lunedì 20 aprile 2015

Relazione di Marco Revelli all’assemblea nazionale dell’Altra Europa con Tsipras


Relazione di Marco Revelli all’assemblea nazionale dell’Altra Europa con Tsipras


Esattamente un anno fa avevamo terminato di raccogliere le firme per la presentazione della lista L’Altra Europa con Tsipras.  Un’impresa, per le nostre forze, ciclopica: più di 200.000 firme, decine di migliaia in più di quanto una legge vergognosa, fatta da monopolisti della politica, richiedesse. Oggi siamo ancora qui. E, credetemi, non è poco! Nel marasma delle convulsioni italiane essere ancora in piedi ci deve – con tutte le nostre fragilità, i nostri errori, le nostre timidezze e incertezze – rafforzare nell’orgoglio.
Siamo qui per compiere un passo diverso da quello di allora. Per molti aspetti più difficile. E comunque più impegnativo.
Allora si trattava di mettere in competizione una lista elettorale, sulla base di un appello volto a evitare il paradosso, mortale, che in Europa non fosse presente nessun vero rappresentante della sinistra italiana. Oggi, qui, compiamo un atto molto più difficile, e impegnativo per chi vi aderisce, e cioè l’ultimo passaggio nella formazione del nostro “corpo sociale”, come abbiamo ripetuto infinite volte negli ultimi mesi.  Cioè la nostra trasformazione, da semplice somma di individui e persone,  in entità collettiva capace di prendere “decisioni condivise” e sulla base di queste di prendere parola nello spazio pubblico pienamente consapevoli di ciò che ci lega e ci accomuna per averlo sottoscritto ed assunto.
Non è ancora – ricordiamocelo sempre – la costruzione della “casa comune” di cui abbiamo parlato e discusso nei nostri documenti, che rimane il nostro obiettivo di medio termine rispetto a cui ci siamo fino ad oggi “messi al servizio”  e al cui processo di costruzione condiviso da una rete di soggetti molto più ampia ci metteremo a maggior ragione al servizio da oggi in poi (quello che prende forma qui oggi non ne è neanche ancora l’anti-camera).
E’ piuttosto una comunità di donne e di uomini che hanno verificato lungo un percorso articolato, in decine e decine di assemblee di territorio, sulla base di documenti e contributi locali e nazionali, le ragioni dei proprio essere insieme e del proprio riconoscersi. Da questo punto di vista le quasi 8.000 adesioni, non “di opinione” ma “d’impegno” e di consapevolezza, non sono affatto poca cosa. Anzi.

Siamo a un bivio, abbiamo intitolato il nostro documento nazionale. E non intendevamo solo noi de L’Altra Europa. Siamo a un bivio noi come Paese, come Italia. E noi come continente, come Europa. (A ben vedere è a un bivio il mondo). Lo siamo,  qui in Italia e in Europa, grazie all’azione della Grecia – degli elettori greci, e dei nostri compagni greci di Syriza – che nel deserto di conformismo della politica europea hanno indicato una nuova strada. Con il loro voto hanno aperto una breccia nel Muro di Berlino, e detto che “si può”. Che si può trasgredire il dogma proclamato a Francoforte, Bruxelles e Berlino. Che si può immaginare, volere, e praticare un’Altra Europa. Strada difficile, impervia, piena di trappole mortali (perché gli altri faranno di tutto per sbarrarla all’origine, lo vediamo proprio in queste ore, e impedire il contagio). Ma una strada alternativa. Non solo un’altra politica economica, o un’altra politica tout court, ma un altro modello di civiltà. Un “altro mondo”, appunto. Conquistato con quel voto come “possibile”.
E’ uno scontro titanico, quello aperto da Syriza, da Alexis Tsipras, da Iannis Varoufakis. Nel quale siamo pienamente coinvolti, insieme a tutte le sinistre europee. Credo che dobbiamo averlo ben presente. Siamo parte di uno scontro, di un fronte di scontro, che va ben al di là della nostra breve esistenza, e dei nostri stessi confini, che si svolge nello spazio europeo – e Mediterraneo in particolare -, che ci impone delle enormi responsabilità. E non ci permette né il lusso della testimonianza, né la distrazione dell’autoreferenzialità.
 Non si tratta solo di combattere, e possibilmente sconfiggere, la logica dell’Austerità. Certo, anche quella, le sue ricette tossiche, la sua ottusità, le sue conseguenze fallimentari. Ma la posta in gioco è molto più alta. Si tratta di contrastare quello che con termine troppo spesso usato in modo gergale e schematico chiamiamo neo-liberismo. Che non è solo una politica economica, e nemmeno solo un’ideologia politica. Che è molto di più. Che è una vera e propria “concezione del mondo”, totalizzante e organica. Potremmo dire un “paradigma”, cioè un sistema integrato comprensivo di tutti gli aspetti della vita sociale e dell’esperienza umana. E’ un’antropologia, cioè una concezione della natura umana che riduce l’uomo al suo “gene egoista”, allo stato di atomo predatore coltivandone la competitività come principio di sopravvivenza. E insieme un’etica: l’etica dell’assenza di ogni etica – di ogni giudizio di valore, di ogni criterio di distinzione tra giusto o di ingiusto – che non sia il conto profitti e perdite. E persino un’epistemologia, una teoria della conoscenza che spoglia il sapere di ogni profondità e complessità in nome della sua funzionalità economica e produttiva. E un’ecologia, riduzionistica e mercantile, che riduce, appunto, il mondo alla dimensione meramente strumentale di materia inerte da usare e sfruttare, cioè a merce.  Persino una visione della storia, come inerte successione di rivoluzioni passive, in cui la soggettività appare un disturbo e le culture non omologate una forma di follia.

