Lavoro, l’Fmi ci ripensa: “Liberalizzare il mercato non spinge l’economia”
di Mauro Del Corno, Il Fatto Quotidiano
Fermi tutti, come non detto. Liberalizzare il mercato del lavoro non aiuta la crescita economica. E ad attestarlo è il Fondo monetario internazionale,
che compie così una svolta a U rispetto a quanto energicamente
professato per anni. La rivoluzione è contenuta in poche righe,
mimetizzate a pagina 37 del capitolo 3 del prossimo World Economic Outlook che uscirà in versione integrale il 14 aprile. Vi si legge che “il livello di regolamentazione del mercato del lavoro non ha evidenziato correlazioni statisticamente significative con la produttività complessiva”. Al contrario, spiega l’Fmi, a spingere la crescita sono la liberalizzazione del mercato dei beni, il livello delle competenze dei lavoratori, il livello degli investimenti e le spese per ricerca e sviluppo.
Il peso di questi quattro fattori varia a seconda dei settori produttivi. In ogni caso la palla passa sostanzialmente agli imprenditori.
Le conclusioni a cui giungono i ricercatori di Washington si basano
sull’analisi dei dati di 16 Paesi del G20 nell’ambito di un più ampio
sforzo di ricerca che tenta di spiegare il rallentamento della crescita
potenziale nei paesi sviluppati e in quelli emergenti. Ne risulta che a zavorrare l’economia sono l’invecchiamento della popolazione, la debolezza
degli investimenti e appunto il basso incremento della produttività,
che non dipenderebbe però dal grado di liberalizzazione del mercato del
lavoro. Il Fondo tenta poi di correggere il tiro spiegando che non
sempre i dati relativi ai diversi Paesi sono facilmente confrontabili. E in modo un po’ contraddittorio continua a suggerire agli emergenti anche la deregolamentazione del mercato del lavoro.
Negli anni recenti la tesi “meno vincoli sul lavoro
uguale più crescita economica” è stata sposata con entusiasmo dalle
principali istituzioni europee. Basti ricordare la lettera a firma Jean Claude Trichet e Mario Draghi
inviata all’Italia il 5 agosto del 2011, in cui si chiedevano tra
l’altro misure di liberalizzazione del mercato del lavoro e in
particolare “una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”. Invito pienamente recepito dal governo nel Jobs Act, che secondo il presidente del Consiglio Matteo Renzi “porterà crescita e occupazione” e secondo il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan rappresenta “un successo storico”.
Interventi di forte deregolamentazione del mercato del lavoro e di riduzione delle tutele sono stati imposti da Fmi, Bce e commissione Ue anche alla Grecia, che dopo sei anni di feroce recessione
ha chiuso il 2014 con un modestissimo +0,6%. E’ improbabile che lo
studio dell’Fmi ponga fine a un dibattito che dura da tempo su una
materia oggettivamente difficile da indagare, che comprensibilmente
scalda gli animi e su cui esistono studi contraddittori. Tuttavia, uno
dei tradizionali cavalli di battaglia degli economisti di area liberista viene azzoppato
proprio da chi lo aveva cavalcato per anni. Alcune certezze, o presunte
tali, iniziano a vacillare ed è possibile che anche le future politiche
economiche ne vengano presto o tardi influenzate.
E I BUGIARDI DEL GOVERNO ITALIANO
Lavoro, Inps: “A gennaio e febbraio firmati 13 contratti in più rispetto a 2014″
Il governo ha fatto 13. Dopo il tira e molla sui numeri delle nuove assunzioni propiziate dagli sgravi contributivi della legge di Stabilità, ad archiviare la controversia tra esecutivo, opposizione e sindacati ci pensano i dati indipendenti dell’Inps. Le tabelle diffuse venerdì dall’istituto di previdenza presieduto da Tito Boeri parlano chiaro: nei primi due mesi del 2015 i rapporti di lavoro attivati sono stati 968.883, cioè solo 13 in più rispetto ai 968.870 dei primi due mesi del 2014. La variazione statistica che ne risulta è pari a zero. Una doccia gelata per Giuliano Poletti e Matteo Renzi, impegnato nel frattempo nel complicato parto del Documento di economia e finanza. A fine marzo il ministro del Lavoro e il premier avevano rivendicato con entusiasmo numeri – “79mila contratti stabili in più”.
Vero è che a gennaio e febbraio, i primi mesi di operatività della decontribuzione prevista dalla manovra 2015, sono aumentate in modo consistente le nuove assunzioni a tempo indeterminato: in tutto sono state 307.582, il 20,7% in più rispetto a quelle dello stesso periodo del 2014, prima dell’insediamento del governo Renzi. E sono cresciute del 7,4% anche le conversioni dei contratti di apprendistato. Peccato che il boom sia stato controbilanciato da un forte calo dei contratti a termine (-7%) e dei nuovi contratti di apprendistato (-11,3%), oltre che da una riduzione dell’11,2% delle conversioni a tempo indeterminato di rapporti a termine. Dato, quest’ultimo, che potrebbe risentire anche del fatto che molti datori di lavoro avranno rinviato le trasformazioni a marzo, quando è entrato in vigore il primo decreto attuativo del Jobs Act, quello che introduce il contratto a tutele crescenti con applicazione limitata dell’articolo 18. Il risultato finale, comunque, è che la variazione complessiva è stata, appunto, nulla. L’Inps segnala per altro, a scanso di equivoci, che sono stati rilevati tutti i rapporti di lavoro attivati nel periodo, “anche quelli in capo a uno stesso lavoratore, con riguardo a tutte le tipologie di lavoro subordinato, incluso il lavoro somministrato e il lavoro intermittente”.
Sempre a gennaio e febbraio 2015 le conversioni a tempo indeterminato di rapporti a termine e gli apprendisti trasformati in tempi indeterminati sono stati 95.804, cifra che porta i nuovi rapporti di lavoro stabili a quota 403.386. Di conseguenza la quota di nuovi rapporti di lavoro stabili è passata dal 37,1% del primo bimestre 2014, al 41,6% dei primi due mesi del 2015. La “qualità” del lavoro, dunque, migliora, nel senso che una parte di quanti avevano contratti precari sono stati stabilizzati. Ma i freddi numeri, quelli che come è noto Renzi snobba, non permettono certo di festeggiare. Come attestato per altro dagli ultimi dati Istat sulla disoccupazione, di nuovo in aumento.
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