domenica 10 agosto 2014

UN DELITTO, TANTI AUTORI di Gaetano Azzariti, Il Manifesto


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Un’infinita tri­stezza. È que­sto il sen­ti­mento che pre­vale nel momento in cui si assi­ste alla vota­zione del Senato sulla modi­fica della Costi­tu­zione. Domani ripren­de­remo la lotta per evi­tare il peg­gio: per­ché la legge costi­tu­zio­nale con­cluda il suo iter dovranno pas­sare ancora molti mesi e altri pas­saggi par­la­men­tari ci aspet­tano, poi — nel caso — il refe­ren­dum oppo­si­tivo. Dun­que, nulla è ancora per­duto. Salvo, forse, l’onore.
In pochi giorni il Senato non ha appro­vato una riforma costi­tu­zio­nale (buona o cat­tiva che si possa rite­nere), bensì ha distrutto il Par­la­mento sotto gli occhi degli ita­liani. Nes­suno dei pro­ta­go­ni­sti è stato esente da colpe. Si è assi­stito a una sorta di omi­ci­dio seriale, cia­scuno ha inferto la sua pugna­lata. Alcuni con mag­gior vigore, altri con imper­do­na­bile incon­sa­pe­vo­lezza, altri ancora non tro­vando altre vie d’uscita.

Il mag­gior respon­sa­bile è cer­ta­mente stato il Governo che ha diretto l’intera ope­ra­zione, senza lasciare nes­suno spa­zio all’autonomia del Par­la­mento. Le pro­gres­sive impo­si­zioni e l’ininterrotta inva­si­vità dell’azione del Governo in ogni pas­sag­gio par­la­men­tare hanno annul­lato di fatto il ruolo costi­tu­zio­nale del Senato. Non s’è trat­tato solo dell’anomalia della pre­sen­ta­zione di un dise­gno di legge gover­na­tivo in una mate­ria tra­di­zio­nal­mente non di sua competenza.
Ma anche nell’aver costretto la Com­mis­sione — in modo poco tra­spa­rente — a porre que­sto come testo base nono­stante la discus­sione avesse fatto emer­gere altre mag­gio­ranze. E poi, ancora, nell’aver voluto con­trol­lare tutto il lavoro dei rela­tori — è la pre­si­dente della Com­mis­sione che ha rico­no­sciuto che il Governo ha “vistato” gli emen­da­menti pre­sen­tati appunto dai rela­tori — con buona pace dell’autonomia del man­dato par­la­men­tare e del rispetto della divi­sione dei poteri.
Non solo i rela­tori, ma ogni sena­tore ha dovuto con­fron­tarsi non tanto con l’Assemblea bensì con la volontà gover­na­tiva, e molti si sono pie­gati. Mi dispiace doverlo dire, ma l’andamento dei lavori ha dimo­strato come un certo numero degli attuali sena­tori non ten­gano in nes­sun conto non solo la Costi­tu­zione, ma nep­pure la respon­sa­bi­lità poli­tica, di cui cia­scuno di loro dovrebbe essere tito­lare dinanzi al corpo elettorale.
I pochis­simi voti segreti con­cessi su que­stioni del tutto mar­gi­nali hanno for­nito la prova di quanto fos­sero con­di­zio­nati e insin­ceri i voti palesi. È stato così pos­si­bile evi­den­ziare l’esteso numero dei rap­pre­sen­tanti della nazione che hanno votato con la mag­gio­ranza solo per timore di essere messi all’indice dagli stati mag­giori dei rispet­tivi par­titi. Una lace­ra­zione costi­tu­zio­nal­mente insop­por­ta­bile. Se non si garan­ti­sce (o non si eser­cita) la libertà di coscienza sui temi costi­tu­zio­nali il prin­ci­pio del libero man­dato serve vera­mente a poco. E tutto è stato fatto, invece, per vin­co­lare i rap­pre­sen­tanti alla disci­plina di par­tito. Ancora un colpo all’autonomia del Par­la­mento inferto — più che dal Governo o dai par­titi — da que­gli stessi sena­tori che non si sono voluti opporre pale­se­mente a ciò che pure non condividevano.
S’è discusso e pole­miz­zato sulla con­du­zione dei lavori, sull’interpretazione dei rego­la­menti e dei pre­ce­denti. Quel che lascia basiti è però altro. Ciò che è man­cato è la con­sa­pe­vo­lezza che si stesse discu­tendo di una riforma pro­fonda del nostro assetto dei poteri e degli equi­li­bri com­ples­sivi defi­niti dalla Costi­tu­zione. Se si fosse par­titi da que­sto assunto non si sarebbe potuto accet­tare, in nes­sun caso, un anda­mento che ha sostan­zial­mente impe­dito ogni seria discus­sione su tutti i punti della revi­sione pro­po­sta. Non si sarebbe dovuto assi­stere allo spet­ta­colo sur­reale che ha visto prima esau­rire nella rissa e nel caos il tempo della discus­sione, per poi pro­ce­dere a un’interminabile serie di vota­zioni, con un’Assemblea muta e irri­fles­siva che mec­ca­ni­ca­mente respin­geva ogni emen­da­mento dei sena­tori di oppo­si­zione e appro­vava la riforma defi­nita dagli accordi con il Governo. Spetta al pre­si­dente di assem­blea diri­gere i lavori garan­tendo la discussione.
Non credo possa affer­marsi che ciò sia avve­nuto. Anche in que­sto caso per il con­corso di molti. Per­sino dell’opposizione, la quale ha dovuto uti­liz­zare l’arma estrema dell’ostruzionismo che, evi­den­te­mente, osta­cola una discus­sione razio­nale e pacata. Ciò non toglie che non si doveva accet­tare nes­suna for­za­tura sui tempi, nes­suna inter­pre­ta­zione rego­la­men­tare restrit­tiva dei diritti delle oppo­si­zioni, nes­suna uti­liz­za­zione esten­siva dei pre­ce­denti. Si doveva invece ricer­care il dia­logo, la tra­spa­renza, il con­corso di tutti i rap­pre­sen­tanti della nazione. Era com­pito di tutti creare un clima “costi­tu­zio­nale”, ido­neo alla riforma. Nes­suno lo ha ricer­cato. E temo non sia solo una que­stione di tem­pe­ra­tura, ma — ahimè — di cul­tura costi­tu­zio­nale che non c’è.

La con­clu­sione di ieri ha san­cito la dis­sol­venza del Par­la­mento. La dele­git­ti­ma­zione dell’organo tito­lare del potere di revi­sione della Costi­tu­zione è alla fine stata san­zio­nata dagli stessi suoi com­po­nenti. Il rifiuto di par­te­ci­pare al voto con­clu­sivo da parte di tutti gli oppo­si­tori rende palese che non si può pro­se­guire su que­sta strada. Vedo esul­tare la mag­gio­ranza acce­cata dal suc­cesso di un giorno, mi aspetto qual­che rozza bat­tuta rivolta alla oppo­si­zione “che fugge”. Ma spero che, oltre la cor­tina dell’irrisione, qual­cuno si fermi per pen­sare a come rime­diare. La Costi­tu­zione non può essere impo­sta da una mag­gio­ranza poli­tica senza una discus­sione e con­tro l’autonomia del Parlamento.

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