Oggi 27
Aprile giunge alla discussione in aula il famigerato
“Italikum”: a costo di
apparire come novelli e ripetitivi Catone
con il suo “Delenda Cartagho” è bene
ribadire ancora la
necessità di un’opposizione ferrea fuori e dentro il
Parlamento.
E’ in gioco la Democrazia Costituzionale e
Repubblicana.
Prima di
tutto deve essere rimarcato come il nostro sistema politico affronta, per la
terza volta in vent’anni, il tema della legge elettorale: un segnale
d’incapacità dall’interno del sistema stesso di prevedere un senso “storico”
del cardine attorno al quale ruota l’intero sistema politico. Perché la legge
elettorale è proprio questo: il vero e proprio cardine del sistema.
Si sta
cercando così, con una svolta autoritaria, di uscire dall’incertezza di
un’infinita transizione e dal mancato assestamento attorno ad una formula ben
precisa considerata la crisi irreversibile del tentativo di bipolarismo
effettuato attorno agli anni’90 del secolo scorso.
L’idea,
oggi, è molto simile a quella attorno a cui si sviluppò la legge Acerbo del
1924: un “Partito della Nazione” (in quel caso quello fascista) con attorno una
opposizione suddivisa in piccoli cespugli. Da lì, poi, originarono le leggi
fascistissime e il partito unico.
Ben diversa
era la “ratio” della “Legge Truffa” del 1953 che puntava, tutto sommato, a una
sorta di articolazione del bipolarismo (a quel tempo “ideologico” senza
previsione di ricambio al Governo) tra la DC – possibilmente con la maggioranza
assoluta – e i suoi piccoli alleati centristi versus il blocco socialcomunista.
Il risultato delle elezioni del 7 Giugno di quell’anno determinò, invece, una
articolazione diversa del sistema aprendo la strada, tra sussulti non
indifferenti durati dieci anni, alla formula del centro-sinistra in un sistema
di “multipartitismo centripeto” con i partiti situati alle ali, destra e
sinistra, in utilizzabili per formule di governo stabili, salvo appoggi di
maggioranza in circostanze eccezionali (il governo Tambroni, la “solidarietà
nazionale” nella fase del terrorismo e del rapimento Moro).
Oggi,
appunto, l’idea è quella di un autoritarismo di nuovo conio (tenendo conto
anche della ferrea gestione monetarista del ciclo economico - finanziario
imposta dall’Europa) quale esaltazione e suffragio del meccanismo di
personalizzazione della politica e di svuotamento di senso dei partiti
affermatosi nel ventennio precedente, caratterizzato dall’egemonia culturale di
una pericolosa destra populista che ha fatto da modello per l’intero sistema e
il cui testimone viene oggi raccolto in pieno da un Partito Democratico fondato
sull’individualismo competitivo e una gestione del potere, a livello locale,
conteso tra bande rivali imperniate sul concetto del “trasformismo
corporativo”.
Non deve
essere dimenticato, ancora, come si arrivi alla modifica della legge elettorale
sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale (n.1/2014) che ha
giudicato fuori dal terreno costituzionale, la precedente legge varata nel
2005.
Quali sono
allora i punti di maggiore criticità del progetto che oggi la Camera comincerà
a discutere:
Si tratta,
in pratica, di un’elezione diretta del Presidente del Consiglio che assumerebbe
così le vesti di un premierato e/o di un cancellierato senza i contrappesi che
i sistemi di questo tipo hanno in altri Paesi e in presenza di una sola Camera
abilitata a concedere la fiducia ed eletta attraverso il meccanismo della
concessione di un abnorme premio di maggioranza. Inoltre, e ancora più grave,
l’elezione diretta del Presidente del Consiglio non solo farebbe uscire
praticamente il nostro sistema istituzionale dal quadro di Repubblica
Parlamentare previsto dalla Costituzione, ma contrasterebbe (creando un vero e
proprio punto di “frattura” istituzionale) con l’elezione del Presidente della
Repubblica prevista, com’è noto, a livello parlamentare e di delegati
regionali. Un fatto gravissimo di alterazione nell’equilibrio delle fonti
stesse dei diversi poteri politico – istituzionali;
Tutto questo si verificherebbe in ragione dell’assegnazione di un abnorme
premio di maggioranza: un’anomalia già condannata dalla Corte Costituzionale
nell’occasione della bocciatura delle parti fondamentali della precedente legge
elettorale del 2005. Un premio di maggioranza che, alla fine utilizzando adesso
dati di previsione del tutto attendibili, attribuirebbe al partito di
maggioranza relativa un premio superiore al 50% dei voti da esso conseguito. Mi
è già capitato di fare l’esempio e lo ripeto in questa sede: il PD ha disposto,
nell’occasione delle elezioni europee del 2014, di circa 11 milioni di voti.
Per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, in un caso assolutamente
plausibile di circa 32 milioni di voti validi, il “regalo” sarebbe di circa 6
milioni di voti. Quindi un regalo di più del 50% dei voti conseguiti. Anche a
cifre più ridotte comunque la sostanza dell’abnormità del premio, considerati
anche gli effetti sistemici che esso comporta non cambia: reductio del quadro
politico – parlamentare in una misura del tutto insufficiente rispetto a una
minima espressione delle sensibilità democratiche del Paese. Sotto
quest’aspetto non inganni la soglia al 3% indice di tentativo di
polverizzazione e di progressiva cancellazione; addirittura elezione diretta
del Presidente del Consiglio.
Inoltre il
blocco dei capilista nel 100 collegi, sottratti al gioco delle preferenze,
significherebbe che almeno il 50% dell’intera Assemblea resterebbe di nominati
e non di eletti (il Senato sarebbe invece costituito interamente di nominati:
magari in misura doppia essendo possibile la presenza di Senatori, Consiglieri
Regionali eletti nella loro Regione attraverso i listini “bloccati” collegati
ai Candidati Presidenti).
Nella
sostanza: un ceto politico che elegge e rielegge se stesso.
Un vulnus
gravissimo a una sia pur minima concezione della democrazia.
Queste sono
le ragioni di fondo per le quali è necessaria l’opposizione parlamentare e la
più forte mobilitazione dal basso al riguardo della quale è necessario non
stancarci di richiamarne il grande valore politico e morale.
Prestando attenzione a un punto,
infine: è probabile che si renderà necessario un nuovo ricorso alla Corte
Costituzionale. Se ne ravvedono tutti gli elementi. In quest’occasione però il
gruppo di avvocati che ha condotto la battaglia contro il “Porcellum” non può restare
isolato.
E’ indispensabile l’appoggio delle
forze politiche e dei gruppi organizzati che si sono già mossi nella giusta
direzione: in particolare dell’ANPI che ha argomentato con grande chiarezza la
propria opposizione e che è chiamata, con la sua forza e il suo grande
prestigio, ad agire in conseguenza.
Il richiamo alla mobilitazione non
può cadere nel vuoto e fermarsi al momento dell’eventuale approvazione in
Parlamento.
La posta in palio è troppo alta: ne
va della rappresentatività politica del Paese e di conseguenza della stessa
convivenza civile.
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