Introduzione
Le trasformazioni profonde del recente passato - lo smantellamento
dello stato-provvidenza ad Ovest, il crollo del blocco dei paesi
dell'Est e dei partiti "comunisti", e l'emergere di un nuovo ordine
capitalista mondiale e liberale, apparentemente trionfante, ha
restituito tutta la sua importanza al problema della dinamica storica e
della possibilità di trasformare il mondo.
Il crollo del blocco dell'Est, la dissoluzione definitiva dell'Unione
Sovietica, e l'abbandono del riferimento al "comunismo" non segnano
affatto la fine storica del marxismo, ma piuttosto le deformazioni
radicali dello stesso, per cui il socialismo sarebbe caratterizzato
principalmente dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione e
dalla produzione centralizzata, e da un modo di distribuzione regolato
in maniera giusta e cosciente. Questa visione deformata del marxismo non
ha permesso la critica dei regimi "socialisti". Per coloro che hanno
tenuto gli occhi aperti, i regimi cosiddetti "socialisti" non apparivano
come una risposta ai problemi del capitalismo, poiché non differivano
dal capitalismo occidentale se non per l'introduzione della
pianificazione centralizzata e per la proprietà da parte dello Stato.
Negli anni '30, per esempio, Gide, nel suo "Ritorno dall'URSS", scriveva
a proposito del regime stalinista: "Sì, certo, dittatura evidentemente;
ma quella di un uomo, non più quella dei proletari uniti, dei soviet.
Il punto è di non illudersi, e sforzarsi di riconoscerlo chiaramente:
non è quello che volevamo. Ancora un passo e potremmo perfino dire: è
proprio quello che non volevamo affatto".
Tenere gli occhi aperti, oggi significa riconoscere i cambiamenti
intervenuti dopo la seconda guerra mondiale circa il modo in cui il
capitalismo si valorizza, i cambiamenti intervenuti nella classe
operaia, e il modo in cui gli sfruttati possono sviluppare il progetto
rivoluzionario, a partire dall'integrazione delle tematiche e dalle
fonti di malcontento sociale: il declino, numericamente e della potenza,
della classe operaia dei paesi centrali, l'insoddisfazione per le forme
di lavoro esistente, la precarizzazione, la flessibilità, l'importanza
crescente delle forme di identità sociale che non si fondano più
principalmente sulle classi, ma anche la povertà, le migrazioni, lo
sviluppo della xenofobia, le catastrofi ecologiche, i genocidi,
l'introduzione sempre maggiore della scienza e della tecnologia nel
processo di produzione, la privatizzazione del patrimonio comune, come
il patrimonio genetico, la privatizzazione dell'impegno collettivo, come
il software libero, ...
Hardt e Negri (H&N), nel loro due opere, "Impero" e "Moltitudine", elaborano una teoria di questi cambiamenti, nella quale i vecchi concetti di "Stato-nazione", di "classe operaia", di "comunismo", vengono sostituiti da concetti quali l'Impero, la moltitudine, la democrazia. Non è nostra intenzione fare qui una critica esaustiva delle teorie di H&N espresse in "Moltitudine": l'erudizione dei due autori, l'abbondanza di riferimenti, l'estensione e la varietà delle aree coperte, il lungo percorso intellettuale e militante di Negri, rendono queste teorie complesse e ricche. Ci limiteremo quindi a discutere tre punti: Nel periodo post-fordista,
Hardt e Negri (H&N), nel loro due opere, "Impero" e "Moltitudine", elaborano una teoria di questi cambiamenti, nella quale i vecchi concetti di "Stato-nazione", di "classe operaia", di "comunismo", vengono sostituiti da concetti quali l'Impero, la moltitudine, la democrazia. Non è nostra intenzione fare qui una critica esaustiva delle teorie di H&N espresse in "Moltitudine": l'erudizione dei due autori, l'abbondanza di riferimenti, l'estensione e la varietà delle aree coperte, il lungo percorso intellettuale e militante di Negri, rendono queste teorie complesse e ricche. Ci limiteremo quindi a discutere tre punti: Nel periodo post-fordista,
(i) la produzione di valore rimane il fine della produzione capitalista? Come misurarlo?
(ii) il soggetto rivoluzionario rimane la classe operaia o è la moltitudine?
(iii) la prospettiva di un'altra società: comunismo o democrazia?
Il nostro approccio è quello di mostrare
(i) la natura specificamente capitalista dei fenomeni summenzionati;
(ii) la necessità di tornare al nocciolo
del marxismo, al modo in cui rivela la natura profonda del capitalismo, i
suoi rapporti sociali, le sue forme di dominio, la sua dinamica
storica, al fine di rendere contro di questi cambiamenti;
(iii) che i nuovi concetti di H&N sotto delle apparenze radicali, sono privi di acutezza e teorizzano solamente l'impotenza.
I - Il valore rimane al centro della produzione capitalista? Come misurarlo?
H&N affermano che
"negli
ultimi decenni del XX secolo, il lavoro industriale ha perso la sua
egemonia e al suo posto è emerso il «lavoro immateriale», un lavoro che
crea prodotti immateriali come la conoscenza, l'informazione, la
comunicazione o ancora, una relazione, una risposta emotiva." (...) "La
nostra tesi è che il lavoro immateriale è predominante in termini
qualitativi, e ha imposto una tendenza alle altre forme del lavoro e
alla società nel suo complesso. Il lavoro immateriale occupa attualmente
la stessa posizione che il lavoro industriale occupava centocinquanta
anni fa
(...)
come in quella fase tutte le forme del lavoro e la società in quanto
tale dovettero industrializzarsi, così anche oggi sia il lavoro sia la
società devono informatizzarsi, devono diventare intelligenti,
comunicativi e affettivi". "L'egemonia del lavoro immateriale lo
sfruttamento non è più declinabile come espropriazione del valore
indicizzata sul tempo di lavoro individuale o collettivo, bensì come
cattura del valore prodotto dalla cooperazione lavorativa, valore che
diviene sempre più comune attraverso la sua circolazione nelle reti
sociali."
