sabato 4 ottobre 2014

Partito rottamato di Norma Rangeri, Il Manifesto



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Nel disfa­ci­mento delle ideo­lo­gie e delle forme nove­cen­te­sche di orga­niz­za­zione e di par­te­ci­pa­zione, l’unico par­tito a resi­stere nella crisi del sistema poli­tico ita­liano era il Pd. I dati del tes­se­ra­mento dif­fusi da Repub­blica sem­brano togliere di mezzo quest’ultima, resi­dua ano­ma­lia del nostro assetto costituzionale.
In un anno, dal 2013 a oggi, gli iscritti al Par­tito demo­cra­tico sareb­bero pas­sati da oltre 500 mila a 100 mila. Con intere regioni, tutto il sud del paese, dove il tes­se­ra­mento non sarebbe nep­pure ini­ziato. L’entità del crollo effet­ti­va­mente è impres­sio­nante. Ma dav­vero ci stupisce?
La per­dita di cen­ti­naia di migliaia di iscritti e quindi di tan­tis­simi mili­tanti, innan­zi­tutto sfata una leg­genda che cir­con­dava la moder­nità del nuovo pro­getto di orga­niz­za­zione del con­senso per­ché, al contrario,fa capire che non è poi tanto con­di­viso un modello di par­tito leg­gero, flut­tuante, con una debole identità.
Del resto se c’è un uomo solo al comando, se la discus­sione è tol­le­rata e il dis­senso «spia­nato», se con le pri­ma­rie l’elettore conta quanto l’iscritto (come recita l’articolo 1 dello sta­tuto), se in defi­ni­tiva il corpo è rot­ta­mato e l’anima vitu­pe­rata, la «ditta» prima diventa pre­ca­ria, poi viene licen­ziata. In que­sto caso con giu­sta causa: la mar­cia a tappe for­zate verso il Par­tito della Nazione. A che serve un par­tito se si cam­bia verso per vin­cere nelle urne con un pro­gramma vago al punto da poter poi essere riem­pito con le riforme berlusconiane?
La meta­mor­fosi poli­tica ope­rata dal ren­zi­smo rap­pre­senta, nei con­te­nuti e dun­que anche nelle forme, un pas­sag­gio del testi­mone dal vec­chio Ber­lu­sconi al nuovo lea­der Renzi. L’obiettivo, dal punto di vista dell’immagine, dell’impatto media­tico è rivol­gersi diret­ta­mente al popolo. E per­sino le parole sono le stesse del recente pas­sato («la gente è con me», «il cam­bia­mento sono io», fino a «l’Italia è il paese che amo»).
Per que­sto fun­ziona per­fet­ta­mente il modello-azienda, vanno bene i club, con gli impren­di­tori in prima fila a finan­ziare il comi­tato elet­to­rale, come nella migliore tra­di­zione della destra ame­ri­cana. Per­sino i cir­coli, o un gior­nale da appen­dere a quelle vec­chie bache­che di quar­tiere diven­tano inu­tili arnesi.
L’ex segre­ta­rio del Pd rea­gi­sce con durezza («un par­tito fatto solo di elet­tori non è più un par­tito»). Ma se vogliamo essere one­sti, Ber­sani lo sta­tuto lo ha modi­fi­cato solo per far cor­rere Renzi alle primarie.
La poli­tica di oggi, pro­prio per rin­no­varsi, avrebbe biso­gno più che mai di tor­nare a un vec­chio metodo poli­tico, basato sulla par­te­ci­pa­zione, sul con­fronto diretto delle per­sone, sulla discus­sione men­tre ci si guarda negli occhi.
Come ha inse­gnato il fem­mi­ni­smo, l’unico movi­mento che ha saputo unire vita e poli­tica. Digi­tare slo­gan o frasi a effetto sui social net­work, que­sto modo gril­lino di fare poli­tica è altret­tanto inef­fi­cace delle fumose, inter­mi­na­bili, inu­tili riu­nioni sulla «giu­sta linea» da tra­smet­tere dal ver­tice alla base.
Sarebbe ora di inver­tire la rotta e anzi­ché «scen­dere» in poli­tica, si dovrebbe rico­min­ciare a «salire».

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