Rompere quel paradigma significa mettere in campo una FORZA. Comporta una mobilitazione totale di energie sociali e intellettuali. Mettere in discussione quel dogma – ed è questa l’impresa per molti versi prometeica che dalla Grecia ci interpella – presuppone un’accumulazione di forza incomparabile con quella con cui si sono finora misurate le nostre sinistre di opposizione. Non più una testimonianza, l’affermazione di un’identità parziale e oppositiva, ma la costruzione di un rapporto di forza capace di produrre uno spostamento al livello del governo delle nostre società.  Del governo del Paese e del governo dell’Europa. Quello appunto che si è manifestato in Grecia, che si va profilando in Spagna e che, per non rifluire su se stesso, deve diffondersi sull’ampia scala continentale.
Per questo abbiamo messo al centro del nostro progetto, con tanta convinzione, il tema della “CASA COMUNE” aggiungendo “della sinistra e dei democratici”. Non certo per motivi estetici (perché quello della frammentazione e della divisione è un brutto spettacolo). E nemmeno solo per ragioni morali (anche se appare con tutta evidenza immorale dividerci tra di noi su vicende e miserie, spesso pregresse e marginali, in presenza di un’emergenza così grave). Ma perché l’agire comune di tutti coloro che condividono questo sentire è la precondizione indispensabile per l’accumulazione di quella massa critica, sociale e politica, indispensabile per stare in campo. Per stare in campo in modo CREDIBILE. Con qualche speranza di riaggregare e rimotivare l’enorme massa di coloro che non ci credono più. Gli homeless della politica e gli esodati della partecipazione. I disincantati e i furibondi. La massa, davvero enorme, di chi non ha più rappresentanza, perché l’ha persa. E in qualche caso non la cerca nemmeno più.
Credo che su questa questione della credibilità dobbiamo parlarci chiaro. Molto più chiaro di quanto non abbiamo fatto negli ultimi tempi. Per essere credibili non basta essere giusti. Coerenti e radicali. Non basta nemmeno avere le proposte adeguate, o le idee chiare. Per essere credibili bisogna anche mostrare di avere la FORZA necessaria a trasformare in fatti le proprie proposte. La forza delle idee, certo. Ma anche la forza dei NUMERI. Senza quella “dimostrazione di forza” non si trae dal pantano chi ci si è ritirato. Non si porta alla partecipazione chi ne avrebbe tutti i migliori motivi ma gli manca la convinzione.
Per questo ci mettiamo al servizio di quella costruzione COMUNE: perché la ricomposizione di ciò che è stato diviso, al livello del sociale così come al livello del politico (della “società politica”), è la precondizione del processo di accumulazione: non il suo approdo, ma il suo punto d’inizio
Lavorando in basso, in primo luogo, nelle pieghe della società, nei territori, là dove la crisi morde e la solitudine pesa e corrompe, ma anche “in alto”, al livello della società politica, perché senza segnali di mutamento lì, in quello che ancora è percepito come spazio pubblico per sua natura, difficilmente si romperà la barriera della passività.
E’ questa la ragione per cui, pur continuando a considerare quello delle elezioni regionali il terreno meno favorevole al nostro progetto generale, abbiamo scelto di favorire e sostenere, ovunque ce ne fossero le condizioni, liste le più unitarie possibile, e chiaramente antagoniste nei confronti del PD, ritenendo che un buon risultato in alcune di esse avrebbe un indubbio effetto di volano nell’attribuire credibilità all’alternativa. E consideriamo di particolare importanza il caso della Liguria, dove un significativo sfondamento elettorale della lista Pastorino e un simmetrico smottamento nell’elettorato del PD costituiscono un’occasione che sarebbe folle sprecare.
E’ questa, d’altra parte, la ragione per cui abbiamo salutato con gioia l’iniziativa di Maurizio Landini e della Fiom di promuovere una “coalizione sociale” che operi per ricucire, orizzontalmente, la frammentazione del mondo del lavoro e riconnetterlo con la moltitudine di cittadini che soffrono le attuali politiche di aggressione ai diritti e alle condizioni di vita, consapevoli che questa costituisce la condizione necessaria per la ripresa di un protagonismo di massa. Necessaria, anche se non sufficiente, se non troverà un’articolazione sul versante politico e istituzionale in grado di trasferire anche lì, a quel livello, la forza di rottura.

