Sono
due gli aspetti inquietanti della vicenda che riguarda la legge
elettorale proposta da Matteo Renzi: il primo aspetto è la legge
elettorale stessa; il secondo è Matteo Renzi. L’una è figlia dell’altro
e, se approvata da un Parlamento addomesticato e tenuto in piedi da
conventicole di affari e di scambi dei medesimi, garantirà al governo
non una maggioranza da cui trarre la legittimazione per esercitare il
suo ruolo ma, bensì, una maggioranza con cui governare, simbioticamente,
senza alcuna soluzione di continuità tra Palazzo Chigi e il residuo
camerale che ne sarà dopo la riforma costituzionale.
Perché, è bene ricordarselo, l’Italicum è un tassello importantissimo, ma si inserisce nella più complessa destrutturazione dell’architrave democratico che garantiva passaggi certamente faticosi nella costruzione delle leggi e che, in nome di uno snellimento dei processi e di un favorire la vagheggiata e osannata “governabilità” nel nome della quale si sono compiute ormai da decenni danni (forse non) irreparabili a questo Paese sciagurato.
Ma il tutto finisce per essere dipinto dai giornali che fanno da grancassa al sistema renziano (la Repubblica, Corriere della Sera…) come uno scontro tra innovatori e conservatori: e guardate caso, gli innovatori sono coloro che pongono mano alle garanzie costituzionali e le sfracellano contro il muro del presunto “modernismo” innovatore che richiama il “rottamare” dei primi vagiti politici di Renzi, mentre i “conservatori” vanno da coloro che timidamente si oppongono e si adeguano subito dopo per finire con gente come noi che, invece, è una irriducibile critica senza appello al sindaco di Firenze e segretario del PD per le politiche di devastazione antisociale che conduce avanti da un anno a questa parte.
Mettere la fiducia sulla legge elettorale (anzi, metterla per ben tre volte…) è forse anche un segno di una qual certa debolezza politica del capo del governo, ma mi sembra sia, di più una forzatura estrema per ridisegnare ulteriormente i confini politici del Partito democratico e il perimetro della maggioranza di governo.
Con la richiesta di fiducia Renzi va alla conta, ma costringe l’intero arco politico italiano a misurarsi con un aut aut: o con lui o contro lui. Non c’è una scelta astensionistica possibile se non nel rifugiarsi in qualche solitario angolo attendista. Stare a vedere cosa accadrà per poi posizionarsi il giorno dopo a seconda di una tanto squallida quanto ormai inveterata inculturale e immorale convenienza personale. La morte della rappresentanza del bene comune si trova anche in questi pertugi nascosti all’apparenza e ben visibili alla prima benedizione governativa che li investe.
E se Renzi non dovesse superare la triplice fiducia? Cadrebbe il governo? E il Colle più alto delle nostre istituzioni repubblicane come si comporterebbe? Mattarella sarebbe alla sua prima prova pratica da Presidente della Repubblica e così sapremmo se ci troviamo innanzi ad un Capo dello Stato sulla scia di Napolitano o su una nuova via di diversa “interpretazione” (le virgolette sono più che d’obbligo…) della Costituzione.
La caduta di Renzi non è assolutamente detto che penalizzi il segretario del PD. Potrebbe al momento dare uno scossone al governo e all’asse costruito sino ad ora dall’ex sindaco di Firenze, ma alla lunga, con un ricorso magari al voto (sarebbe anche l’ora…), chi può dire quali giochi di potere si muoveranno per rimetterlo in sella e riportarlo ad essere l’alfiere della Banca Centrale Europea in Italia e il difensore del rigorismo merkeliano?
Confindustria, Marchionne e la FCA, la media impresa stessa e parte dei sindacati “dei lavoratori” (anche qui le virgolette, purtroppo, sono tremendamente d’obbligo…) sono schierati con l’asse Renzi – Poletti – Del Rio.
Manca un Napolitano, appunto, che garantisca sin da subito il revanchismo di questo triumvirato della Troika in Italia. Mattarella potrebbe riservarci delle sorprese. E purtroppo anche Renzi. Ancora e per molto tempo.
