IL
CASO DI ROMA DIMOSTRA CHE IN ITALIA È POSSIBILE LICENZIARE ECCOME. NEL
2013 LA MOBILITÀ È AUMENTATA DEL 39%. SECONDO L’OCSE LA PROTEZIONE DEGLI
OCCUPATI È IN CADUTA LIBERA.
I
182 licenziamenti annunciati dall’Opera di Roma dimostrano quanto la
polemica sull’articolo 18 sia strumentale. In Italia, infatti,
licenziare è possibile. La vicenda dell’Opera, così, potrebbe essere
riassunta nell’articolo 18: “Licenzia quando vuoi, come vuoi, quanto
vuoi”. A ogni difficoltà economica, prima di ogni ristrutturazione
importante, le aziende possono infatti mandare via i lavoratori in
eccesso.
LA
LEGGE che consente il meccanismo infernale, quella invocata dal
Consiglio di amministrazione dell’Opera, è la 223 del 1991 applicabile
per motivi di crisi, di ristrutturazione aziendale o di chiusura
dell’attività nelle aziende sopra i 15 dipendenti. L’azienda, in questo
caso, deve informare le rappresentanze sindacali, rivolgersi alla
Direzione provinciale del lavoro e specificare i motivi che hanno
portato alla decisione del licenziamento. Indicare, poi, le misure con
cui intende ridurre l’impatto di tali licenziamenti.
I sindacati, entro sette giorni, hanno la facoltà di esaminare la
richiesta e tentare di trovare un accordo, con il quale si possono
individuare, sulla base della legge, i criteri del licenziamento. Questa
prima fase può durare 45 giorni al massimo dopo la quale si apre una
seconda fase, presso la Direzione provinciale del lavoro che,
a sua volta, dura al massimo 30 giorni. Ci sono quindi 75 giorni per
concludere la vicenda romana. Una volta definite le procedure di
licenziamento, occorre individuare i criteri con cui licenziare i
lavoratori .
La legge 223 stabilisce alcuni paletti: i carichi di famiglia,
l’anzianità del lavoratore, le esigenze tecniche, produttive e
organizzative dell’impresa. Le parti possono derogare dai principi di
legge ma senza alcuna discriminazione e con “razionalità”. I lavoratori
licenziati sono iscritti nelle liste di mobilità e hanno diritto alla
speciale indennità, che però è stata eliminata dalla Fornero e
sostituita, dal 2017 in poi, dall’Aspi. La pratica dei licenziamenti
collettivi è abbastanza diffusa e si è ampliata maggiormente dopo la
riforma del 2012 nota per le modifiche della Fornero all’articolo 18. La
legge 92/2012,
infatti, ha allentato alcuni vincoli della vecchia 223 rendendo più
semplice il ricorso al licenziamento collettivo. Il risultato è quello
rilevato dal recente Rapporto sul mercato del lavoro pubblicato pochi
giorni fa dal Cnel. Se, fino al 2008, l’indice Ocse che misura il grado
complessivo di protezione dell’occupazione, era rimasto in Italia
stabile a 4,13 (il massimo è 6 per una protezione completa mentre zero
indica una flessibilità assoluta), da allora in poi è sceso
drasticamente a 3,75. “Considerando congiuntamente – scrive il Cnel – il
grado di protezione fornito nel caso dei licenziamenti individuali e
collettivi attualmente l’Italia risulta essere addirittura più
flessibile della Germania, al cui modello la riforma Fornero si era
all’epoca ispirata”. La libertà di licenziare, quindi, è stata al centro
delle riforme già avvenute nel mercato del lavoro e i suoi effetti si
sono già fatti sentire.
LA
CONFERMA è fornita dai numeri Inps relativi alle indennità di mobilità.
Come abbiamo visto, la mobilità è la speciale indennità che si concede a
quei lavoratori licenziati nei procedimenti collettivi. È pari all’80%
della retribuzione teorica lorda comprensiva solo delle voci fisse in
busta paga. Dopo il primo anno, scende all’80% dell’indennità percepita
nel primo anno e dura da 12 mesi a 48 mesi a seconda dell’età o della
collocazione di
un’azienda nel Mezzogiorno. Per il 2013 l’Inps ha speso circa 2
miliardi di euro per finanziare questo ammortizzatore sociale oltre a
1,390 milioni per i contributi figurativi. Più importante, però, è il
dato relativo alle domande presentate: 217.597 che rappresentano un
balzo del 39% rispetto al 2012. Un vero e proprio boom che riguarda,
soprattutto il Sud d’Italia, con il 38% dei beneficiari, seguiti da
quelli del Nord-Ovest con il 26%. In Italia si può licenziare. E infatti
si licenzia. Il costo è a carico dello Stato.
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