Il 12 e 13 giugno di due anni fa, circa 26
milioni di italiani hanno speso qualche minuto del proprio tempo per
votare due sì al cosiddetto “referendum per l’acqua pubblica”. Oggi
ognuno di loro farebbe bene a spendere altrettanti minuti per provare a
capire cos’è successo nel frattempo e cosa si potrà fare in futuro.
Da più parti si sente ripetere che,
come al solito, il referendum non è servito a niente. I privati
continuano a gestire il servizio idrico locale e nelle bollette c’è
ancora la famigerata percentuale per la remunerazione del capitale
investito, ovvero: per fare profitti sicuri con un bene comune. Eppure,
la narrazione del “voto inutile” va disinnescata, perché non solo è
falsa, ma serve pure a delegittimare l’unico referendum vincente da
diciassette anni a questa parte.
Certo non si può negare che la strada del cambiamento è stata fin
dall’inizio piena di ostacoli. Giusto il tempo di abrogare le norme
oggetto del voto, e subito il governo Berlusconi ha tentato di farle
rientrare dalla finestra con l’articolo 4 del cosiddetto “decreto di
Ferragosto”. Classica data balneare, utile per far passare nefandezze,
ma la corte costituzionale ha bloccato il provvedimento proprio in virtù
della volontà popolare uscita dalle urne. Poi ci hanno provato con il
patto di stabilità, la manovra “salva Italia” del governo Monti e
l’autorità per l’energia.
Tanto accanimento non dimostra solo che l’acqua è un buon affare, ma
fa capire anche come gli sconfitti non possano accettare di esserlo.
Perché accettarlo significherebbe ammettere che le risorse più preziose
per la vita devono essere sottratte al mercato e alla libera
concorrenza. Il che equivale a bestemmiare il credo neoliberista,
mostrando che la logica del profitto non è in grado di trovare il giusto
equilibrio con il benessere collettivo. Non a caso, gli anni dell’acqua
privata sono stati anche quelli più poveri di investimenti per
migliorare il servizio idrico.
Ma tanto accanimento significa anche che l’avversario è forte, agguerrito, e lo è grazie al risultato di due anni fa.
Gli inquilini del condominio Itaca di Modena, per esempio, hanno deciso di aderire alla campagna di obbedienza civile lanciata dal forum italiano dei movimenti per l’acqua. Visto l’esito del referendum, hanno deciso di obbedire alla legge e di togliere dalle loro bollette la percentuale di “remunerazione del capitale investito” (circa il 18 per cento). Per far questo, si sono semplicemente rifiutati di pagarla. La cifra è di poco conto: 500 euro all’anno per un intero condominio, eppure la multiutility Hera non ha voluto sentire ragioni e pochi giorni fa – dopo diverse “riduzioni di flusso” – senza nessun preavviso ha interrotto il servizio. Al che i cittadini sono andati in municipio con asciugamani e spazzolini da denti per chiedere al sindaco di poter usare la sua acqua. E il sindaco – che come tale è pure socio di Hera – ci ha messo una buona parola e ha fatto riaprire i rubinetti, anche se, da buon sostenitore del referendum, farebbe meglio a pretendere che l’azienda di cui è azionista rispettasse la volontà popolare.
Gli inquilini del condominio Itaca di Modena, per esempio, hanno deciso di aderire alla campagna di obbedienza civile lanciata dal forum italiano dei movimenti per l’acqua. Visto l’esito del referendum, hanno deciso di obbedire alla legge e di togliere dalle loro bollette la percentuale di “remunerazione del capitale investito” (circa il 18 per cento). Per far questo, si sono semplicemente rifiutati di pagarla. La cifra è di poco conto: 500 euro all’anno per un intero condominio, eppure la multiutility Hera non ha voluto sentire ragioni e pochi giorni fa – dopo diverse “riduzioni di flusso” – senza nessun preavviso ha interrotto il servizio. Al che i cittadini sono andati in municipio con asciugamani e spazzolini da denti per chiedere al sindaco di poter usare la sua acqua. E il sindaco – che come tale è pure socio di Hera – ci ha messo una buona parola e ha fatto riaprire i rubinetti, anche se, da buon sostenitore del referendum, farebbe meglio a pretendere che l’azienda di cui è azionista rispettasse la volontà popolare.
Nel frattempo a Imperia la percentuale che i modenesi di Itaca si
rifiutano di pagare è stata eliminata dalle bollette. A Vicenza si
lavora per mettere la gestione dell’acqua in mano a una società di
diritto pubblico e senza scopo di lucro. A Reggio Emilia hanno strappato
il servizio idrico al controllo di Iren, una società mista. Inoltre il
comune, nel suo nuovo statuto, garantisce “la gestione partecipativa del
bene comune acqua”. A Trento si protesta contro la nuova In House spa.
In Toscana, i comuni dell’ex Ato 3 (zona di Firenze, Prato e Pistoia)
hanno respinto la nuova “tariffa truffa”, che di fatto ripropone la
logica del profitto privato garantito in bolletta. L’unico a votare a
favore è stato il sindaco Matteo Renzi. E poi Forlì, Palermo, Piacenza…
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