nei decreti dele­gati, ossia al di fuori di qual­siasi con­trollo e voto del par­la­mento. Allo stesso modo il governo si riserva di rego­lare a suo arbi­trio, nei decreti dele­gati, l’indennità di disoc­cu­pa­zione e ciò che resta della cassa integrazione.
Que­sto modo di pro­ce­dere è inco­sti­tu­zio­nale per­ché l’articolo 76 della Costi­tu­zione sta­bi­li­sce invece, a garan­zia della cen­tra­lità del par­la­mento, che la legge delega debba fis­sare essa stessa, con riguardo all’emanazione dei suc­ces­sivi decreti dele­gati, i cri­teri diret­tivi, che non pos­sono in nes­sun modo essere sur­ro­gati da ordini del giorno o da prese di posi­zione in sede poli­tica. Ove il capo dello Stato pro­mul­gasse quindi que­sta legge delega voluta dal governo, vio­le­rebbe lui stesso la Costituzione.
Una pre­ci­sa­zione, poi, è oppor­tuna e neces­sa­ria: non è suf­fi­ciente in una legge delega evo­care dei titoli e dei temi come potreb­bero essere la disci­plina della cassa inte­gra­zione o dei licen­zia­menti o dei tra­sfe­ri­menti, senza indi­care anche in quale dire­zione devono andare le future modi­fi­che nor­ma­tive. Affer­mare ad esem­pio come dice la delega che il governo è auto­riz­zato a fare un decreto sull’ambito di appli­ca­zione della cassa inte­gra­zione signi­fica pur sem­pre dare una delega in bianco per­ché non si com­prende se quell’ambito di appli­ca­zione debba essere allar­gato o al con­tra­rio ristretto rispetto alla situa­zione attuale.
Così non baste­rebbe dire che il governo è auto­riz­zato a sta­bi­lire una nuova disci­plina delle san­zioni per i licen­zia­menti ille­git­timi se non si dice per quale tipo di licen­zia­mento e con quale tipo di san­zione, se mone­ta­ria, di rein­te­gra o ambe­due. Que­sta quindi è la pro­fonda ipo­cri­sia nel maxie­men­da­mento alla legge delega, quella cioè di met­tere l’uno vicino all’altro cri­teri diret­tivi effet­tivi per gli argo­menti di minore impor­tanza e invece dei meri titoli per quelli dav­vero deci­sivi onde con­sen­tire poi al governo di legi­fi­care a suo avviso.
Que­sto modo di pro­ce­dere è già stato stig­ma­tiz­zato dalla Corte costi­tu­zio­nale e porta a pre­ve­dere un’impugnazione siste­ma­tica dei decreti ema­nati non già sulla base di cri­teri diret­tivi ma con rife­ri­mento a un sem­plice «titolo». Que­sta cri­tica di fondo non toglie che comun­que il maxie­men­da­mento pre­veda anche alcune dispo­si­zioni più pre­cise e spo­ra­di­che, comun­que pes­sime, e ci rife­riamo in par­ti­co­lare a una cosid­detta nuova disci­plina delle man­sioni che fini­rebbe col ren­dere lecito il deman­sio­na­mento e dun­que il mob­bing, con l’alibi ricat­ta­to­rio della sua neces­sità per ragioni orga­niz­za­tive che in defi­ni­tiva lo stesso impren­di­tore definirebbe.
Viene altresì legit­ti­mata, sotto un’apparenza tec­ni­ci­stica, l’attività di con­trollo ossia di spio­nag­gio a carico del lavo­ra­tore. Con riguardo agli ammor­tiz­za­tori sociali la nuova inden­nità di disoc­cu­pa­zione di cui non è spe­ci­fi­cata né la durata né gli importi rispon­de­rebbe comun­que a un cri­te­rio asso­lu­ta­mente errato e cioè a quello della pro­por­zio­na­lità della durata dell’integrità all’anzianità di lavoro pre­ce­den­te­mente matu­rata. Que­sto signi­fica che l’annunciata appli­ca­zione dell’indennità di disoc­cu­pa­zione anche ai rap­porti pre­cari si ridur­rebbe a una sorta di bur­letta per­ché a una breve durata del con­tratto cor­ri­spon­de­rebbe una ancora più breve durata dell’indennità di disoccupazione.
Infine c’è l’ambiguità più grave e peri­co­losa che riguarda i con­tratti a tutela pro­gres­siva di futura intro­du­zione e il dilemma è que­sto: tutto quello che si dice e si pole­mizza circa l’abolizione o quasi abo­li­zione della rein­te­gra nel posto di lavoro in caso di licen­zia­mento ille­git­timo riguar­de­rebbe solo que­sti nuovi futuri con­tratti o tutti i rap­porti già in essere come è acca­duto con la legge Fornero?
Non c’è dav­vero da fidarsi per­ché la legge delega con­tiene una super­norma in bianco che è quella della reda­zione di un testo orga­nico «sem­pli­fi­cato» di disci­plina dei vari tipi di con­tratto e al suo interno potrebbe esservi dav­vero di tutto, a comin­ciare dall’eliminazione della rein­te­gra anche per i milioni di lavo­ra­tori che attual­mente godono di tale garanzia.
La vigi­lanza non è dav­vero mai troppa quando si ha a che fare con per­sone abi­tuate a dire e disdire, pro­met­tere e non man­te­nere, come il pre­si­dente Renzi. Con lui non si può mai essere «sereni».

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