Le idee di H&N sono vicine a quelle di Gorz, secondo il quale
"il termine 'economia della conoscenza' definisce degli sconvolgimenti
fondamentali del sistema economico. Esso implica che la conoscenza è
divenuta la principale forza produttiva. Che, di conseguenza, il
prodotto dell'attività sociale non è più, principalmente, il lavoro
cristallizzato bensì la conoscenza cristallizzata. Che il valore di
scambio delle merci, materiali o no, non viene più determinato in ultima
analisi dalla quantità di lavoro sociale generale che la merce contiene
ma, soprattutto, dal contenuto di conoscenza, di informazione,
d'intelligenza generale. E' quest'ultima, e non più il lavoro sociale
astratto, misurabile secondo un unico standard, che diventa la
principale sostanza sociale comune a tutte le merci. E' questa che
diventa la principale fonte di valore e di profitto, e perciò, secondo
numerosi autori, la principale forma di lavoro, e di capitale"
(...)"
L'eterogeneità
delle attività lavorative dette 'cognitive', dei prodotti immateriali
che esse creano e delle capacità e dei saperi che esse implicano, rende
non misurabile tanto il valore della forza lavoro quanto quella dei suoi
prodotti (...) La crisi della misura del lavoro porta inevitabilmente
la crisi della misura del valore. Quando il tempo socialmente necessario
per una produzione diventa incerto, quest'incertezza non può non
ripercuotersi sul valore di scambio di quel che viene prodotto. Il
carattere sempre più qualitativo, sempre meno misurabile del lavoro,
mette in crisi la pertinenza della nozione di 'pluslavoro' e di
'plusvalore'. La crisi della misura del valore mette in crisi la
definizione dell'essenza del valore".
E' più facile comprendere intuitivamente lo sfruttamento (e dunque il
pluslavoro, ed il valore) quando si vedono immagini di file di operaie
che cuciono jeans, come attualmente avviene in Cina, che quando vediamo
immagini di robot, che formano la catena di montaggio di un'industria
automobilistica, sorvegliati da dei lavoratori che stanno di fronte allo
schermo del loro computer. Tuttavia, se si prende per angolo di visione
la produzione totale di merci, legate al lavoratore collettivo, e non
la produzione dei beni materiali o immateriali legata al lavoro
individuale di ciascuno, non c'è alcuna ragione di dubitare che la
produzione capitalista è sempre basata sul valore legato all'estrazione
di pluslavoro. Il dubbio e l'incredulità di H&N ( e di Gorz), in
rapporto alla nozione di valore nel periodo del dominio formale del
capitalismo, troverebbe un equivalente nel fatto di dubitare
dell'attrazione terrestre quando si videro decollare i primi aerei.
Un concetto essenziale per affrontare l'evoluzione del capitalismo
nel XX secolo, è quello del passaggio dal dominio formale al dominio
reale. Marx aveva già tracciato a grandi linee, in un "capitolo inedito
del Capitale", le caratteristiche essenziali del passaggio alla
sottomissione reale del lavoro al capitale, che egli chiamava il "modo
di produzione specificamente capitalista", e le implicazioni di un tale
passaggio per il carattere sociale della produzione, e l'emergere del
"lavoratore collettivo".
"Nello svilupparsi, le forze di produzione della società, o forze
produttive del lavoro, si socializzano, e divengono direttamente sociali
(collettive), grazie alla cooperazione, alla divisione del lavoro in
seno all'officina, all'impiego di macchinari e, in generale, alle
trasformazioni che subisce il processo di produzione, grazie
all'utilizzo cosciente delle scienze naturali, della meccanica, della
chimica, ecc., applicate a determinati fini tecnologici, e grazie a
tutto quello che si collega al lavoro effettuato su grande scala, ecc.
(Solo questo lavoro socializzato è in grado di applicare i prodotti
generali dello sviluppo umano - per esempio la matematica - al processo
di produzione immediato, essendo, a loro volta, lo sviluppo di queste
scienze, determinato dal livello raggiunto dal processo di produzione
materiale)".
"La sottomissione reale del lavoro al capitale si accompagna ad una
rivoluzione completa (che continua e si rinnova costantemente, cfr. Il
Manifesto Comunista) del modo di produzione, della produttività del
lavoro, e dei rapporti tra capitalisti ed operai". "E' così che la
produzione capitalista tende a conquistare tutti i settori
dell'industria dove ancora non domina e dove regna solo una
sottomissione formale. Non appena si è impadronita dell'agricoltura,
dell'industria estrattiva, dei principali settori tessili, ecc., essa
guadagna quegli altri settori dove la sottomissione è puramente formale,
ossia dove sussistono ancora dei lavoratori indipendenti".
"Se la produzione di plusvalore assoluto corrisponde alla sottomissione
formale del lavoro al capitale, quella del plusvalore relativo
corrisponde alla sottomissione reale del lavoro al capitale". "Il
risultato materiale della produzione - oltre allo sviluppo delle forze
di produzione sociale del lavoro - è l'aumento della massa di prodotti,
la moltiplicazione e la diversificazione dei settori e dei rami della
produzione, per cui solo il valore di scambio si sviluppa allo stesso
tempo delle sfere di attività nelle quali i prodotti si realizzano come
valore di scambio".
"Questa produzione non è affatto ostacolata da dei limiti fissati in
anticipo o determinata dai bisogni. (...) Il suo carattere antagonista
tuttavia impone alla produzione dei limiti che esso cerca continuamente
di oltrepassare: da qui le crisi, la sovrapproduzione, ecc. Ciò che
rende negativo o antagonista il suo carattere, è che esso si svolge in
contrasto coi produttori e senza riguardo per loro, essendo dei semplici
mezzi per produrre, mentre, divenuta un fine in sé, la ricchezza
materiale si sviluppa in opposizione all'uomo ed a sue spese. La
produttività del lavoro significa il massimo del prodotto con il minimo
del lavoro, in altre parole, delle merci al miglior prezzo possibile.
