Lettera dal segretario di un circolo di periferia
Caro signor Renzi, segretario del Pd nonché presidente del Consiglio e
chissà cos’altro, chi le scrive è un segretario di un piccolo circolo
del Pd della periferia di Roma, il circolo Capannelle. Nel 2014 dei 69
iscritti dell’anno precedente siamo rimasti in 42,. Tessere gonfiate nel
2013? Neanche per niente. In gran parte si tratta di persone deluse dal
suo governo, anzi le dirò di più, proprio da alcuni dei punti che lei
cita nella sua sconcertante lettera.
Sconcertante per due ragioni, la prima di merito. E’ zeppa di
falsità.
Si parla del jobs act come del provvedimento che sta garantendo
diritti a centinaia di migliaia di giovani, quando quel provvidemento i
diritti li toglie. I nuovi contratti a tutele crescenti firmati non
sono dovuti all’eliminazione dell’articolo 18, ma al fatto che chi
assume con quella forma non dovrà pagare contributi per tre anni, fanno
24mila euro risparmiati, secondo gli economisti. Che poi qualcuno mi
dovrebbe spiegare quali sono queste tutele che crescono. Quando quel
tipo di contratto fu ipotizzato, infatti – penso alle tesi di Ichino –
si ipotizzava che nei primi anni di assunzione fossero sospesi alcuni
diritti, alcune forme di tutela, come appunto il diritto al reintegro
nel caso di licenziamento senza giustificato motivo. Adesso no e quindi
non si capisce bene quali tutele crescano. Verrebbe da dire: “Lo sapremo
fra tre anni”. Già, ma resta l’interrogativo: non è che fra tre anni,
finita la decontribuzione, l’onesto imprenditore italico licenzia il
lavoratore e fa ripartire la giostra con un nuovo contratto?
Per quanto riguarda, invece, la scuola, siamo davvero alle comiche.
Il provvedimento da lei voluto non è stato preceduto per niente da quel
lungo processo di partecipazione a cui fa riferimento, ma da una
consultazione farsa che ha coinvolto pochi intimi. Altrimenti non si
capirebbe come mai contro la cosiddetta riforma della scuola si sia
creato uno schieramento di un’ampiezza mai vista, che va, in pratica,
dai naziskin alle brigate rosse. Non sono un esperto di scuola e di
formazione, ma ci sono alcuni aspetti che risultano evidenti. Lei dice
che con la sua riforma viene introdotta l’autonomia scolastica. A me
risulta che siano state le (troppe e troppo ravvicinate) riforme
precedenti a introdurla e rafforzarla. Di questo provvedimento saltano
agli occhi altre cose: vengono marginalizzati gli organismi collegiali
introdotti nella scuola negli anni ’70 del secolo scorso, si dà potere
totale al preside che diventa un dominus assoluto. Gli manca lo jus
primae noctis, ma magari con un emendamento… Ma soprattutto si porta a
compimento quel devastante processo di trasformazione della scuola della
conoscenza in scuola della competenza che tanto caro era a Berlusconi.
Devastante perché chi ha la conoscenza è in grado di acquisire man mano
le competenze che il mondo del lavoro gli richiederà, mentre chi ha solo
competenze specifiche a quelle sarà sempre limitato. La progressiva
marginalizzazione delle materie umanistiche a questo porta.
Gli studenti che usciranno da questa scuola saranno meno cittadini,
avranno menti meno aperte. In tutto il mondo gli studenti italiani sono
sempre stati apprezzati per il alto livello di preparazione e per la
loro agilità mentale. In tutto il mondo meno che in Italia, a quanto
pare.
L’altro aspetto inquietante è quella forma di ricatto strisciante che
è presente nella legge: approvatela in fretta perché permetterà di
stabilizzare decine di migliaia di precari. Ora, a parte il fatto che ci
si dimentica – e non si capisce bene per quale motivo – di alcune
migliaia di professori che avevano vinto i concorsi e che vengono
cancellati, non si poteva fare un provvedimento ad hoc, slegando le
assunzioni dalla riforma vera e propria?
