Nel disfacimento delle ideologie e delle forme novecentesche
di organizzazione e di partecipazione, l’unico partito
a resistere nella crisi del sistema politico italiano era il Pd.
I dati del tesseramento diffusi da Repubblica sembrano togliere di mezzo quest’ultima, residua anomalia del nostro assetto costituzionale.
In un anno, dal 2013 a oggi, gli
iscritti al Partito democratico sarebbero passati da oltre 500 mila
a 100 mila. Con intere regioni, tutto il sud del paese, dove il
tesseramento non sarebbe neppure iniziato. L’entità del crollo
effettivamente è impressionante. Ma davvero ci stupisce?
La perdita di centinaia di migliaia
di iscritti e quindi di tantissimi militanti, innanzitutto sfata
una leggenda che circondava la modernità del nuovo progetto di
organizzazione del consenso perché, al contrario,fa capire che non
è poi tanto condiviso un modello di partito leggero, fluttuante,
con una debole identità.
Del resto se c’è un uomo solo al
comando, se la discussione è tollerata e il dissenso «spianato», se
con le primarie l’elettore conta quanto l’iscritto (come recita
l’articolo 1 dello statuto), se in definitiva il corpo è rottamato
e l’anima vituperata, la «ditta» prima diventa precaria, poi viene
licenziata. In questo caso con giusta causa: la marcia a tappe
forzate verso il Partito della Nazione. A che serve un partito se si
cambia verso per vincere nelle urne con un programma vago al punto da
poter poi essere riempito con le riforme berlusconiane?
La metamorfosi politica operata dal
renzismo rappresenta, nei contenuti e dunque anche nelle forme,
un passaggio del testimone dal vecchio Berlusconi al nuovo leader
Renzi. L’obiettivo, dal punto di vista dell’immagine, dell’impatto
mediatico è rivolgersi direttamente al popolo. E persino le parole
sono le stesse del recente passato («la gente è con me», «il
cambiamento sono io», fino a «l’Italia è il paese che amo»).
Per questo funziona perfettamente
il modello-azienda, vanno bene i club, con gli imprenditori in prima
fila a finanziare il comitato elettorale, come nella migliore
tradizione della destra americana. Persino i circoli, o un
giornale da appendere a quelle vecchie bacheche di quartiere
diventano inutili arnesi.
L’ex segretario del Pd reagisce con
durezza («un partito fatto solo di elettori non è più un partito»).
Ma se vogliamo essere onesti, Bersani lo statuto lo ha modificato
solo per far correre Renzi alle primarie.
La politica di oggi, proprio per
rinnovarsi, avrebbe bisogno più che mai di tornare a un vecchio
metodo politico, basato sulla partecipazione, sul confronto
diretto delle persone, sulla discussione mentre ci si guarda
negli occhi.
Come ha insegnato il femminismo,
l’unico movimento che ha saputo unire vita e politica. Digitare
slogan o frasi a effetto sui social network, questo modo grillino di
fare politica è altrettanto inefficace delle fumose,
interminabili, inutili riunioni sulla «giusta linea» da
trasmettere dal vertice alla base.
Sarebbe ora di invertire la rotta e anziché «scendere» in politica, si dovrebbe ricominciare a «salire».
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