venerdì 3 ottobre 2014

Scuola / Renzi in cattedra. Il progetto di riforma

Premessa
Siamo abituati ai cambiamenti epocali annunciati per qualsiasi tema dal governo Renzi. Il progetto sulla scuola presentato a inizio settembre non fa eccezione. Nelle 136 pagine de La buona scuola si ritrovano gli ingredienti consueti: un linguaggio che ricerca così tanto la freschezza (con tanto di grafica ammiccante agli esercizi di calligrafia della scuola che fu) da far quasi rimpiangere il burocratese delle circolari ministeriali, un’analisi come minimo approssimativa della situazione di partenza, l’indistinzione tra obiettivi proclamati e misure concrete.
E’ comunque opportuno prendere sul serio il documento, che, nel solco inaugurato da Berlinguer e proseguito da Moratti e Gelmini, intende applicare alla scuola modelli organizzativi e criteri di verifica propri delle imprese, secondo il mai dimostrato assunto che il criterio di efficienza aziendale sia valido anche per i sistemi educativi. Insistere sull’efficienza, d’altronde, assolve anche il compito di nascondere la realtà della continua diminuzione delle risorse finanziarie destinate al settore.
Acquisita senza discussione la riforma Gelmini dei cicli delle superiori, il progetto renziano si occupa soprattutto dell’organizzazione del lavoro e della gestione degli istituti. Si tenta così di chiudere il cerchio di una scuola “postmoderna”, a parole rafforzata in risorse e ambizioni, nei fatti derubricata dal ruolo costituzionale di servizio pubblico ad agenzia formativa tra le tante. Lo stile “nozze coi fichi secchi” è del resto evidente anche nell’ennesimo “ritocco” all’esame di maturità ipotizzato dalla ministra Giannini che, senza pudore, propone di eliminare i commissari esterni (come aveva fatto Moratti negli anni ‘90), per risparmiare quattro soldi e abolire ogni controllo sulle scuole private.
D’altra parte l’ennesimo progetto di riforma, oltre a mostrare gli scarsi esiti degli interventi precedenti (come indicano anche i risultati delle rilevazioni Ocse-Pisa) fa leva su un clima di immobilismo, stanchezza, rassegnazione che regna nella scuola.

Precari addio. A quali condizioni?
Forte impatto ha il primo punto: l’assunzione in un’unica soluzione nel 2015 dei 150.000 precari compresi nelle graduatorie a esaurimento (Gae), e di ulteriori 40.000 nel triennio successivo attraverso un nuovo concorso. Dopo questa fase, si prevede che l’accesso al lavoro scolastico avvenga solo per concorso dopo un indirizzo universitario specificamente orientato alla didattica. Se attuata fino in fondo questa misura potrebbe tagliare il nodo gordiano del precariato che da decenni costituisce uno dei motivi di più grave disagio per lavoratori e studenti: un risultato auspicabile tanto per i diritti dei lavoratori quanto per l’efficacia della didattica.
Emergono però diversi dubbi, a cominciare dalle effettive disponibilità finanziarie; vi sono poi le proteste degli abilitati che non rientrano nelle graduatorie a esaurimento (e che la riforma non considera “precari” perché hanno pochi giorni di lavoro), che rischiano di essere esclusi per sempre o di dover ripetere il concorso.
Perplessità suscitano anche le condizioni dell’assunzione: i nuovi insegnanti dovranno accettare una mobilità anche fuori provincia o regione, vi sarà una certa flessibilità tra classi di concorso affini, mentre una parte dei docenti potranno essere impiegati in ruoli extracurricolari (per le singoli scuole o per reti di scuole) legati alla riorganizzazione del profilo docente; inoltre l’organico stabile dovrà provvedere anche alla sostituzione dei docenti assenti.

