Bisognerebbe
aver perso il naso per non sentire gli odori nauseabondi che salgono
dall’ultima vicenda di fuoco amico, l’uccisione a colpi di drone di un
cooperante italiano in Pakistan. Innanzitutto perché l’attacco Usa al
presunto covo di Al Qaeda in cui ha perso la vita Lo Porto era avvenuto a
gennaio e la certezza della sua identità è stata raggiunta, secondo le
fonti ufficiali, ai primi di marzo: dunque Obama sapeva quando ha
incontrato Renzi a Washington e ha taciuto in totale disprezzo
dell’Italia oppure l’ha detto al nostro premier il quale si è ben
guardato dal farne cenno in totale disprezzo degli italiani. Quello
stesso dimostrato dai media che evitano di porsi questo elementare
interrogativo.
Già questo allunga ombre molto inquietanti su una vicenda che non sta
in piedi da qualsiasi parte la si guardi e che purtroppo non è che un
singolo caso di storture e inganni assai più globali e radicali. Per
esempio come mai, dopo mesi di presunte e pazienti indagini (centinaia
di ore di sorveglianza, recita il mea culpa ufficiale) è stato
attaccato a colpi di drone un covo terrorista, senza nemmeno
sospettare che lì vi erano due rapiti storici come appunto l’italiano Lo
Porto e l’americano Weinstein? E come mai adesso si conoscono le
identità degli uccisi dal dna? Che sistema è quello di sparare
praticamente alla cieca, come in un videogioco e solo dopo inviare una
squadra terrestre per vedere se si è fatto centro e chi si è fatto
fuori?
Già il fatto che si colpisca Al Qaeda in Pakistan e poi si appoggi la
stessa (e le fazioni vicine) in Medioriente con forniture di armi,
compresi i missili Tow, in funzione anti Assad, restituisce alla
perfezione tutta la strumentalità e la menzogna della narrazione sul
terrorismo che viene data in pasto alle opinioni pubbliche occidentali.
Ma da questo episodio che ci riguarda vicino appare sempre più chiaro
che esiste un’ampia zona grigia nella quale terrorismo e servizi si
confondono e si sovrappongono. Le vittime, a parte l’italiano che
ufficialmente militava per una ong tedesca, sono due cittadini
americani: tale Ahmed Farouk che si dice fosse un membro influente di
Al Qaeda e il cooperante Warren Weinstein, un intellettuale, autore di
diverse pubblicazioni, docente per qualche tempo alla New York
University che a un certo punto e a tarda età ( aveva 73 anni) è
divenuto contractor per l’Usaid finendo in Pakistan. Una storia
quantomeno singolare che non può non suscitare interrogativi sul
variegato mondo degli aiuti umanitari portati sia da ong che da
organizzazioni statali e sul ruolo complessivo che esse svolgono
(pensiamo all’Ucraina per esempio) o che alcuni dei loro membri
svolgono.
Così su questa vicenda gravano due ipotesi opposte: che si sia
trattato di un errore fatto a seguito di una qualche soffiata imprecisa e
sommaria, un’ operazione tutt’altro che preparata con scrupolo come si
vuol far credere simulando una padronanza del territorio del tutto
fantasiosa e del resto smentita dall’uso stesso di robot telecomandati,
oppure il killeraggio via drone è stata mirato e può aver avuto lo scopo
di ridurre al silenzio testimoni scomodi, magari testimoni involontari
proprio del mondo grigio del terrorismo / intelligence. E qui di certo
non c’è nemmeno da cercare una responsabilità politica diretta nella
vicenda perché la spaventosa e ambigua macchina messa in piedi difende
se stessa nei soli modi che conosce. La volontà di dominio è ormai priva
di un progetto di dominio e i mostri creati, evocati , ora combattuti,
ora finanziati magari al tempo stesso in diverse realtà, sono
inafferrabili e irriducibili, mentre gli stessi strumenti militari
dell’impero agiscono ormai con una logica propria.
Con buona pace di quello scherzo di natura morale che risponde al
nome di Gentiloni e di quell’ensemble obnubilato che si raccoglie
attorno al governo, tutto questo, è in ogni caso fuoco nemico.
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