La sinistra PD, i 'virtuosi della ritirata'. Pongono le premesse per la
definitiva dissoluzione di se stessi. Totale incapacità di essere
alternativi.
Una decina di giorni fa, in un pezzo
ripreso dal blog di Grillo (perciò preso per un invito ufficiale del
M5s), proponevo di mettere da parte i dissensi precedenti e concordare
un'azione parlamentare e di piazza fra Sel, minoranza Pd, Fiom e M5s,
magari in vista di uno sciopero generale (che la Cgil si è ben guardata
dal proclamare) per determinare la caduta del governo Renzi.
Reazioni
del tutto negative: far cadere i Renzi sarebbe da irresponsabili, il M5s
è inaffidabile e sui sindacati "La pensa come Renzi", i grillini sanno
solo rompere tutto ecc.
E ciò si accompagnava a fieri propositi di battaglia contro l'abolizione dell'art 18 che, senza rompere niente e grazie all'opposizione "costruttiva" della sinistra Pd, avrebbe ottenuto il risultato sperato.
Per la verità, Cuperlo, che come si sa è un educatissimo signore triestino, se ne uscì con pacatissime dichiarazioni, che non promettevano alcuna battaglia e che, al massimo potevano suonare come blande esortazioni (del tipo: "Dai Matteo, non fare così con la Camusso che è tanto una simpatica ragazza. Dai non mi pare il caso.").
E ciò si accompagnava a fieri propositi di battaglia contro l'abolizione dell'art 18 che, senza rompere niente e grazie all'opposizione "costruttiva" della sinistra Pd, avrebbe ottenuto il risultato sperato.
Per la verità, Cuperlo, che come si sa è un educatissimo signore triestino, se ne uscì con pacatissime dichiarazioni, che non promettevano alcuna battaglia e che, al massimo potevano suonare come blande esortazioni (del tipo: "Dai Matteo, non fare così con la Camusso che è tanto una simpatica ragazza. Dai non mi pare il caso.").
Più decisi erano stati in Direzione, Bersani e soprattutto D'Alema che avevano fatto capire che non avrebbero votato la riforma dell'art. 18 e, nel caso, non sarebbero arretrati nemmeno di fronte alla minaccia dell'espulsione. E, infatti, qualche giorno dopo, "Il Foglio" riferì di cauti sondaggi di D'Alema sull'ipotesi di un suo partitino personale, magari una cosa sul modello del vecchio Pri.
Il più radicale di tutti fu Civati che giunse a prospettare un suo passaggio con Sel ed assicurò che non avrebbe votato la proposta renziana.
Come è andata a finire? Renzi ha incastrato tutti presentando una ipotesi di legge delega-in-bianco (una innovazione costituzionale assoluta) e imponendo su essa il voto di fiducia. Per la verità, data l'audacia costituzionale di un legge delega così sommariamente delineata, il Presidente del Senato avrebbe potuto eccepire qualcosa, sostenendo che non si può mettere in votazione un testo che suona come "Il governo farà tutto quel che gli parrà ed il Parlamento approva sin d'ora ogni sua scelta". Ma figuriamoci se il caporale Pietro Grasso ha il coraggio di una simile uscita!
E la leggendaria sinistra Pd?
Gli unici parzialmente coerenti - con i battaglieri proclami di qualche giorno prima - sono stati i civatiani, (alcuni non si sono presentati alla seduta, due sono usciti al momento del voto, due hanno optato per l'astensione, che al Senato vale come voto contrario). Insomma, non è il massimo, avendolo fatto con meno compattezza di quel che sarebbe stato opportuno, ma, insomma, è qualcosa.
Invece, bersaniani, dalemiani,
cuperliani (per non dire di quelle tragiche macchiette che sono i
"giovani turchi", ormai renziani di complemento) allineati e coperti
hanno votato sì come un sol uomo! Quando si dice la coerenza!
Per la verità non avevamo mai riposto troppe speranze nel coraggio della "sinistra" Pd. Lanciare un appello all'azione comune in difesa dei diritti dei lavoratori era doveroso, almeno per chi sta da questa parte della barricata, ma sapevamo quanto poco c'era da attendersi. Ci abbiamo provato e ci riproveremo ancora, quando la gravità dei temi in discussione lo imporrà, perché, in fondo, la speranza è sempre l'ultima a morire; ma lo sappiamo quanto vale questo drappello di "virtuosi della ritirata".