Nel modo di produzione capitalista, questo diviene una legge,
indipendentemente dalla volontà del capitalista. In pratica, questa
legge ne implica un'altra: i bisogni non determinano il livello della
produzione, ma, al contrario, la massa dei prodotti viene fissata ad un
livello sempre crescente, prescritto dal modo di produzione. Ora, lo
scopo di questo è che ciascun prodotto contenga il più possibile di
lavoro non pagato, cosa che si può realizzare solo producendo per la
produzione".
Leggendo queste citazioni, si può vedere che nel disegno a grandi
linee dello sviluppo del modo di produzione specificamente capitalista
(il carattere antagonista della produzione, l'incorporazione della
scienza e della tecnica ...), Marx dà un ruolo centrale alla legge del
valore, al fatto che "ciascun prodotto contenga il più possibile di
lavoro non pagato". La produzione immateriale è, quanto ad essa,
delineata da Marx, ma in modo molto succinto:
"La produzione immateriale, effettuata per lo scambio, fornisce anch'essa delle merci, e sono possibili due casi:
1°)
le merci che ne risultano hanno un'esistenza separata dal produttore e,
nell'intervallo tra produzione e consumo, possono circolare come
qualsiasi altra merce. Così, i libri, i quadri ed altri oggetti d'arte
possono staccarsi dall'artista che li ha creati. Tuttavia, la produzione
capitalista qui non può essere applicata che in misura assai limitata.
Queste persone, se non impiegano nessun apprendista o operaio (come
avviene per gli scultori), lavorano più spesso per un mercante
capitalista, ad esempio per un editore. E' questa una forma di
transizione verso il modo di produzione capitalista semplicemente
formale (...)
2°)
il prodotto è inseparabile dall'atto che lo produce. Anche qui il modo
di produzione capitalista gioca solo negli stretti limiti e, a seconda
della natura della cosa, in qualche rara sfera (voglio il medico, e non
il suo fattorino). Per esempio, negli stabilimenti di insegnamento, "i
maestri possono essere dei puri salariati dall'imprenditore della
fabbrica scolastica". Marx ha anche affrontato la questione
dell'incorporamento della scienza, delle conoscenze, nel processo di
produzione: "La scienza, prodotto intellettuale generale di sviluppo
della società appare, anch'essa, direttamente incorporata nel capitale, e
le sue applicazioni nel processo di produzione materiale indipendente
dal sapere e dalla capacità dell'operaio individuale: lo sviluppo
generale della società, essendo sfruttata dal capitale grazie al lavoro e
agendo sul lavoro come forza produttiva di capitale, appare come lo
sviluppo stesso del capitale, tanto più che per molti la capacità del
lavoro è svuotata della sua sostanza."
Le implicazioni per la definizione di lavoro produttivo e di classe operaia più generalmente, sono chiaramente esposte da Marx:
"con
lo sviluppo della sottomissione reale del lavoro al capitale, o modo di
produzione specificamente capitalista, il vero agente del processo di
lavoro totale non è più il lavoratore individuale, ma una forza lavoro
che si combina sempre più socialmente. In queste condizioni, la numerosa
forza lavoro che coopera e forma la macchina produttiva totale,
partecipa in maniera, la più diversa, al processo immediato di creazione
delle merci, o meglio dei prodotti: gli uni lavorando
intellettualmente, gli altri manualmente, gli uni come dirigenti,
ingegneri, tecnici o come sorveglianti, gli altri, infine, come operai
manuali, oppure semplici ausiliari. Un numero crescente di funzioni
della forza lavoro prende il carattere immediato di lavoro produttivo,
essendo quelli che lo eseguono degli operai produttivi direttamente
sfruttati dal capitale e sottomessi al suo processo di produzione e di
valorizzazione. Se si considera il lavoratore collettivo che forma
l'officina, la sua attività combinata si esprime materialmente e
direttamente in un prodotto globale, cioè a dire una massa totale di
merci. Perciò è del tutto indifferente determinare se la funzione del
lavoratore individuale consista più o meno in semplice lavoro manuale.
L'attività di questa forza lavoro globale viene consumata direttamente
in maniera produttiva dal capitale nel processo di auto-valorizzazione
del capitale: essa produce dunque immediatamente del plusvalore, o
meglio, come vedremo in seguito, essa trasforma direttamente sé stessa
in capitale."
Questa ampie citazioni mostrano che l'importanza crescente assunta
dalle conoscenze, dal "lavoro immateriale", nello sviluppo della
produzione capitalista non è perciò un fenomeno nuovo, ma un fenomeno
che si è accentuato alla fine del XX secolo, all'inizio del XXI. La
questione attivamente discussa oggi è quella di sapere se (e come?) il
lavoro immateriale cambia la nozione di valore, di pluslavoro, ecc. Per
mettere in prospettiva la questione, sembra necessario esplicitare le
tendenze contraddittorie. Vale a dire, (a) la generalizzazione della
legge del valore e la tendenza ad una produzione senza valore, (b) la
generalizzazione del lavoro salariato e la tendenza alla produzione
automatizzata, "senza operai".
(a) Generalizzazione della legge del valore e tendenza ad una "produzione senza valore"
Il valore designa sempre il valore di scambio di una merce contro
altre merci. Esso designa le diverse quantità di merci diverse contro le
quali un quantum di una merce specifica è scambiabile, cioè a dire il
rapporto di equivalenza delle merci, le une in rapporto alle altre.
Questo rapporto viene espresso in unità di una merce-standard che è
scambiabile con tutte le altre: il denaro. Nel corso degli ultimi
decenni, un gran numero di attività o di beni comuni è stato trasformato
in merci. Di nuovo, questo fenomeno è stato descritto da Marx:
"nella
produzione capitalista, la regola assoluta diviene, da una parte, la
produzione di articoli sotto forma di merci e, dall'altra parte, il
lavoro sotto forma salariata. Un gran numero di funzioni e di attività,
che, adornate di un'aureola e considerate come fini in sé, essendo una
volta esercitate gratuitamente oppure remunerate in maniera diversa
(...) si trasformano direttamente in lavoro salariato, per quanto
diversi siano i loro contenuti, ricadono sotto le leggi che regolano il
prezzo del salario, che è la stima del loro valore e dal prezzo delle
differenti prestazioni, da quello della puttana a quello del re (...)
