Considerazioni preliminari
È ormai in dirittura d’arrivo l’approvazione della riforma della
legge elettorale (per la sola Camera dei Deputati). Vale dunque la pena
comprendere se questa legge di riforma, per ora approvata al Senato,
contenga elementi suscettibili di ledere la Costituzione.
Va detto molto onestamente che chi scrive non ama i modelli
maggioritari preferendo il sistema proporzionale, né ama lo studio dei
modelli elettorali, studio che talvolta si avvicina per certi versi a
quello della contabilità. Chi scrive pensa piuttosto che, quando una
forza politica ha idee per imporsi, la materia elettorale diventi
finanche secondaria, mentre essa si rivela viepiù centrale oggigiorno
(nell’epoca del c.d. pensiero debole) in assenza di idee forti capaci di
coinvolgere l’elettorato.
Mette poi conto far presente, specie a coloro i quali fingono ogni
volta che tutto in Italia sia normale, che i sistemi maggioritari, che
siano first-past-the-post come in Inghilterra o a doppio turno
come in Francia, finiscono per portare al Governo, perlomeno in Europa,
delle minoranze e non delle maggioranze. Ma essi sono tollerabili, in
nome della governabilità, quando sono sorretti da un rispetto esemplare,
da parte degli organi di governo, delle regole costituzionali. Il che,
come è risaputo, non si può dire che avvenga in Italia.
Ciò posto, ricordiamo che i parametri per la valutazione di
costituzionalità sono principalmente gli artt. 3 (sul principio di
eguaglianza) e 48 della Costituzione (sul voto personale, eguale, libero
e segreto), oltre naturalmente alla Sentenza della Corte Costituzionale
n. 1/2014, con cui la Corte stessa ha dichiarato l’incostituzionalità
della legge elettorale del 2005, c.d. Porcellum, approvata dall’allora maggioranza parlamentare di centrodestra.
Le censure di costituzionalità mosse dalla Corte Costituzionale al Porcellum
Lo scorso anno la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il premio di maggioranza attribuito dal Porcellum
e l’assenza del voto di preferenza da quella legge elettorale. Ne è
residuato un sistema proporzionale sostanzialmente puro, se non fosse
per la soglia di sbarramento, rimasta tuttora in piedi – e pari al 4%
dei voti ottenuti – giacché essa non formava oggetto del giudizio di
costituzionalità.
La Corte, prendendo le mosse dagli articoli richiamati sopra della
Costituzione, ha ritenuto che il premio di maggioranza delineato dal Porcellum
fosse incostituzionale, perché con esso veniva alterato il principio
della parità dei voti nella formazione del nostro Parlamento, sebbene
fosse costituzionalmente legittimo il fine perseguito dal legislatore
del 2005 di garantire la stabilità del governo. In altri termini, se
analizziamo ad esempio le elezioni del 2013, il voto espresso dagli
elettori con preferenza per il Partito Democratico è finito per valere
di più del voto degli elettori che si sono espressi per il Movimento 5
Stelle, pur avendo queste due liste raggiunto la stessa percentuale di
voti. Tale alterazione del principio della parità dei voti espressi non è
ammissibile soprattutto allorché sia assente dalla legge elettorale una
soglia minima di sbarramento per l’accesso al premio di maggioranza,
tenuto conto peraltro del fatto che nel 2005 il sistema elettorale,
ancorché fosse stato reso parzialmente maggioritario tramite appunto
l’introduzione del premio di maggioranza, si fondava su un impianto
prettamente proporzionale.
La seconda censura verteva sull’assenza di possibilità per l’elettore
di esprimere un voto di preferenza. In pratica, l’elettore, fino alle
elezioni del 2013, era costretto a votare liste di partito o di
coalizione senza poter esprimere una preferenza per i candidati. Questi
venivano eletti proporzionalmente secondo l’ordine in cui venivano
indicati nella lista dai rispettivi partiti. Sicché veniva violata la
libertà di voto garantita all’elettore dall’art. 48 della Costituzione.
Conviene poi citare testualmente un passaggio della sentenza della Corte relativo al sistema di voto senza preferenze: “Simili
condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista,
di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa
elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono
automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a
diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non
comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo
per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni
elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero
dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva
conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la
libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi
uninominali)”.