Neanche a dirlo, questo atteggiamento
pone le premesse per la definitiva sconfitta e dissoluzione di questa
mitica "sinistra": Renzi ha già iniziato ad assorbire i più pronti a
salire sul carro del vincitore, poi quando si tratterà di fare le liste,
userà il plotone di esecuzione per decimarli e loro, di fatto,
spariranno dalla geografia parlamentare e del partito.
D'altro canto, il crollo del tesseramento, l'americanizzazione del partito, la riforma dell'art 18 che servirà a far fuori la Cgil dal comparto privato, sono tutti segnali precisi che la speranza di riconquistare il partito è una pia illusione dei vari Cuperlo (il "Leopoldo"), Bersani ecc.
D'altro canto, il crollo del tesseramento, l'americanizzazione del partito, la riforma dell'art 18 che servirà a far fuori la Cgil dal comparto privato, sono tutti segnali precisi che la speranza di riconquistare il partito è una pia illusione dei vari Cuperlo (il "Leopoldo"), Bersani ecc.
Renzi probabilmente durerà meno di quel che pensa, ma non per questa opposizione di cartone, quanto per opera di quella parte di poteri forti che non lo sopporta e non ha ancora trovato il modo di sostituirlo, ma, lo sta cercando.
Ma perché questo che fu, in sostanza,
l'ex Pds-Ds sta avviandosi tranquillamente al macello senza fiatare?
Le ragioni principali, probabilmente sono due.
In primo luogo questa area del Pd ha come suo orizzonte teorico e politico quello della "socialdemocrazia" (tipo Spd, socialisti francesi alla Hollande, laburisti). Quella socialdemocrazia che ha accettato tutti i dogmi del neoliberismo e che si illude di un suo ruolo riformista cercando di lavorare sui ristrettissimi margini che pensano esserci ancora. Ma il neoliberismo è una forma di fondamentalismo che non concede spazi, tanto più in tempi di crisi; per cui questa pseudo sinistra riformista non ha nulla da dire, può vivacchiare nelle istituzioni, magari in improbabili coalizioni con la destra, ma è condannata a scomparire. Questo Renzi l'ha capito ed accetta tutti i dogmi neo liberisti, salvo fare piccole battaglie tattiche che gli facciano giocare la parte dell' enfant terrible dell'ordinamento liberista, niente di più.
Le ragioni principali, probabilmente sono due.
In primo luogo questa area del Pd ha come suo orizzonte teorico e politico quello della "socialdemocrazia" (tipo Spd, socialisti francesi alla Hollande, laburisti). Quella socialdemocrazia che ha accettato tutti i dogmi del neoliberismo e che si illude di un suo ruolo riformista cercando di lavorare sui ristrettissimi margini che pensano esserci ancora. Ma il neoliberismo è una forma di fondamentalismo che non concede spazi, tanto più in tempi di crisi; per cui questa pseudo sinistra riformista non ha nulla da dire, può vivacchiare nelle istituzioni, magari in improbabili coalizioni con la destra, ma è condannata a scomparire. Questo Renzi l'ha capito ed accetta tutti i dogmi neo liberisti, salvo fare piccole battaglie tattiche che gli facciano giocare la parte dell' enfant terrible dell'ordinamento liberista, niente di più.
In realtà, la sinistra Pd non ha alcuna
strategia alternativa a quella renziana: ha fatto un po' di capricci per
rilanciarsi - ma alla stretta finale si è data indietro. E qui subentra
la seconda ragione di debolezza: l'assoluta incapacità di pensare alla
politica se non come presenza nel Palazzo e conseguente timore di
restare fuori. "Renzi cade? Ci sono le elezioni anticipare: e se poi non
ci candida?. Facciamo la scissione: e se il partito non prende il 4%%?.
andiamo con Sel? Ma siamo già troppi noi, poi con quelli di Sel da far
rientrare, quanti posti avremmo?"
E siccome l'idea è quella di fare
politica sino a 99 anni (cioè restare a Palazzo sino a quella età,
niente azzardi e tutto è pensato in funzione della propria sopravvivenza
"politica" personale. Ed allora, per ora teniamoci Renzi e non
rischiamo una espulsione che si tradurrebbe nell'avventura di una
scissione. aspettiamo tempi migliori. Verranno.
Ed in nome di questo si rinuncia a svolgere qualsiasi ruolo politico. E' triste, molto triste ma è così.
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