Cambiare radicalmente il nostro sistema scolastico non può essere
fatto in fretta e furia, con i tempi contingentati perché bisogna
assumere i prof in maniera da poter fare partire regolarmente il nuovo
anno scolastico. Per esempio a me sarebbe piaciuto discutere di come si
rafforza la collegialità di un istituto, non di come si cancella. Di
come si rinnovano quelle forme di partecipazione alle decisioni che
hanno anche un profondo significato formativo. Già, mi sarebbe piaciuto
avere una sede e un partito per discutere di questi temi.
Le balle continuano, nella sua sconcertante lettera, quando parla
della riforma elettorale. Si perché lei definisce la legge in
discussione alla Camera, come la proposta del Pd: approvata dagli
elettori con le primarie e poi modificata secondo i desideri della
minoranza del Pd. Ora, a parte che le due affermazioni sono in evidente
contraddizione: se la proposta è stata modificata non è detto che gli
elettori la approvino ancora, ma l’affermazione alla base del suo
ragionamento è destituita di ogni fondamento. Alle primarie lei,
infatti, non presentò alcun disegno di legge, ma tratteggiò soltanto per
grandi linee il modello elettorale che avrebbe voluto. Fece riferimento
al concetto di “Sindaco d’Italia”, al fatto che serviva una legge che
garantisse un vincitore “subito dopo la chiusura delle urne” e poco più.
Le sarà facile comprendere come ci sia una pluralità di soluzioni
differenti per raggiungere questo risultato. La legge da lei proposta io
come segretario di circolo non ho mai avuto modo di discuterla. A
nessun livello.
Poi c’è questa sgradevole chiamata alle armi contro i supposti
traditori della minoranza Pd, quelli che vorrebbero sfasciare la ditta,
non come, si legge nella lettera, fece lei che sostenne lealmente il Pd
dopo aver perso le primarie.
Ora, signor Renzi, io ho scarsissima stima nei suoi confronti, quasi
nulla. Come mai? Perché a me chi cerca di gettare fumo negli occhi del
suo interlocutore usando tecniche da televendita non è mai piaciuto. Si
figuri se mi può piacere un segretario del mio partito con queste
caratteristiche. La comunicazione è solo fumo senza i contenuti. Quel
fumo prima o poi si dirada e rivela il nulla.
La mia stima nei suoi confronti precipitò da quando pretese di
cambiare lo statuto per fare le primarie contro Bersani che era già il
nostro candidato a presidente del Consiglio, eletto proprio con le
primarie. La mia stima nei suoi confronti arrivò a zero quando si
ribellò contro l’albo degli elettori, chiedendo che ci si potesse
registrare fino all’ultimo minuto (e così fu). La mia stima nei suoi
confronti arrivò ai numeri negativi quando sempre lei chiese che ci si
potesse iscrivere anche fra il primo turno e il ballottaggio. Che
sarebbe un po’ come se una squadra di calcio, in svantaggio nel primo
tempo, chiedesse di giocare il secondo tempo in 15. E quando le fu
risposto di no, lei che dice che vanno rispettate le regole se si vuole
stare nello stesso partito, fece un sito internet nel quale si
truffavano gli elettori, illudendoli che per votare bastasse iscriversi
al medesimo sito. Ora i suoi fedeli parlano della necessità di
regolamentare le primarie, istituendo un albo degli elettori al quale ci
si deve iscrivere ben prima del voto. Le stesse regole che gli stessi
suoi fedeli giudicavano degne del Pcus quando si pensava che fossero un
elemento che non giocava a suo vantaggio.
Vede è questa concezione che
ci divide: per lei è giusto solo quello che le garantisce più potere. Ma
una legge elettorale non deve essere fatta a vantaggio di una parte
sull’altra, non deve garantire il potere a qualcuno, deve garantire
tutti i cittadini, tutte le parti in gioco. E deve garantire soprattutto
il diritto di una minoranza di controllare l’operato del governo e di
poter in futuro diventare maggioranza. Nella nostra Costituzione sono
presenti una serie di pesi e contrappesi, che proprio questo scopo
hanno: quello di non dare troppo potere a un singolo soggetto. Un
sistema che viene scardinato nei suoi capisaldi se leggiamo i risultati
che si otterrebbero combinando la legge elettorale alla riforma
costituzionale in discussione al Senato.