Con lo sviluppo della produzione capitalista, tutti i servizi si
trasformano in lavoro salariato e tutti coloro che li esercitano in
lavoratori salariati, di modo che acquisiscano questo carattere in
comune con i lavoratori produttivi".
Lavori di casa, cura dei bambini, manutenzione dei giardini,
consulenze psicologiche, lezioni particolari, preparazione dei piatti
"da portar via", non mancano gli esempi di attività "una volta
esercitate gratuitamente oppure remunerate in maniera indiretta" che
oggi sono invece oggetto di uno scambio di mercato. Anche i beni comuni
che, a priori, non sono delle merci, perché non vengono prodotte in
vista di uno scambio, sono confiscati per mezzo di barriere artificiali
che ne riservano il godimento a coloro che pagano il diritto di
accesso. Sia che si pensi all'ossigeno (il verde) nelle città altamente
inquinate, o al genoma umano decodificato. "La privatizzazione delle
vie di accesso permette di trasformare delle ricchezze naturali e dei
beni comuni in quasi-merci che procurano una rendita ai venditori dei
diritti di accesso. Il controllo dell'accesso è (...) una forma
privilegiata della capitalizzazione delle ricchezze immateriali".
Il lavoro immateriale (per esempio sotto forma di software)
costituisce una delle espressioni della traiettoria del capitalismo
verso la produzione senza valore. Questa tendenza risulta
dall'introduzione della scienza e della tecnologia nel cuore stesso del
processo produttivo. L'introduzione della tecnologia nella produzione,
permette di economizzare molto più lavoro di quanto costi. Essa
distrugge più valore di quanto ne crei: economizza delle quantità
immense di lavoro socialmente remunerato e di conseguenza annulla o
diminuisce il valore di scambio di un numero crescente di prodotti.
Questa tendenza ha delle conseguenze distruttive: distruzione degli
stock, licenziamenti e disoccupazione, ... Ha anche un costo positivo:
la traiettoria del capitalismo fa sì che il valore di scambio tenda a
diventare obsoleto, e crea, nei rapporti di produzione, una tensione,
una contraddizione che prevede una sua soluzione per mezzo di un sistema
di produzione che non sia più basato sul valore.
Questi due fenomeni (generalizzazione della legge del valore e
tendenza ad una produzione senza valore) sono quindi contraddittori.
(b) generalizzazione del lavoro salariato e tendenza verso una produzione "senza operai"
In rapporto al sistema di produzione capitalista, sempre più persone
appaiono come venditori dell'unica qualità che posseggono: il lavoro
vivente, cioè a dire la loro forza lavoro. E' la conseguenza della
generalizzazione della legge del valore su tutti gli aspetti della
società. Nel corso dell'ultimo decennio, in Cina, si vede molto
chiaramente questo processo: i contadini vengono cacciati dalle loro
terre o le abbandonano lasciandole ad una parte delle loro famiglie, e
vanno a cercare lavoro nelle città.
Nel secolo scorso, il lavoro vivente poteva generalmente venire
integrato al processo di produzione e divenire lavoro salariato,
partecipando alla produzione di plusvalore e all'auto-valorizzazione del
capitale.
"Dunque,
è produttivo solo il lavoro che, per l'operaio, riproduce unicamente il
valore, determinato in anticipo, della sua forza lavoro e valorizza il
capitale per mezzo di un'attività creatrice di valore che mette di
fronte all'operaio dei valori produttivi in quanto capitale. Il rapporto
specifico tra lavoro oggettivo e lavoro vivente che fa del primo il
capitale, fa del secondo il lavoro produttivo.
Il
prodotto specifico del processo di produzione capitalista, il
plusvalore, viene creato unicamente ai fini dello scambio con il lavoro
produttivo. Ciò che ne costituisce il valore d'uso specifico per il
capitale, non è l'utilità particolare del lavoro o del prodotto nel
quale si oggettivizza, ma la la facoltà del lavoro di creare il valore
di scambio (plusvalore)".
Inoltre, lo sviluppo della produttività del lavoro ha come
conseguenza che una proporzione sempre più grande di "venditori di forza
lavoro" non trovano più a chi vendere questa forza lavoro, e vengono
perciò esclusi, temporaneamente o definitivamente, dal processo di
produzione: disoccupati di età superiore ai 50 anni nei paesi europei, i
giovani, ... Anche nei paesi come la Cina, la disoccupazione, il
sottoimpiego si è largamente diffuso. Questa contraddizione fra la
generalizzazione dello statuto di "venditore di forza lavoro" e il
ritiro (relativo, non assoluto) delle possibilità di incorporazione di
questa forza lavoro nel processo di produzione è interessante, perché è
uno degli ingredienti che spingono alla presa di coscienza
dell'obsolescenza del sistema capitalistico.
Le ragioni che spingono H&N a definire la produzione di prodotti
immateriali come delle "relazioni" oppure delle "relazioni emozionali", e
il valore come qualcosa che venga prodotto dal "lavoro cooperativo",
"che circola in seno alla rete sociale", sono di due ordini: confusione
fra valore e ricchezza sociale, e confusione fra produzione di relazioni
sociali, di emozioni, e produzione di valore. E' interessante dipanare
il filo di questa confusione, perché questo ci permette di toccare
quelli che sono degli aspetti essenziali della società attuale.
1°) la confusione fra valore e ricchezza sociale
Per H&N, tutto è produttivo. Dappertutto e sempre si dà
produzione di "valore". Il valore viene prodotto da tutti, che si sia o
no integrati nel processo di produzione, anche dai disoccupati, dagli
immigrati clandestini (i quali trovano dei modi per cavarsela). H&N
vedono la "produzione" come tutto ciò che viene fatto nella società,
tanto la produzione di automobili quanto il sorriso (o l'assenza di
sorriso) fra il manager e i suoi impiegati. Se parlo, produco valore; se
taccio, produco valore (il valore del silenzio). Siamo tutti come il
signor Jordain di Molière, che faceva prosa senza saperlo ... Questa
concezione chiarisce veramente qualcosa?