È intorno a tale passaggio, peraltro, che si è articolato il
tentativo di riforma portato avanti da Renzi e concretizzatosi nel c.d. Italicum nella parte riguardante le preferenze.
L’impianto dell’Italicum
Il testo di riforma approvato dal Senato a gennaio si basa su alcuni punti fondamentali:
- Suddivisione del territorio nazionale, dal punto di vista elettorale, in 100 collegi plurinominali;
- Conferma di una soglia di sbarramento per l’accesso al riparto dei seggi e pari al 3% dei voti validi;
- Attribuzione del premio di maggioranza alla lista che ottenga almeno il 40% dei voti validi;
- Nel caso in cui non vi sia attribuzione del premio di maggioranza poiché nessuna lista ha raggiunto il 40% dei voti, allora si procede, due domeniche dopo, a un ballottaggio nazionale tra le prime due liste votate per l’attribuzione del premio (che deve portare la lista uscita vittoriosa a disporre di 340 deputati);
- I capilista sono “bloccati”, cioè non sono soggetti a voto di preferenza, mentre il resto dei candidati può essere eletto dai cittadini con voto di preferenza (possono essere espresse due preferenze, una per un candidato di sesso maschile, una per un candidato di sesso femminile).
Alcuni rilievi di costituzionalità
Problemi nell’attribuzione del premio di maggioranza
Occorre immediatamente sottolineare un grave errore redazionale in
cui sta incorrendo il legislatore senza che nessuno finora si sia
peritato di farlo notare. Sarebbe peraltro auspicabile in proposito un
intervento del Presidente della Repubblica in assenza di correttivi
parlamentari. Ci si riferisce al fatto che la disposizione concernente
il premio di maggioranza recita: “sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi”.
Chiaramente, questa disposizione parte del presupposto che
attualmente solo una lista (con ogni probabilità il PD) sia in grado di
raggiungere quella soglia. Ma che succede nel caso in cui vi siano due
liste a ottenere almeno il 40% dei voti validi (ricordiamo che, col Porcellum,
vi furono nel 2006 due coalizioni in grado di raggiungere persino il
50% dei voti)? Volendo essere formalisti, entrambe le liste avrebbero
titolo, stando alla formulazione impiegata nell’Italicum, al
premio di maggioranza. Siccome ciò non è possibile perché il numero dei
deputati è anelastico essendo fissato inderogabilmente in Costituzione,
la disposizione dell’Italicum potrebbe essere interpretata a
questo punto in tre modi, ciascuno dei quali comunque scorretto:
a) non
attribuzione del premio di maggioranza (che però dovrebbe essere
attribuito);
b) sua attribuzione alla lista risultata prima (quando però
la disposizione citata ciò non prevede espressamente);
c) ricorso
comunque al ballottaggio tra le due liste che sono arrivate al 40% dei
voti validi (ballottaggio che però l’Italicum consente
unicamente quando le liste in parola siano rimaste “sotto soglia”).
Resterebbe una quarta possibilità, cioè il suicidio dei componenti
dell’organo chiamato a risolvere siffatto rompicapo, l’Ufficio Centrale
Nazionale. Speriamo, ovviamente, che un simile testo sia corretto prima
che si arrivi a gesti inconsulti.
Qualora i componenti dell’Ufficio Centrale Nazionale effettivamente si suicidassero (rectius,
si trovassero nell’impossibilità di risolvere il problema), si
aprirebbe allora la strada di un intervento, ma sfortunatamente “a
partita in corso” (per usare il vocabolario caro a Renzi e Berlusconi),
delle Camere i cui poteri, ai sensi dell’art. 61, comma 2, della
Costituzione, sono prorogati fino all’insediamento delle nuove camere o
addirittura del Governo sulla base dell’art. 77 della Costituzione che
ammette l’adozione di decreti legge in casi straordinari di necessità e
urgenza, decreti che poi dovrebbero essere sottoposti a conversione
delle Camere che sono appositamente convocate quand’anche siano state
sciolte. È lampante che, in tal caso, il ruolo arbitrale del Presidente
della Repubblica sarebbe di rilievo fondamentale dal momento che non si
può escludere un intervento di camere e governo volto a risolvere a
proprio vantaggio l’impasse.