Funzione e carriera dei docenti, presidi manager
Al centro del progetto della “buona scuola” c’è il ridisegno della funzione docente nell’ambito della revisione gestionale degli istituti. Tutto ruota attorno alla valorizzazione del “merito”, una delle parole magiche, assieme a “riforme”, del renzismo, con un valore simbolico direttamente proporzionale alla sua genericità. Andiamo per ordine. L’aggiornamento dei docenti sarà obbligatorio e permanente, definito a livello di istituto e realizzato da agenzie di vario tipo. All’interno degli istituti i docenti più propositivi faranno da “innovatori naturali”. Le attività di aggiornamento e di innovazione daranno diritto a crediti didattici, formativi e professionali, riportati in un portfolio personale che sarà pubblico e on-line. Coordinerà il tutto un nucleo di valutazione interno (con un membro esterno), in cui spicca la figura del “docente mentore” (ancora il deleterio lessico renziano), scelto tra coloro che avranno ottenuto scatti di merito per tre trienni consecutivi. La progressione degli stipendi, infatti, sarà collegata al portfolio: gli scatti triennnali (pari a 60 euro netti) saranno attribuiti ai soli docenti che avranno ottenuto più crediti ovvero ai 2/3 del corpo insegnante di ciascuna scuola. Tale discriminazione programmatica è giustificata con il fine di rendere più omogenea la qualità dell’intero sistema, poiché favorirebbe lo spostamento degli insegnanti migliori verso le scuole con gli indici di innovazione più bassi, dove avrebbero più chance di progresso di carriera.
E’ chiara la volontà di aggiungere alla competizione fra istituti per attrarre iscritti, che da anni causa assurde dispersioni di energie e risorse, quella tra i docenti, introducendo figure che lungi dal migliorare la didattica moltiplicheranno procedure burocratiche e lotte per l’accaparramento delle sempre più scarse risorse che, come dimostra il blocco del contratti degli statali, non c’è alcuna intenzione di aumentare.
Lo stesso vale per il rilancio dell’autonomia, per cui si prevede di collegare l’attribuzione del Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (Mof ) ai risultati del “Piano triennale di miglioramento” di cui ogni scuola si dovrà dotare. Su questa base i dirigenti scolastici potranno scegliere direttamente i professori ritenuti più idonei, attingendo ad un “Registro nazionale dei docenti”. Il maggiore potere discrezionale attribuito ai presidi dovrebbe essere controbilanciato da una ridefinizione della loro figura professionale come “promotori della didattica”, ma l’ipotesi di reclutare i futuri nuovi presidi con un corso-concorso presso la scuola nazionale di amministrazione sembra contraddire questo indirizzo. In sostanza la facoltà di assunzione (e quindi di licenziamento/trasferimento?) incrementerà ulteriormente un’impropria concorrenza, con possibile importazione dall’università di sistemi di cordate e camarille.

Musica e arte, coding e impresa
Poco rilevanti appaiono le innovazioni disciplinari. Non che l’estensione dell’educazione musicale e della storia dell’arte non siano segnali positivi. Il fatto è che in assenza di una ridefinizione generale di programmi e indirizzi, si tratta di misure contingenti, probabilmente necessarie per creare qualche cattedra in più per assorbire i precari. Il proposito di implementare lingua straniera, economia, e programmazione informatica (coding) sembra riportare al famoso slogan berlusconiano delle famose tre I. Altrettanto nebuloso è il proposito di incrementare la relazione con le imprese, attraverso l’estensione dell’alternanza scuola-lavoro, le esperienze di co-progettazione, il rafforzamento dei poli tecnico- professionali: tutte formule che, anche tralasciando l’assenza di qualsiasi distinzione tra scuola e impresa, possono funzionano solo in territori con forti tessuti produttivi, non nel deserto economico e sociale che circonda le scuole in tante aree del paese.

Le risorse
Il capitolo sulle finanze conferma il quadro fin qui esposto. Nessun cenno al ripristino delle risorse tagliate in precedenza (gli 8 miliardi della Gelmini), mentre i fondi per l’offerta formativa (800 milioni tra 2014 e 2020) saranno allocati “in modo premiale”, cosicché è facile prevedere che le ampie disparità socio-territoriali già esistenti non potranno che allargarsi.
Risorse aggiuntive dovrebbero provenire dalle agevolazioni fiscali concesse ai finanziamenti privati. Non manca la lode del crowd funding, in realtà copertura anglofona della diffusissima pratica che costringe i genitori ad acquistare materiali di consumo che le scuole non sono più in grado di fornire. Si ribadisce insomma l’abdicazione del principio della scuola come servizio pubblico che lo Stato deve garantire comunque, sostituito da un malinteso criterio di efficienza che nella migliore delle ipotesi avrà un puro significato contabile, nella peggiore incrementerà pratiche clientelari e abusi di potere.

Consultare versus contrattare
Il 15 settembre tutti i ministri hanno partecipato all’inizio dell’anno scolastico. Renzi era a Palermo, dove ha visitato la scuola “don Pino Puglisi”, ma ha rifiutato di incontrare una delegazione dei precari che lo contestavano. E’ la stessa logica che ispira la consultazione che precederà, tra settembre e novembre di quest’anno, il varo della riforma. Si distribuiranno “kit per le assemblee” degli studenti e dei docenti, ma intanto si finge di ignorare che i principali punti in discussione – dalle modalità di assunzione alla carriera docente - sono di pertinenza del contratto nazionale di lavoro.
Insomma, selfie con tutti, trattative con nessuno. Bella lezione, prof. Renzi.

Stefano De Cenzo - Roberto Monicchia

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