H&N non fanno distinzione fra valore e ricchezza materiale e
sociale. Ora, questa distinzione è essenziale al fini di comprendere
perché gli enormi aumenti di produttività generati dal capitalismo non
hanno portato a dei livelli generali di abbondanza sempre più elevati,
né ad una ristrutturazione fondamentale del lavoro sociale con una
conseguente riduzione generale significativa del tempo di lavoro.
"Da
un lato, la tendenza del capitale a degli aumenti permanenti di
produttività genera un apparato produttivo dotato di una considerevole
sofisticazione tecnologica che rende la produzione di ricchezza
materiale essenzialmente indipendente dal dispendio di lavoro umano
diretto. Dall'altro lato, questa tendenza apre la possibilità di ridurre
il tempo di lavoro a livello di tutta la società e di una
trasformazione fondamentale nella natura e nell'organizzazione del
lavoro. Tuttavia, nel capitalismo, queste possibilità non si realizzano.
Benché si faccia sempre meno ricorso al lavoro manuale, lo sviluppo di
una produzione tecnologicamente sofisticata non libera affatto la
maggioranza delle persone da un lavoro frammentato e ripetitivo.
Parimenti, il lavoro non viene ridotto al livello di tutta la società,
ma viene distribuito in modo ineguale, perfino aumentandolo, per molti.
La struttura attuale del lavoro e dell'organizzazione della produzione
non può perciò essere compresa solo in termini tecnologici: lo sviluppo
della produzione sotto il capitalismo deve essere compreso anche in
termini sociali." (Postone).
La traiettoria della crescita dentro il capitalismo è determinata dal
fatto che il fine ultimo della produzione è quello di aumentare il
plusvalore, e non la quantità di beni. "Detto in altri termini, la
traiettoria dell'espansione sotto il capitalismo non dev'essere confusa
con la 'crescita economica' in quanto tale - si tratta in realtà di una
traiettoria determinata, che genera una tensione crescente fra le
preoccupazioni ecologiche, da una parte, e gli imperativi del valore in
quanto forma della ricchezza e della mediazione sociale, dall'altra". Il
lavoro sotto il capitalismo risponde solo apparentemente ai bisogni
degli uomini ("lavoro concreto"): in realtà, vero fine in sé, esso serve
essenzialmente all'aumento del valore per il valore ("lavoro
astratto"):
"Il carattere astratto della mediazione sociale che sottende il
capitalismo, si esprime anche sotto la forma della ricchezza che domina
questa società. La 'teoria del valore-lavoro' di Marx, sovente è stata
compresa in maniera erronea come teoria della ricchezza-lavoro, cioè a
dire come teoria che cerca di spiegare il meccanismo del mercato e cerca
di provare l'esistenza dello sfruttamento affermando che il lavoro,
sempre e dappertutto, è la sola fonte sociale di ricchezza. Ma l'analisi
di Marx non è affatto un'analisi della ricchezza in generale, né del
lavoro in generale. Essa analizza il valore in quanto forma storicamente
specifica della ricchezza, in quanto forma legata al ruolo storicamente
unico del lavoro sotto il capitalismo: in quanto forma di ricchezza, il
valore è anche una forma di mediazione sociale. Marx ha esplicitamente
fatto distinzione fra valore e ricchezza materiale, ed ha legato queste
due forme distinte di ricchezza alla dualità del lavoro sotto il
capitalismo. La ricchezza materiale è determinata dalla quantità di beni
prodotti, e dipende da numerosi fattori, come il sapere,
l'organizzazione sociale e le condizioni naturali, oltre al lavoro. Il
valore, secondo Marx, è costituito solamente dal dispendio di tempo di
lavoro umano, ed esso è la forma dominante di ricchezza sotto il
capitalismo." (Postone).
Il valore, fine della produzione capitalista, rimane perciò legato all'estrazione di plusvalore dal lavoro umano.
Una deriva diretta della concezione che assimila valore e ricchezza
materiale e sociale, è quella che serve da base per la rivendicazione di
un "salario sociale", o "salario garantito", come quella espressa da
Guilloteau:
"Contro
la precarietà, è sul salario sociale, ovvero dissociato dal lavoro
remunerato da impresa, che si manifesta il rapporto di forza in seno
alla condizione salariale. Sappiamo che gli importi e le condizioni di
attribuzione esistenti, come insieme della gerarchia dei salari
garantiti dallo Stato, sono del tutto arbitrari. Bisogna trovare una
forma di accesso alla ricchezza materiale e sociale che risponda ai
bisogni dei lavoratori intermittenti, a tempo ridotto o in formazione.
Dopo la creazione dello SMIC, nel 1967, la socializzazione di un salario
staccato dall'implicazione produttiva individuale è divenuta evidente.
La produzione è immediatamente sociale. Grazie alle lotte contro il
lavoro, il suo carattere di attività collettiva viene parzialmente
retribuito. La cooperazione sociale allora cessa di essere una risorsa
gratuita. Se le lotte per il reddito garantito fanno seguito ad un
movimento secolare di riduzione del tempo di lavoro, è perché solo esse
tengono conto della confusione delle vecchie frontiere fra tempo di vita
e tempo di lavoro, superando la classica distinzione fra produzione e
riproduzione. Solo esse rispondono alla riduzione del tempo di lavoro
che caratterizza la precarietà."
Ma, come sottolinea Gorz, la giustificazione della rivendicazione del
"salario garantito" è contraddittoria. Parla innanzi tutto di
rispondere "ai bisogni dei lavoratori intermittenti", di staccare il
salario dalla "implicazione produttiva individuale". Ma poi glissa
rapidamente e dice che la produzione è "diventata sociale". Il salario
cessa allora di essere incondizionale, ma è legato alla retribuzione di
un'attività "collettiva", alla "cooperazione sociale". Questo esempio
mostra fino a che punto queste idee manchino di acutezza, di
radicalismo, di messa in discussione del sistema capitalista.