È evidente, quindi, che tale disposizione è affetta da un palese
vizio di costituzionalità per mancanza di ragionevolezza, stante che in
una simile circostanza verrebbe vanificato l’effetto principale della
legge elettorale, del resto costituzionalmente necessario, di garantire
la composizione della camera da eleggere, di modo che questa oltretutto
possa esprimere la fiducia al Governo.
Ciò accade quando le leggi elettorali, anziché farle scrivere ai
giuristi, le si fa scrivere ai c.d. esperti di ingegneria elettorale,
che magari rassicurano il Ministro di turno che la legge in questione
non è incostituzionale.
L’incostituzionalità del premio di maggioranza
Sollevato questo primo problema, restano da affrontare alcune
questioni molto complesse. La prima riguarda il fatto che la normativa
attualmente in discussione, diversamente dal Porcellum, prevede
una soglia per l’attribuzione del premio di maggioranza, fissata al 40%
dei voti validi. Ora, la ricordata sentenza della Corte Costituzionale
non stabiliva, né era legittimata a farlo, la soglia per l’attribuzione
del premio di maggioranza. Questa deve essere fissata dal legislatore.
Si potrebbe pensare di conseguenza che il legislatore sia libero di
determinarla, ma così in effetti non è. In primo luogo, anche in tale
ambito il legislatore dovrà seguire il principio di ragionevolezza (di
cui dubitiamo, ci sia consentito, che conosca l’esistenza). In secondo
luogo, il principio di ragionevolezza dovrà operare non in astratto,
bensì all’interno di una legge a impianto proporzionale.
Ricordiamo che la Corte, in relazione al Porcellum, ha
sottolineato che il premio di maggioranza, come ivi configurato
(assommato peraltro alle soglie di sbarramento, che già di per sé
rappresentano un meccanismo di stampo maggioritario), creava un pesante
effetto distorsivo rispetto alla struttura proporzionale di fondo della
legge del 2005. Che succede con l’Italicum? Se una lista
raggiunge almeno il 40% dei voti validi, essa beneficia di 340 deputati.
Qui purtroppo tocca far di conto: in un sistema proporzionale (per
ragioni di semplicità prescindiamo ora dai metodi di calcolo sui
quozienti e sui resti), considerato poi che la Camera è composta da 630
membri (ma bisogna sottrarre i 12 deputati eletti all’estero), il 40%
dei voti validi corrisponde a 246 seggi. La lista che ottiene il 40% dei
voti ha così titolo ad altri 94 deputati, che corrispondono, a propria
volta, a un premio di maggioranza del 15%. Da quanto precede si evince
con chiarezza che siamo in presenza di un premio di maggioranza comunque
abnorme e tale da stravolgere la formula proporzionale della legge
elettorale. Ricordiamo che, nel caso della c.d. legge truffa, il premio
di maggioranza scattava quando la lista raggiungeva il 50%+1 dei voti
validi, ossia quando si era già in presenza di una maggioranza
parlamentare.
Beninteso, un premio di maggioranza può legittimamente scattare anche
quando la lista sia al di sotto della maggioranza assoluta dei voti
validi, ma esso per essere ragionevole e pertanto legittimo sul piano
costituzionale dovrebbe essere attribuito, in una legge proporzionale,
quando è ben evidente lo scarto tra la prima e la seconda lista in
termini di voti validi ottenuti e la lista giunta prima sia prossima,
senza però arrivarvi, al 50%+1 dei voti validi. Tale non è il caso dell’Italicum. Di qui la possibilità che tale parte dell’Italicum venga censurata per gli stessi motivi del Porcellum, atteso peraltro che non diversamente da quest’ultimo anche l’Italicum contiene una clausola di sbarramento per l’accesso alla Camera dei Deputati.
