Lo scorso post sulla
lista Tsipras ha fatto discutere “molto”, cioè se ci si riferisce al
piccolo recinto di realtà singole o organizzate che hanno partecipato e
ancora partecipano al progetto politico che ad oggi non ha né un nome né
una fisionomia ben precisa.
La cosa in sé credo sia positiva, del resto l’obiettivo non era
disfattista, semmai il contrario. Qualcuno ha percepito la domanda “che
fine ha fatto la lista Tsipras?” come lesa maestà, o come frutto di
chissà quali manovre oscure; altri hanno derubricato domanda e contenuto
del post a “farsa”, e in effetti se una farsa esiste è quella a cui
hanno assistito migliaia di elettori attoniti subito dopo il voto dello
scorso maggio e non penso ci sia bisogno di tornarci sopra; molti di
più, per quel che mi riguarda – quindi senza presunzione di possedere la
verità oggettiva delle cose – hanno più o meno spiegato che si erano
posti la stessa questione.
Fuori dai circuiti militanti e conosciuti a una fascia della
popolazione iper minoritaria, l’esperienza dell’Altra Europa è finita
inghiottita dalle nebbie. Far finta che non sia così non so quanto possa
essere utile, soprattutto per chi ha obiettivi e ambizioni
“maggioritarie” a sinistra, per chi non si accontenta di presidiare
piccole nicchie che non cambiano di una virgola i rapporti politici ed
economici di un paese.
Fatta questa noiosa premessa, ospito qui un contributo di Alfonso
Gianni, per anni e penso tuttora uno degli esponenti più intelligenti e
costruttivi che si ostinano ad aggirarsi dalle “nostre” parti.
“Nelle mailing list che seguo ho riscontrato molto fastidio nei
confronti dell’articolo che Matteo Pucciarelli ha dedicato, sul suo blog
su MicroMega, alla lista Tsipras. Francamente ho trovato queste
reazioni del tutto fuori luogo. Innanzitutto perché non si può
pretendere di avere una stampa favorevole, né si può credere che
l’obiettività assoluta esista nel mondo dell’informazione. Ogni articolo
è una rielaborazione di notizie e dati filtrato attraverso la specifica
capacità del giornalista di leggere la realtà. Per quanto il
giornalista voglia essere obiettivo, siamo pur sempre davanti ad un
punto di vista. Quello che Pucciarelli esprime attraverso il suo
articolo è tutt’altro che antipatizzante. Riporta le opinioni di un
intervistato ignoto, certamente parziale e negativo nei suoi giudizi, ma
senza fornire ad esse surrettiziamente il criterio dell’obiettività.
Al contrario dovremmo ringraziarlo: dove è finita la lista
Tsipras è la domanda che abbiamo di fronte anche noi che ne facciamo
parte. Il problema non è rappresentato dalle relazioni fra gli eletti e
la lista. Queste, dal punto di vista organizzativo e amministrativo, si
stanno – che io sappia – sistemando nei tempi dovuti. Né può destare
scandalo il numero dei componenti il coordinamento: 221. Se lo
paragoniamo ai “parlamentini” dei micro partiti della sinistra sono
addirittura meno in assoluto e soprattutto in relativo. Casomai va
osservato che nelle ultime ore il numero delle autoproposizioni si è
quasi raddoppiato, quasi che qualcuno voglia stendere un’Opa
sull’organismo. Se una simile intenzione esistesse per davvero sarebbe
sciocca, ma facilmente smontabile. Lo vedremo fin dalla prima riunione,
quando, spero, si parlerà delle prospettive politiche e delle ulteriori
strutturazioni organizzative dell’organismo.
La stessa questione delle elezioni regionali – ampiamente citata
nell’articolo di Pucciarelli – non può prescindere da una valutazione in
primo luogo di che cosa sono diventate le regioni nel nostro paese (mi
pare che l’idea di farle diventare uno strumento efficace e democratico
di articolazione dello stato centrale richieda una revisione critica ed
autocritica), soprattutto alla luce delle modifiche costituzionali in
corso. Non si tratta di questioni tattiche, ma di strategia politica.
