Fra un twit e l’altro scritto da chissà quale segretario addetto alla rete, Renzi si avvicina al giorno della locusta. A quel 29 agosto in cui il consiglio dei ministri dovrà mettergli qualche carta in mano per affrontare il giorno dopo Bruxelles e le nomine dei commissari mancanti, ma anche nelle settimane successive la richiesta di maggiore flessibilità. I fumosi pasticetti su giustizia e scuola sono soltanto l’ennesimo gioco di specchi per tentare di nascondere il terzo fallimento a cui assistiamo dopo Monti e dopo Letta.
La situazione è chiara: il debito aumenta, il pil cala, l’economia va a fondo senza che la dottrina dell’austerità fornisca vie d’uscita ai danni che essa stessa provoca e che tuttavia è inevitabile in presenza di una moneta comune. Quindi per star dietro ai parametri stabiliti dai trattati, anche nel caso che essi diventino un tantino più elastici, occorre tagliare selvaggiamente le spese il che implica un ulteriore calo di pil oltre a una drammatica diminuzione dei servizi e del welfare, aumentare le tasse o svendere tutto il patrimonio di beni e attività pubbliche per far cassa. Ma qui non c’è accordo nella maggioranza di fatto che sostiene il governo Renzi: un aumento della pressione fiscale è fumo negli occhi per Forza Italia e alfaniani, oltre ad essere difficilmente praticabile per tutti, una rapina ai danni delle pensioni oltre 2500 euro sarebbe un gesto suicida per il Pd che già pare in via di scollamento dopo l’ubriacature del 40% e per quanto riguarda i tagli tutti difenderanno a spada tratta i propri orticelli elettorali. Una situazione dalla quale nemmeno la Bce con qualche quatitative easing può tirarci fuori, visto che qualunque mossa di questo tipo, non farebbe che aumentare il debito sia pure a condizioni più leggere rispetto a quelle di mercato, ossia stabilite dalle altre banche.
Insomma una situazione nella quale un leader che vive di pura immagine, scolpito dentro un establishment inconsistente e votato al più ignobile gattopardismo, messo nell’angolo dalla sua stessa incapacità e impotenza, potrebbe anche non essere in grado di far fronte alle spinte centrifughe non più contenute dalla “ripresa” nemmeno statistica. Le stesse connotazioni caratteriali che ne hanno fatto il personaggio ideale per sedare in Italia le pulsioni euroscettiche al momento delle elezioni e spostarle verso un appoggio dello statu quo, adesso potrebbero rivelarsi di ostacolo ai piani europei. E non a caso che nelle settimane scorse, sono partiti dei pizzini per far intendere a lui e a tutto il sistema politico che a questo punto sarebbe meglio un governo diretto della troika sul Paese. Messaggi poco importa se dettati da un cinismo ormai troppo stagionato o da pervicaci illusioni senili.
Renzi avvisato, mezzo salvato. Anche perché, con l’approfondirsi della crisi, le dimostrazioni di forza in campo europeo, come l’insistere sulla Mogherini ministro degli esteri, unica ragione dell’attivismo irakeno di questi giorni al fine di compiacere e rassicurare Obama, hanno ormai poco effetto nel far credere che a Bruxelles contiamo davvero qualcosa. Anche a Renzi toccherà seguire l’agenda che fu di Monti e di Letta e rinunciare ai panni del finto rinnovatore da amici miei: ha sbagliato i tempi, trascinato dall’incauto miraggio della crescita, ha accelerato la successione, come del resto si suggeriva colà dove si puote. E ora sono twit amari.
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