2°) la confusione fra produzione immateriale produzione di relazioni, di reazioni emotive
Il fatto che il capitalismo ponga sempre più l'accento sulle
relazioni sociali, anche in seno alle imprese o nel rapporto con il
potenziale acquirente, così come sulle reazioni emotive, è innegabile.
Tuttavia, possiamo dire che quando il controllore dei biglietti li buca
con il sorriso sulle labbra, anziché con un aria triste, allora produce
valore? Possiamo dire che la pubblicità per la Nike, che mostra degli
uomini o delle donne che corrono senza preoccuparsi dello stato della
strada, dell'acqua che scorre ... ci sia una produzione diretta di
valore? Di quale valore si sta parlando? Del valore di scambio,
monetario e di mercato, che è il solo che l'economia politica conosca?
Oppure del valore intrinseco, di ciò che è intrinsecamente desiderabile
e, per definizione, non scambiabile in quanto merce con le altre merci?
Piuttosto che produrre valore, l'immagine del marchio, gli slogan
pubblicitari, costituiscono degli strumenti attraverso i quali la merce
produce i suoi consumatori, cioè suscita i desideri, le voglie,
l'immagine di sé di cui la merce dovrebbe rappresentare l'espressione
più adeguata. L'importanza di un tale fenomeno è stata ben analizzata da
Naomi Klein nel suo libro "No logo" (vedere anche la critica
dettagliata, fatta da Aufheben, della nozione di lavoro immateriale di
H&N)
II. Il soggetto rivoluzionario: classe operaia o Moltitudini?
H&N riconoscono assai chiaramente i cambiamenti che hanno
interessato la classe operaia nei paesi occidentali, gli Stati Uniti, e
vedono nella precarietà, nella flessibilità, le nuove caratteristiche
della forza lavoro odierna: "vedremo come le identità compatte degli
operai dell'industria siano state erose dall'aumento dei contratti a
tempo determinato e dalla mobilità forzata che caratterizzano le nuove
fome di lavoro nei paesi dominanti". Alla domanda su chi sarà il
soggetto rivoluzionario dell'avvenire, rispondono col concetto di
"moltitudine": "Il nostro approccio iniziale consiste perciò nel
concepire la moltitudine come l'insieme di quelli che lavorano sotto la
tutela del capitale e dunque, potenzialmente, come la classe di quelli
che rifiutano il dominio del capitale. Il concetto di moltitudine è del
tutto distinto da quello di classe operaia, segnatamente come lo si è
inteso nel XIX e nel XX secolo. Il concetto di classe operaia è un
concetto restrittivo che si definisce per esclusione. Nella sua
accezione più stretta, designa solo le forme industriali di lavoro,
escludendo tutte le altre. Nel senso più largo, la classe operaia
include tutti i lavoratori salariati ed esclude di conseguenza le
diverse classi non salariate". "La società contemporanea si compone di
un numero potenzialmente infinito di classi sociale che riflettono delle
differenze che non sono esclusivamente di ordine economico, ma che
riguardano l'appartenenza etnica o comunitaria, l'appartenenza
geografica, il genere, la sessualità, insieme ad altri fattori". Secondo
loro, la determinazione economica alla resistenza ha preso il posto
della determinazione politica: "un'analisi del concetto economico di
classe sociale, così come un'analisi del concetto di razza, non deve
cominciare rilevando le differenze empiriche ma il fronte di resistenza
collettiva al potere. La classe è un concetto politico, nella misura in
cui una classe è, e non può essere altro che, un collettivo in lotta".
Il merito di questo approccio è quello di voler rompere con un
determinismo economico che vede le possibilità dell'emergere di una
coscienza rivoluzionaria solo come reazione a degli attacchi economici.
Ma se le determinazioni economiche sono meno evidenti, nella società di
oggi rispetto a quella dopo la seconda guerra mondiale, esistono sempre,
anche se ad un livello più astratto. Di fronte al capitalismo, la
classe operaia è costituita da quelli che hanno solo da vendere la loro
forza lavoro.
Abbiamo già detto, sopra, del modo in cui Marx ha esaminato le
conseguenze del passaggio dal dominio formale al dominio reale
sull'agente del processo di lavoro totale, che non è più il lavoratore
individuale, ma il lavoratore collettivo. Il passaggio dal fordismo al
post-fordismo ha avuto delle importanti conseguenze sulla "coscienza di
sé" di un tale "lavoratore collettivo". Lo sviluppo della precarietà,
dei sotto-statuti, la sostituzione della catena di produzione per mezzo
di robot sorvegliati da lavoratori, ecc., rendono difficile l'emergere
della coscienza di un destino comune. Ma, piuttosto che un numero
"infinito di classi sociali", la società moderna va verso una
semplificazione: un numero crescente di elementi vengono proletarizzati,
cioè non hanno altro che la loro forza lavoro da vendere. La categoria
"lavoro" perciò rimane, finché esiste il capitalismo, primordiale come
categoria mediatrice dei rapporti sociali, come sottolinea Postone:
"Marx cerca di individuare la forma più fondamentale dei rapporti
sociali che caratterizzano la società capitalista. Questa forma
fondamentale, è la merce: una forma storicamente specifica dei rapporti
sociali", costituita dal lavoro.
"In
una società dove la merce è la categoria fondamentale della
strutturazione della totalità, il lavoro ed i suoi prodotti non vengono
distribuiti socialmente per mezzo di legami, di norme e di rapporti
palesi di potere e di dominio tradizionali - cioè a dire di rapporti
sociali manifesti - come avviene nel caso di altre società. Al
contrario, è il lavoro stesso che sostituisce questi rapporti, servendo
da mezzo quasi oggettivo per mezzo del quale si acquisiscono i prodotti
degli altri. Viene per emergere una nuova forma di interdipendenza dove
nessuno consuma quello che produce, ma dove, tuttavia, il lavoro, o il
prodotto del lavoro, di ciascuno serve da mezzo necessario per ottenere i
prodotti degli altri (...)".