Il tempo è ora, abbiamo ripetuto più e più volte in questi mesi. Per dire che non c’è più tempo. Che quel processo di accumulazione e di unificazione delle forze deve mettersi in moto in modo chiaro e non equivoco.
Ce lo dice il quadro europeo, dove la Grecia non può, a lungo, essere lasciata sola mentre cercano di stringerle il cappio intorno al collo.
Ce lo dice il quadro italiano, dove il governo Renzi sta bruciando le tappe, rivelando ogni giorno in modo più chiaro il proprio vero volto, antisociale e protervo, di garante fedele dei dogmi europei nel nostro Paese – quegli stessi che Tsipras tenta disperatamente di contrastare nel suo Paese -, e di vera e propria minaccia per il nostro assetto democratico (già terribilmente logorato).
Ce lo dice, drammaticamente, il quadro mediterraneo, sconvolto da guerre atroci, dall’emergere di forze feroci e disumane, da un oceano di dolore e sofferenza delle popolazioni più sacrificate, a cui si contrappone il volto di pietra di un’Europa sorda e ostile.
Non ci sono dunque più alibi per l’attesa.
Pensiamo che sia necessario dare ai tempi brevi, entro l’estate, un segnale di partenza. Un fatto che dica a tutti che qualcosa sta nascendo. Non un’aggregazione formale di macchine organizzative e di dirigenze politiche, di cui nessuno sente il bisogno e che non interesserebbe davvero a nessuno. Non una mimesi tardiva di vecchi intergruppi, o la costituzione di un ennesimo tavolo diplomatico. Ma piuttosto l’apertura – pubblicamente visibile – di uno SPAZIO, di convergenza, di ibridazione e di collaborazione, soprattutto di sperimentazione e innovazione delle forme e dei linguaggi della politica.
Uno spazio aperto, senza burocrazie guardiane ai cancelli e senza laboratori di analisi del DNA di ognuno, in cui sociale e politico possano incrociarsi e contaminarsi a vicenda, consapevoli, ognuno, della propria non autosufficienza e della propria inevitabile complementarietà.
Un progetto dichiaratamente ambizioso, capace di guardare in alto e lontano, innovativo delle forme sia della rappresentanza politica che di quella sociale, le due grandi malate, della cui obsolescenza siamo ormai tutti consapevoli; un progetto, in sostanza, in grado di rispondere ad aspettative e di liberare energie. Perché l’idea di costruire casette, chiesette e piccole sette, liste e listini, se può soddisfare il narcisismo privato di ognuno – il vero mal du siècle – non basta ormai più nemmeno a dare la forza per uscire di casa e andare a una riunione.

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