Come si suol dire, il problema infatti è tutto politico. Cosa
vogliamo fare di questa lista? Semplicemente il punto di riferimento
plurale di chi è stato eletto nel parlamento europeo? Solo uno spazio
politico aperto? Un momento alto di coordinamento di campagne politiche?
O, non escludendo le rispettabili funzioni prima citate, un punto di
partenza per la costruzione di un soggetto politico nuovo della
sinistra? Se si sceglie questa ultima opzione – come personalmente
ritengo necessario – bisognerà cominciare rapidamente a discuterne,
perché va cosrtuito un percorso. Con l’affermazione elettorale del 25
maggio si è chiusa una fase per la lista Tsipras e se ne è aperta
un’altra, che però stenta e decollare politicamente e
organizzativamente.
In un recente articolo sul Manifesto, Piero Bevilacqua ha
sostenuto non si può non pensare a questo processo se non dall’alto.
Sarà bene intendersi su questa questione, perché riassunta così non mi
pare capace di cogliere la complessità del percorso. Un processo
costituente di una nuova forza politica oggi non si pone più nei termini
dell’incontro tra un pensiero politico e un movimento sociale
preesistente. Dato e non concesso che mai sia avvenuto in una forma così
netta nel passato. Conosciamo una crisi della politica, che è
innanzitutto crisi di cultura politica, che non lascia indenni anche i
settori più acculturati e avvertiti. Allo stesso tempo assistiamo a un
processo di politicizzazione diffusa dei e nei movimenti sociali, sia in
quelli più tradizionali che in quelli più innovativi. Nessuno ha
l’esclusività del pulpito. Un processo costituente parte da
un’ibridazione di ciò che tradizionalmente avremmo chiamato politico e
sociale, alto e basso, generale e specifico.
Evidentemente un processo del genere è fatto di pratiche
costituenti – quali possono essere le campagne politiche o sociali di
massa -, come di discussioni selezionate. Certamente non si può fare
assemblearmente, o quantomeno non solo. Per questo è un percorso non
breve e poco lineare, ma fatto di grande attenzione, intelligenza
politica e senso dei propri limiti.
Soprattutto non può rifarsi a modelli precostituiti. L’esperienza
nostra o di altri al massimo – ma piuttosto raramente nella pratica –
può servire a evitare errori già compiuti, ma non a tracciare nuove
strade sicure. I modelli sono codificati solo ex post non ex ante.
Quello che sappiamo è che non possiamo chiedere, ad esempio al
Prc e a Sel di superare le loro esistenze separate e partecipare alla
costruzione di un nuovo soggetto, se non è evidente e credibile
l’intenzione di procedere in questa direzione. Né possiamo fare la
somma dell’esistente sperando che i conti tornino. I risultati
elettorali del 25 maggio dimostrano contemporaneamente che le forze
organizzate da sole non avrebbero raggiunto il quorum e che al contempo
sono state decisive per conquistarlo. Ma che soprattutto quel milione e
centomila e passa elettrici ed elettori sono persone in carne ed ossa
comunque non catalogabili in ragione delle loro appartenenze pregresse.
L’avvento della lista Tsipras ha già cominciato a cambiare le
cose. Non credo che certi nodi dentro Sel e anche, seppure per ora in
modo meno eclatante, dentro il Prc sarebbero venuti al pettine con tanta
nettezza senza questa esperienza che ci ha portato al risultato del 25
maggio. Un processo è già in corso, seppure più nella sua parte
destruens che in quella costruens, per quanto riguarda la soggettività
politica.
Il suo proseguimento dipende da un chiarimento di fondo non più
rinviabile sulla natura del Pd (non solo del fenomeno Renzi). Se esso
può ancora essere considerato il perno di un centrosinistra (il che
coinvolge anche il ragionamento sulle elezioni regionali) o se la sua
natura di partito pigliatutto lo spinge ad essere la nuova spalla su cui
le classi dirigenti hanno poggiato il loro fucile, per dirla con una
famosa metafora.
Chi pensa che sia valida la seconda – come chi scrive – aggiunge
anche che lo spazio per un’alternativa è oggettivamente più ampio, largo
e profondo del tempo in cui le ambiguità del Pd non erano del tutto
sciolte, o quantomeno non apparivano tali. Mancarlo anche stavolta
sarebbe esiziale”.
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