"Nell'opera del Marx della maturità, dunque, l'idea secondo la quale il
lavoro è centrale nella vita sociale, non è una proposizione
trans-storica. Non si rapporta al fatto che la produzione materiale
sarebbe un prerequisito per ogni vita sociale. Non significa perciò che
la produzione materiale sarebbe la dimensione più essenziale della vita
sociale in generale, o anche del capitalismo in particolare. In realtà,
nel capitalismo, essa si rapporta alla costituzione, storicamente
specifica, del lavoro come forma di mediazione sociale che caratterizza
fondamentalmente questa società. E' su questa base che Marx fonda
socialmente i tratti essenziali della modernità".
Anche la questione degli "esclusi" dalla produzione dev'essere
considerata. L'aumento della produttività del lavoro, legato
all'introduzione della tecnologia e della scienza nella produzione,
porta ad una diminuzione del tempo di lavoro necessario, quindi a
maggior disoccupazione, una massa più grande che non verrà mai integrata
nel processo di produzione, e che fa tuttavia parte della classe
operaia. La questione del lavoro, lungi dall'aver perso di importanza,
rimane al contrario al cuore della resistenza al capitalismo, e al cuore
delle battaglie a venire. "Né lavoratori, né disoccupati", recitava uno
slogan nel corso dell'assemblea dei giovani studenti (marzo-aprile
2006, Francia). Si assiste all'emergere di una coscienza, fra i giovani,
futuri lavoratori, del sistema di sfruttamento basato sul lavoro, e al
di fuori del quale rimane solo il rifiuto di entrare ciecamente in
questa logica.
Una delle questioni connesse, sollevata da H&N, riguarda il fatto
che la classe operaia si riconosce solo quando è in azione, e quando si
può misurare l'effetto della sua azione. In effetti, l'azione permette
di percepirsi come soggetto, e di distinguersi dagli altri. Tuttavia,
l'azione non basta a sé stessa. Quando i giovani delle periferie sono
entrati in azione (novembre 2005), i giovani universitari ed i
lavoratori attivi non hanno riconosciuto un tale movimento come facente
parte della classe operaia. Convergere nell'azione di resistenza, di
opposizione al capitalismo, necessita già di una coscienza del comune
destino, di ciò che unisce, cioè a dire del rifiuto dello sfruttamento
per mezzo del lavoro.
Inoltre, la tendenza della legge del valore ad invadere tutti gli
aspetti della vita sociale, si accompagna ad una maggiore fragilità
della base sociale del capitalismo: conflitti culturali, ecologici,
rivendicazioni degli omosessuali, dei giovani, degli studenti ... danno
l'impressione che la rivolta sia dappertutto ( e molto poco nelle
fabbriche ). Il concetto di classe operaia è un concetto superato della
storia? Quali sono le strade che prenderà il cambiamento rivoluzionario?
III. Il cambiamento: rivoluzione o presa del potere dall'interno?
H&N fanno parte di un movimento che sostiene che la rivoluzione
non è più indispensabile, che è possibile cambiare il mondo senza
prendere il potere,
"svuotandolo della sua sostanza e delegittimando il potere delle
istituzioni e di coloro che lo detengono, sottraendo all'impresa
planetaria del capitale degli spazi di autonomia sempre più crescenti, e
riappropriandosi di ciò di cui le popolazioni sono state spossessate.
Tutto avviene come se il movimento del software libero, e gli altri
movimenti come 'Reclaim the Streets', 'Ya Basta!', 'People's Global
Action', 'Un altro mondo è possibile', 'Via campesina', oppure come
'l'Armata Zapatista di Liberazione' - che non ha mai sparato un colpo ma
è riuscita ad unire decine di altri movimenti intorno ad una carta
comune - fossero i componenti di un solo movimento in via di
differenziazione e di ricomposizione perpetua, le cui reti libere
sarebbero la comune matrice (...) Non ci sarà nessuna rivoluzione
attraverso il rovesciamento del sistema da parte di forze esterne. La
negazione del sistema si diffonde all'interno per mezzo delle pratiche
alternative che suscita." (Gorz)
Questa concezione è vicina a quella di H&N, svolta nella terza
parte del loro libro, intitolata "democrazia". H&N identificano tre
tipi di rivendicazioni (che preferiscono chiamare "rimostranze") le
quali suscitano delle opposizioni: quelle che riguardano la
rappresentanza (per esempio, la mancanza di rappresentatività delle
istituzioni globali come il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, l'FMI);
quelle che riguardano il diritto, la giustizia e la povertà economica:
"il reddito medio dei 20 paesi più ricchi del pianeta è 37 volte più
elevato del reddito medio dei paesi più poveri - uno scarto che si è
raddoppiato nel corso degli ultimi 40 anni. Anche quando queste cifre
sono ponderate tenendo contro del potere di acquisto, lo scarto rimane
astronomico. La costruzione del mercato mondiale e l'integrazione
globale delle economia nazionali non ci avvicinano gli uni agli altri,
ma al contrario, non fanno altro che accrescere il fardello che grava
sui poveri" (H&N); e le rivendicazioni biopolitiche, fra cui le
rivendicazioni ecologiche, che sono necessariamente di ordine mondiale:
movimenti contro l'inquinamento, contro le grandi dighe che comportano
la deportazione di popolazioni di centinaia di migliaia di persone,
movimenti contro la privatizzazione del genoma umano, privatizzazione
della natura e delle conoscenze necessarie alla produzione di farmaci.
H&N ravvisano in questo uno sforzo reale di integrazione dei temi e
delle fonti di insoddisfazione sociale, che esiste a livello mondiale.
Noi pensiamo che questi movimenti emergono come reazione alla
traiettoria del capitalismo nel suo periodo di decadenza, che distrugge
il pianeta, accentua le disuguaglianze economiche, saccheggia le risorse
dei paesi del Terzo Mondo o "in via di sviluppo". Questi movimenti
testimoniano l'emergere della coscienza che la "soluzione" può essere
solo mondiale, che è necessario un governo mondiale, il quale si
preoccupi dei bisogni del genere umano, e non dei bisogni del profitto
del capitalismo. E' questa la nuova utopia, il nuovo progetto sociale,
che tende a polarizzarsi per mezzo di questi movimenti. Ma l'idea che ci
si possa arrivare per mezzo di un'evoluzione "venuta dall'interno", per
mezzo di istanze democratiche internazionali, facendo dell'economia una
rivoluzione cosciente, chiara sui principi dell'abolizione del
capitalismo, del lavoro salariato, ... crediamo che semini confusione,
più di ogni altra cosa.
