Tra le tante riforme avviate, annunciate, in via di votazione,
aggiustate strada facendo, riviste, corrette, ne manca una essenziale:
la creazione di un piccolo Ufficio-promesse. Basta una stanzetta, un
computer e un funzionario. Chissà perché, me lo immagino come quei
travet dei grandi romanzi russi, grigi e aridi, ma puntigliosi e precisi
fino alla pignoleria. Uno, insomma, che controlli lo stato delle
promesse, anche e soprattutto quando queste hanno forma di impegni
scritti, timbrati e sottoscritti.
Il caso più recente è il famoso pareggio in bilancio nella
Costituzione. Non una bella cosa, anzi una specie di imbragatura da
alpinista che impedisce politiche keynesiane o investimenti strategici.
Doveva scattare nel 2015, è stato rinviato al 2016 dicendo che era una
eccezione, ora si chiede di rinviarlo al 2017. Un caso di promessa
molto rigida (si è addirittura modificata la Costituzione) diventata
molto elastica alla bisogna. Ora che comincia il balletto sul Def se ne
sentirà parlare. L’omino dell’Ufficio-promesse avrà un bel daffare, e
gli servirà parecchio bianchetto per cancellare tutti quei bei discorsi
sul pareggio di bilancio inserito nella Costituzione perché “ce lo
chiede l’Europa”.
Altra cosa di cui si sentirà parlare, un grande classico, sono le
tasse sulla casa. Ora, a pochissima distanza dalla creazione della
Babele di sigle inventate per sostituire l’Imu (fu Ici), si parla di
una tassa unica. Ma per questa faccenda il piccolo travet
dell’Ufficio-promesse si troverà alle prese con un groviglio
inestricabile. Berlusconi voleva abolire l’Imu. Abolita l’Imu (sulle
prime case) si disse che bisognava aumentare l’Iva per compensare.
Aumentata l’Iva si “ridisegnò” la politica fiscale sulle case.
Risultato di tre anni (2011-2014) di indefesso lavoro: l’Iva che doveva
sostituire l’Imu è aumentata e la tassazione sulle case è aumentata
anche lei, del 178 per cento (fonte: Confedilizia).
Insomma all’Ufficio promesse il computer glielo darei bello grosso, e
forse dovrebbe anche aumentare il personale. Magari pescando dai
precari della scuola, che si promise di assumere in massa (150.000),
rivedendo poi i numeri (120.000) e arrivando forse a 50-60 mila, se si
farà in tempo e se ci saranno i soldi, e comunque sempre lasciandosi
dietro una scia di scontenti, prima illusi e poi fregati.
E comunque, se esistesse un ufficio promesse, dovrebbe aumentare
l’organico per occuparsi dell’Expo. Fermi tutti, non parliamo qui di
costi, né di ritardi, né di malversazioni, corruzione e porcate, ma
proprio delle promesse. Quelle messe nero su bianco ai tempi della
candidatura di Milano e presentate al Bie (Bureau International des
Expositions). Milano (regnante sua maestà lady Moratti) si impegnò a
fare: la Biblioteca europea, la Città dello sport, la Città della
giustizia, la Città del gusto , il Centro europeo di ricerca biomedica,
70 chilometri di vie perdonali e ciclabili, venti chilometri di canali,
nonché di piantare 50 mila nuovi alberi in città. Non una di queste
solenni promesse è stata mantenuta.
Ora che si litiga sulle opere “fruibili” ma non “finite”, su ritardi
e gufi, quelle promesse sono totalmente dimenticate, e un buon
funzionario dell’Ufficio promesse dovrebbe perfezionare questa amnesia.
Oppure, in alternativa, così come si secretano i lavori di Expo, manco
si fosse in un’economia di guerra, si secretino dopo un certo tempo
anche le promesse, con apposito avviso: “Attenzione, questa promessa si
autodistruggerà tra sei mesi”. Promesso.
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