Se tutti, dentro un parlamento di soli “nominati”, gridano
al fascismo allora è certo che ci troviamo di fronte a qualcosa di
diverso.
È più che evidente, da quando l'Italicum ha
ricevuto la sua prima stesura per mano del prof. Roberto D'Alimonte,
che si tratta di una legge elettorale fatta per eliminare le
rappresentanze politiche “scomode” e i grumi di interessi particolari
che hanno per decenni generato “cespugli” la cui unica funzione era
quella di pesare marginalmente nella formazione di una maggioranza di
governo.
La sua incostituzionalità – in combinato
disposto con l'abolizione del Senato elettivo - risiede nel rovesciare
strutturalmente il rapporto tra Parlamento ed esecutivo, in violazione
non solo della Carta del 1947, ma anche dei princìpi teorici del
liberalismo borghese.
Basta questo per instaurare il fascismo? Solo se si
vive con la testa voltata all'indietro e non si conoscono altre forme di
autoritarismo capitalistico. Quanti ieri a Montecitorio evocavano
Mussolini in realtà stavano protestando contro la propria espulsione
dal novero dei papabili alle prossime legislature e ai futuri governi.
Vale per i Brunetta come per i Bersani, o i più giovani – quindi più
preoccupati - Fassina e Civati.
Ma è assolutamente vero che la decisione di imporre il voto di fiducia sulla legge elettorale è un atto costituente di un nuovo regime politico.
Non a caso i due precedenti storici rappresentano altrettanti tentivi
di instaurazione di un potere assoluto: quello, riuscito, con la legge
Acerbo del 1923 (che dava al Partito Fascista una maggioranza
parlamentare a prescindere) e qeullo – fallito – della “legge truffa”
democristiana del 1953.
In entrambi i casi, bisogna però
ricordare, a decidere del successo o del fallimento del progetto
reazionario furono i rapporti politici tra le classi sociali, non i
numeri in Parlamento. Nel '53 fu la fortissima opposizione popolare che
impedì alla Dc (e i suoi alleati) di raccogliere nelle
urne l'agognato 50% dei voti, decretando la morte preamatura di quella
legge. Nel '23, invece, il movimento operaio era già stato spianato
nelle strade e nelle sedi dalle squadracce fasciste, e nessuno riuscì a
provocare mobilitazione popolare contro il regime nascente.
Oggi non ci sono, e non ci sono state, le squadracce
del Pd renziano a svuotare sedi politiche e rappresentanza
d'opposizione. Le istituzioni della rappresentanza politica – anche di
quella “antagonista” - hanno smobilitato da sole, pur fingendo di darsi
molto da fare per “rigenerarsi”.
Renzi arriva a tirare le fila di
uno svuotamento già avvenuto nel corso degli ultimi 25 anni, durante
tutto il percorso della cosiddetta “seconda Repubblica”. Mette in fila
tutte le forzature contro la Costituzione (da quelle diessine sul Titolo
V nel 2001 a quelle berlusconiane), utilizza nel più spregiudicato dei
modi la demolizione culturale – ampiamente condivisa anche dai leader
della cosiddetta “sinistra” - dei valori della società
post-resistenziale e dei diritti, in nome del taglio della spesa
pubblica e del “decisionismo” contrapposto alla “palude” generata dai
compromessi.
Arriva
quando è stato metabolizzato senza scandalo il fatto che il governo
italiano potesse essere scelto dalla Troika – come avviene
tranquillamente dal novembre 2011, con la miracolosa ascesa di Mario
Monti – perché soltanto l'adesione completa alle indicazioni provenienti
dalle “istituzioni sovranazionali” poteva garantire la sopravvivenza di
un esecutivo. En passant, è quello che sta sperimentando la
Grecia in questi mesi, con la Troika che esplicitamente parla della
necessità che “Atene deve cambiare il governo”.
Come
diceva Marchionne, rivendicandone il merito senza essere smentito,
“Renzi è stato messo lì” da una cerchia non estesissima di poteri, tutti
rigorosamente sovranazionali o addirittura “apolidi” (come il capitale
finanziario), dopo una lunga e defatigante ricerca nel parco buoi della
classe politica di questo paese, condotta con i criteri tipici della
pubblicità televisiva e dotandolo di una robusta squadra di manipolatori
da social network.
Renzi,
dunque, incarna un progetto politico chiaro, potente, indifferente agli
spasmi del sistema passato che – anzi – è stato chiamato a distruggere.
Le patetiche divisioni della minoranza bersaniana davanti al “voto di
fiducia” ne sono l'ultima testimonianza prima della morte.
Tutti gli altri rappresentano
grumi di interessi, non un progetto politico alternativo. Nel sistema
dei trattati costitutivi dell'Unione Europea non ci possono essere
progetti o programmi alternativi. E anche quando
“disgraziatamente” emergono, come in Grecia, debbono essere ricondotti a
forza entro i limiti dell'ordoliberalismo imperante in Europa. L'Unione
Europea non è insomma “riformabile” perché non è stata costruita per
rispondere a interessi popolari, ma unicamente al “funzionamento
ottimale dei mercati”. Il solo evocare un referendum su cosa un governo
nazionale dovrebbe fare – ancora una volta l'esecutivo Tsipras fa da
esempio sperimentale – viene visto come “una minaccia” per l'ordine
continentale.
Questo nuovo assetto istituzionale orientato dalla
Troika e incarnato, in questo paese, da Renzi deve ancora venir
battezzato con un nome approriato. Non è fascismo, ma probabilmente
quancosa di peggio. Anche se ancora molto "Acerbo".
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