Alex Callinicos sottolinea giustamente fino a che punto l'ideologia
autonomista abbia contribuito largamente a ridurre i manifestanti
pacifisti del G8 di Genova del 2001, allo stato di vittime passive del
terrore poliziesco. Le Tute Bianche avevano annunciato, prima del
vertice di Genova, l'obsolescenza della sinistra tradizionale ed il
superamento "di tutte le opposizioni classiche del XX secolo: riformismo
contro rivoluzione, avanguardie contro movimento, intellettuali contro
operai, presa del potere contro esodo, violenza contro non violenza". Il
20 luglio 2001, le manifestazioni delle Tute Bianche furono preda dei
violenti attacchi polizieschi che impedirono loro di raggiungere la zona
rossa dove si teneva il G8: gas lacrimogeni, autoblindo, pallottole ...
A forza di fare l'elogio dei movimenti alter-mondialisti che
"svuotano il potere della sua legittimità senza sparare un solo colpo", a
forza di descrivere solo il movimento visibile, e non le contraddizioni
astratte che lo animano, H&N rischiano di trovare delle affinità
con ... la sinistra socialdemocratica. Si può trovare nelle teorie di
H&N una teoria della globalizzazione vicina a quel pensieri e che
permette loro di assumerne le conseguenze, ricevendone degli inattesi
titoli nobiliari. E recuperare facilmente le idee di H&N:
"Così,
Mark Leonard, un ideologo blairista particolarmente grossolano, ha
pubblicato un'intervista entusiasta con Negri, nella quale ha lodato
quest'ultimo per aver arguito che la globalizzazione è un'opportunità
per una sinistra preoccupata della libertà e della qualità della vita,
piuttosto che preoccupata per una riduttiva ricerca dell'uguaglianza fra
i gruppi, cosa che suona più da Tony Blair che da Toni
Negri".(Callinicos)
Altre dichiarazioni, mostrano come H&N abbiano più la
preoccupazione di piacere al più grande numero di persone possibili, che
una preoccupazione rivoluzionaria (cioè un cambiamento radicale della
società). Sulla questione "riforme o rivoluzione", H&N difendono
l'argomento che "non c'è contraddizione fra riforme e rivoluzione. Anche
se esse restano due concetti distinti, nelle condizioni attuali ci
sembrano inseparabili. La trasformazione storica cui assistiamo è così
radicale che delle proposte riformiste possono bastare a portare dei
cambiamenti rivoluzionari. E quando le riforme democratiche del sistema
globale si rivelano incapaci di fornire le basi per una vera democrazia,
dimostrano ancora di più che una trasformazione rivoluzionaria è
necessaria e possibile. Perciò è inutile spremerci le meningi per sapere
se una proposta sia riformista o rivoluzionaria; serve assai più sapere
se essa sia parte o no di un processo costituente" (H&N).
Ancora più forte: H&N difendono i tribunali internazionali, in quanto "embrione di un sistema giudiziario globale"!!!
L'analisi di Marx afferma esplicitamente che una rivoluzione è
necessaria e possibile. Emanciparsi dal capitalismo non significa
liberare il lavoro e neppure redistribuire la ricchezza, ma emanciparsi
da queste astrazioni reali che sono il lavoro ed il valore. Il valore di
scambio tende a diminuire, in seguito all'introduzione nella produzione
della scienza e della tecnica. Diventa possibile liberarsi dal valore,
dalle forme concrete del lavoro, e dalle forme concrete della produzione
e della vita sociale modellate dalle strutture sociali astratte basate
sul valore. Noi facciamo nostre le parole di Postone:
"L'analisi
di Marx afferma esplicitamente che la forma di produzione industriale
fondata sul proletariato, così come una folle forma di crescita
economica, sono modellate dalla forma merce, e questo dimostra che le
forme di produzione e di crescita sarebbero diverse in una società dove
la ricchezza materiale sostituirebbe il valore, in quanto forma
dominante di ricchezza. E' il capitalismo stesso a generare la
possibilità di una tale società, di una diversa strutturazione del
lavoro, di una forma diversa di crescita e di una differente forma di
un'interdipendenza mondiale complessa - ma, allo stesso tempo, esso mina
strutturalmente la realizzazione delle sue possibilità."
Non si tratta semplicemente, come pensano i riformisti, di una
questione di riduzione della durata del lavoro, e neppure di installare
una società del tempo libero. Le parole di rivolta dei giovani nel
movimento anti-"contratto di primo impiego", che proclamano "né
disoccupati, né lavoratori", che rifiutano lo sfruttamento da e per
mezzo del lavoro, sono assai più chiare e vanno nel senso di un messa in
discussione del capitalismo.
Qualche parola per concludere
Riconoscere i cambiamenti intervenuti dopo la seconda guerra mondiale
circa il modo in cui il capitalismo si valorizza, riconoscere le
modifiche intervenute nella classe operaia, integrare le tematiche e le
cause di insoddisfazione sociale esistenti nella società industriale
avanzata, ecco una serie di obiettivi che il marxismo deve affrontare se
vuole contribuire all'emergere della coscienza di classe. I gruppi, le
tendenze che cercano di teorizzare questi cambiamenti non mancano, e
"Moltitudini" di H&N è un reale contributo a questo processo. Ma
bisogna situare questo sforzo nel quadro del marxismo, tornando al
nocciolo, sotto pena altrimenti di smussare l'acutezza della critica. In
caso contrario, H&N rischiano di essere i teorici dell'impotenza,
acclamati ad ogni loro nuova uscita, ma rapidamente dimenticati quando
si svilupperà il movimento rivoluzionario radicale.
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