L’incostituzionalità del voto di ballottaggio
Il secondo problema dell’Italicum è il ballottaggio
nazionale per l’attribuzione del premio di maggioranza. Ad esso possono
accedere le prime due liste che, su base nazionale, abbiano ottenuto il
maggior numero di voti validi senza tuttavia giungere al 40%. Qui le
interpretazioni si sono divaricate, dato che la Corte Costituzionale non
ha affrontato, come non poteva affrontare, questo aspetto che non era
disciplinato dal Porcellum. I proponenti dell’Italicum
sostengono che questo meccanismo sia rispettoso della sentenza della
Corte perché, in sostanza, è il corpo elettorale nella sua interezza (e
quindi i voti espressi hanno tutti lo stesso peso) a decidere a chi vada
il premio. Gli oppositori dell’Italicum, viceversa, sostengono
che la mancata previsione di una soglia minima per l’accesso al
ballottaggio consentirebbe a due forze anche del 15-20% di accedere al
ballottaggio per poi arrivare a disporre del 55% della rappresentanza
alla Camera dei Deputati.
Il secondo argomento è sinceramente più convincente. Benché si dica che il modello elettorale di riferimento dell’Italicum sia
la legge elettorale spagnola, il meccanismo cui si ispira la riforma
elettorale, in questo caso, pare essere quello del secondo turno alla
francese, ma purtroppo quest’ultimo mal si attaglia al sistema italiano
per come è fatto oggi, essendo invece tipico di un sistema alquanto
diverso dal nostro. In Francia il collegio è uninominale e raggiungono
il ballottaggio non i primi due candidati, bensì i candidati che abbiano
ottenuto almeno il 12,5% dei voti (come si vede è fissata una soglia
minima per l’accesso), tant’è vero che si parla spesso di triangolari
quando i candidati al ballottaggio sono socialisti, gollisti e
lepenisti, se non anche di quadrangolari quando accedono al ballottaggio
anche i candidati del Fronte di Sinistra. In Italia invece il collegio
dovrebbe essere plurinominale e non è poi prevista la soglia minima di
accesso al ballottaggio.
Nel caso dell’Italia, ciò che non si può sostenere, col meccanismo ideato nell’Italicum,
è che si riparta da zero, giacché le liste che accedono al ballottaggio
dovranno pur sempre colmare la differenza tra i seggi ottenuti al primo
turno e i seggi che otterranno al secondo. In altre parole, se una
lista giunge al ballottaggio avendo ottenuto il 25% dei voti validi e
vince al secondo turno, finisce con ciò per ottenere il 55% dei seggi in
Parlamento, con un premio di maggioranza in termini reali del 30%.
L’interpretazione “si ricomincia da zero” non è sostenibile perché si
scontra col dato testuale di cui all’art. 83, comma 5, del DPR 361/1957
(recante la disciplina elettorale) così come risulterebbe dalla
riformulazione operata dallo stesso Italicum (art. 25 del Disegno di Legge).
In ogni modo, anche prescindendosi da tutti questi argomenti, viene da dire che l’ideatore dell’Italicum,
vale a dire il Prof. D’Alimonte, ha elaborato, da notevole scienziato
della politica, un sistema elettorale sofisticato per aggirare
l’ostacolo rappresentato dalla Sentenza n. 1/2014 della Corte
Costituzionale (e proprio per questo il nome è stato davvero azzeccato: Italicum,
perché come al solito le regole in Italia, per filosofia nazionale, si
aggirano e non si rispettano). Peccato però che la sentenza citata non è
così aggirabile come il Prof. D’Alimonte potrebbe pensare. Come si è
detto, la sentenza parte dall’assunto per cui una legge a impianto
proporzionale può sì essere corretta in senso maggioritario ma entro
limiti ben precisi e ragionevoli finalizzati a garantire la
governabilità. Questo è il principio di diritto sfuggito, purtroppo, al
Prof. D’Alimonte. L’introduzione di un doppio turno di ballottaggio,
finanche indipendentemente dall’esistenza di una soglia minima di
accesso, è tale da sconvolgere di per sé la formula proporzionale della
legge elettorale (in Francia, infatti, il doppio turno è collegato al
collegio uninominale in assenza di formule di elezione di stampo
proporzionale), che viene così a essere trasformata in maggioritaria, e
conseguentemente è suscettibile di determinarne l’incostituzionalità
secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Il nodo delle preferenze e dei capilista bloccati
Resta infine il nodo delle preferenze. È evidente che rispetto al Porcellum il sistema dell’Italicum
è un passo avanti, l’elettore potendo difatti esprimere due preferenze
di genere (lasciamo da parte ogni disquisizione in ordine alla maggiore
bontà delle preferenze rispetto al collegio uninominale; basti solo
rammentare che in Italia con le preferenze si può fare mercimonio del
voto, mentre col collegio uninominale purtroppo sarebbe tuttora
possibile far eleggere nei collegi c.d. sicuri persino un pesce rosso se
fosse candidabile). Qui però sono necessarie alcune osservazioni. La
prima è che è vero che è solo il capolista a essere bloccato e quindi si
risolve il problema della conoscibilità del candidato, giacché col Porcellum
finivano per essere elette anche persone candidate in fondo alla lista e
pertanto difficilmente conoscibili dall’elettore, specialmente quando
la lista in parola è molto lunga. Tuttavia, la Corte Costituzionale non
ha esplicitamente ammesso, come si può leggere dal passaggio citato
sopra, che un sistema così congegnato sia costituzionalmente ammissibile
(ciò che non sarebbe stata del resto legittimata a dire nel giudizio di
costituzionalità come configurato in Italia), limitandosi più che altro
ad affermarne l’incomparabilità.