Si potrebbe continuare nel merito. Si potrebbe parlare a lungo, ad
esempio dell’aberrazione giuridica che abbiamo pervicacemente voluto:
invece di garantire un procedimento penale rapido si allungano i tempi
della prescrizione. Con il risultato che chi è colpevole riuscirà a
tirarla ancora più alle lunghe, mentre chi è innocente dovrà aspettare
ancora più a lungo per riuscire a dimostrarlo.
Potrei continuare, dicevo, ma mi fermo qui. Perché per me, oltre ai
motivi di merito, ce n’è uno di metodo che è dirimente. Io mi sono
francamente rotto tutto quello che è possibile rompere: non è possibile
stare in un partito dove gli iscritti non decidono mai nulla, neanche
sulle questioni fondamentali come una riforma costituzionale. Perché
mica è vero che le riforme siano essenziali per migliorare il nostro
Paese. Possono esserlo se vanno nella direzione giusta. Ma possono anche
affossarlo definitivamente. Non voglio consegnare a mio figlio un paese
meno democratico, con meno spazi di partecipazione, con meno diritti
per i lavoratori.
Non parli quindi a nome mio, perché a me, come a tutti
gli iscritti al Pd non ha dato modo di esprimersi. Invece di una
lettera nella quale si invita a prendere le armi contro chi – a parer
suo – vuole confinarci nella palude, avrebbe dovuto chiedere ai circoli
di avviare una grande campagna di ascolto e di confronto nella società.
Con gli studenti e i professori, con quei sindacati che lei, come del
resto alcuni suoi poco illustri predecessori a Palazzo Chigi, detesta.
Perché un partito non è una semplice cinghia di trasmissione della
volontà del capo assoluto. E non è neanche un luogo dove una maggioranza
decide e gli altri eseguono. Un partito è una comunità in cui si
discute, ci si confronta e ci si convince anche di ragioni diverse dalle
nostre. Ma soprattutto un partito è vivo se è un luogo aperto alla
società, se ha le sue antenne ovunque. Lei, evidentemente, di queste
antenne non ritiene di aver bisogno: altrimenti si sarebbe accorto che
tanti dei provvedimenti che cita nella lettera al nostro elettorato non
vanno proprio giù. Lei non se ne cura. Altrimenti si preoccuperebbe non
tanto e non solo delle percentuali dei voti al Pd, ma anche del numero
di voti, rimasto sostanzialmente invariato. Si preoccuperebbe della
partecipazione che crolla, del clima di crescente sfiducia dei
cittadini.
Su questi e altri punti mi piacerebbe avere occasione di discutere. E
invece no. Ci si chiede un appoggio alla cieca, sulla fiducia. Non è
questo il partito che abbiamo provato a costruire. Qua ci scrivono
tutti, ci scrive il commissario che ha inviato per smantellare quel poco
che restava della federazione romana, ci scrive lei. Mai nessuno che
provi a consultarci, a chiederci cosa ne pensiamo, invece di chiamarci
alle armi. Ma quello che lei vuole non è un partito, non è una comunità.
Lei non vuole rappresentare gli iscritti, come dovrebbe fare un
dirigente, lei ha bisogno di altro, di una mera cassa di risonanza per
le sue decisioni. Non ci sto. E con me tanti altri che non hanno
rinnovato la tessera nel 2014 e non la rinnoveranno nel 2015.
Se trova un paio di ore, signor Renzi, il nostro circolo è sempre
disponibile per una discussione franca, come si fa in una comunità
politica. Altrimenti alle armi ci vada da solo, si accontenti dei suoi
fedeli, non avrà le persone libere come me e tanti altri.
Michele Cardulli
Segretario Circolo Pd Capannelle – Roma
Segretario Circolo Pd Capannelle – Roma
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