Vorrei
che gli amici di alfabeta2 non mi avessero chiesto di iniziare un
articolo con la parola vorrei… Perciò, dopo essermi formalmente adeguato
alla richiesta, riformulo l’incipit sostituendo “vorrei” con “mi
piacerebbe che”. Anzi, contrordine: meglio adottare un sommesso
“gradirei che” (il verbo piacere ha troppe assonanze con i famigerati
like di Facebook).
Ricomincio: gradirei provocare il lettore con qualche considerazione in merito all’eredità dell’Erba Voglio
(implicita nell’iniziativa alfabetica, in barba all’effetto straniante
prodotto dall’uso del condizionale). Premetto che i sentimenti di
amicizia e simpatia che provavo negli anni Settanta nei confronti dei
fondatori dell’Erba Voglio restano immutati a distanza di
quarant’anni (ahimè!); è invece radicalmente cambiato il mio giudizio
nei confronti del messaggio politico-culturale di cui la rivista fu
latrice.
A noi tardo autonomi quel messaggio piaceva perché radicalizzava la
critica nei confronti della cultura tradizionale del movimento operaio,
nella misura in cui contrapponeva a una visione accentratrice e
gerarchica dell’organizzazione politica una visione orizzontale e
libertaria, ispirata alle pratiche del femminismo e a una lettura
alternativa della teoria psicanalitica: no ai vecchi, noiosi programmi
politici, sì al pensiero della differenza e alle pratiche desideranti.
Nei decenni successivi abbiamo avuto modo di verificare gli effetti
(non “voluti” ma non per questo meno perniciosi) di quella svolta
culturale. I “nuovi movimenti”, privi di un progetto politico comune,
concentrati su singoli obiettivi (sistematicamente compatibili con la
conservazione della società capitalista), lanciati all’inseguimento di
“differenze” foriere di derive identitarie, mobilitati all’insegna di un
“desiderio” che poco aveva a che spartire con la radicalità lacaniana
del concetto (e assai più con i velleitari svolazzi “antiedipici” della
coppia Deleuze/Guattari o, peggio, dei loro mediocri emuli italiani,
francesi e americani), non sono stati minimamente in grado di
contrastare la controrivoluzione liberal-liberista;
di più: ne sono stati in certa misura complici, favorendo la crescita
di una mentalità individualista e soggettivista che ha indebolito la
capacità di lotta delle nuove generazioni, già compromessa dalla
frantumazione del corpo di classe associata alla ristrutturazione
capitalista. Per concludere: gradirei che quanto resta della sinistra
radicale tornasse ad associare il verbo volere all’endiadi gramsciana –
pessimismo della ragione, ottimismo della volontà – e non alla
chiacchiera desiderante dell’Erba Voglio. O dell’Erba Vorrei.
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