Per questo chi è di sinistra abbandoni il PD al suo destino per costruirne uno veramente alternativo e scongiurare al Paese un altro ventennio liberista, ferocemente liberista. Anticipare le mosse del nemico di classe dovrebbe essere un imperativo categorico per i comunisti e le sinistre non riformiste. Dovrebbe…
Perché, è bene ricordarselo, l’Italicum è un tassello importantissimo, ma si inserisce nella più complessa destrutturazione dell’architrave democratico che garantiva passaggi certamente faticosi nella costruzione delle leggi e che, in nome di uno snellimento dei processi e di un favorire la vagheggiata e osannata “governabilità” nel nome della quale si sono compiute ormai da decenni danni (forse non) irreparabili a questo Paese sciagurato.
Ma il tutto finisce per essere dipinto dai giornali che fanno da grancassa al sistema renziano (la Repubblica, Corriere della Sera…) come uno scontro tra innovatori e conservatori: e guardate caso, gli innovatori sono coloro che pongono mano alle garanzie costituzionali e le sfracellano contro il muro del presunto “modernismo” innovatore che richiama il “rottamare” dei primi vagiti politici di Renzi, mentre i “conservatori” vanno da coloro che timidamente si oppongono e si adeguano subito dopo per finire con gente come noi che, invece, è una irriducibile critica senza appello al sindaco di Firenze e segretario del PD per le politiche di devastazione antisociale che conduce avanti da un anno a questa parte.
Mettere la fiducia sulla legge elettorale (anzi, metterla per ben tre volte…) è forse anche un segno di una qual certa debolezza politica del capo del governo, ma mi sembra sia, di più una forzatura estrema per ridisegnare ulteriormente i confini politici del Partito democratico e il perimetro della maggioranza di governo.
Con la richiesta di fiducia Renzi va alla conta, ma costringe l’intero arco politico italiano a misurarsi con un aut aut: o con lui o contro lui. Non c’è una scelta astensionistica possibile se non nel rifugiarsi in qualche solitario angolo attendista. Stare a vedere cosa accadrà per poi posizionarsi il giorno dopo a seconda di una tanto squallida quanto ormai inveterata inculturale e immorale convenienza personale. La morte della rappresentanza del bene comune si trova anche in questi pertugi nascosti all’apparenza e ben visibili alla prima benedizione governativa che li investe.
E se Renzi non dovesse superare la triplice fiducia? Cadrebbe il governo? E il Colle più alto delle nostre istituzioni repubblicane come si comporterebbe? Mattarella sarebbe alla sua prima prova pratica da Presidente della Repubblica e così sapremmo se ci troviamo innanzi ad un Capo dello Stato sulla scia di Napolitano o su una nuova via di diversa “interpretazione” (le virgolette sono più che d’obbligo…) della Costituzione.
La caduta di Renzi non è assolutamente detto che penalizzi il segretario del PD. Potrebbe al momento dare uno scossone al governo e all’asse costruito sino ad ora dall’ex sindaco di Firenze, ma alla lunga, con un ricorso magari al voto (sarebbe anche l’ora…), chi può dire quali giochi di potere si muoveranno per rimetterlo in sella e riportarlo ad essere l’alfiere della Banca Centrale Europea in Italia e il difensore del rigorismo merkeliano?
Confindustria, Marchionne e la FCA, la media impresa stessa e parte dei sindacati “dei lavoratori” (anche qui le virgolette, purtroppo, sono tremendamente d’obbligo…) sono schierati con l’asse Renzi – Poletti – Del Rio.
Manca un Napolitano, appunto, che garantisca sin da subito il revanchismo di questo triumvirato della Troika in Italia. Mattarella potrebbe riservarci delle sorprese. E purtroppo anche Renzi. Ancora e per molto tempo.
Per questo chi è di sinistra abbandoni il PD al suo destino per costruirne uno veramente alternativo e scongiurare al Paese un altro ventennio liberista, ferocemente liberista. Anticipare le mosse del nemico di classe dovrebbe essere un imperativo categorico per i comunisti e le sinistre non riformiste. Dovrebbe…
MARCO SFERINI, La Sinistraquotidiana.it
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