Peraltro, il risultato pratico dei capilista bloccati sarebbe molto
probabilmente quello di eleggere all’incirca 300 deputati senza
preferenze, stante che l’attuale conformazione partitica è almeno
tripolare e si dovrebbe votare in 100 collegi plurinominali. E non
dovrebbe dimenticarsi che l’Italicum si aggancia a una riforma
costituzionale che prevede l’istituzione di un Parlamento in cui, a
parte il Senato già non elettivo, la funzione legislativa ordinaria
viene assegnata alla sola Camera cui spetta poi il voto di fiducia al
Governo.
In un simile contesto, non potrebbe non affermarsi l’incostituzionalità dell’Italicum,
perché se è una sola Camera a votare la fiducia al Governo e ad
approvare le leggi è ancora più forte, allora, l’esigenza che il voto
dell’elettore sia personale, eguale, libero e segreto secondo i dettami
dell’art. 48 della Costituzione e dunque che la Camera sia composta per
intero da deputati scelti dai cittadini.
Osservazioni conclusive
La proposta di legge discussa fin qui contiene, come abbiamo cercato
di argomentare, dei palesi vizi di incostituzionalità mentre il vizio
circa i capilista bloccati si concretizzerebbe sicuramente allorquando
venissero approvate le riforme costituzionali oggi in discussione.
Viene spontaneo affermare che l’Italicum costituisce un
abile gioco di specchi, creato ad arte per disorientare i cittadini.
Infatti, esso a prima vista sembra essere un passo avanti rispetto al Porcellum,
ma quando poi lo si va ad analizzare più approfonditamente non si può
non rilevare come esso presenti dei vizi così macroscopici da risultare
persino peggiore del suo poco illustre predecessore.
Conclusivamente, è doveroso spendere alcune parole sul tema
dell’astensione. Le elezioni non dipendono, relativamente alla loro
validità, dal numero degli elettori che hanno preso parte al voto
(diverso, come noto, è il caso dei referendum) e ciò per via del
carattere necessario del funzionamento degli organi costituzionali
elettivi o che dipendono, come nel caso della fiducia al Governo, dalla
loro esistenza. Pertanto, sotto il profilo formale, l’Italicum non può essere valutato tenendo conto degli effetti che esso produce in presenza di un forte tasso di astensione.
Ciò che ad ogni modo si può dire e che è rilevante, invece, sul piano politico è che l’Italicum
appare scritto proprio per incentivare l’astensione. Nel contesto
attuale, cioè in tempi di declino della partecipazione politica,
l’introduzione del doppio turno di ballottaggio sembra pensata proprio
per allontanare dal voto gli elettori che non si riconoscono in nessuna
delle due liste che vi potrebbero accedere. In questo modo, risulterà
vincitrice la lista che meglio riuscirà a mobilitare la propria
minoranza, attiva e ancora ideologizzata, di elettori e non quella che
riuscirà a intercettare la maggioranza degli elettori.
Si sarebbe, in pratica, in presenza di un risultato politicamente
incostituzionale, che finirebbe per svuotare ulteriormente di senso la
nostra democrazia e la nostra Costituzione. D’altronde, tale risultato
altro non è che la conseguenza naturale di talune precise scelte
politiche, tra cui l’aver affidato l’ideazione e la scrittura dell’Italicum ai politologi del “principe”.
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