venerdì 10 aprile 2015

Il “conte Tacchia”, nuovo eroe dei padroncini Di ilsimplicissimus


giardielloQuante volte viene da dimettersi da italiani di fronte alla stupidità dilagante, al servilismo intollerabile, alla mancanza di senso etico, alla fragilità di cui il Paese fa mostra in ogni occasione? Una volta al giorno temo, alcune volte anche di più. E così ieri non è bastato dover toccare con mano la tempra e l’indipendenza dal potere del grande anticorruttore Cantone, immediatamente schieratosi con De Gennaro dopo la sentenza della Corte sulla tortura un tema che chiama in causa la democrazia e la civiltà del Paese, mostrando di essere più che una medicina un belletto per nascondere le piaghe dell’Expo, un San Giorgio in cartolina.
No,non bastava, anzi il peggio doveva ancora venire e questa volta si è coagulato dal basso con il sostegno immediatamente dato su facebook, ma anche sui siti leghisti, ufficiali e non, all’assassino del tribunale di Milano. La giustificazione di un atto così grave ha radici futili, ottuse, prodotte esattamente da quel Paese di furbetti e idioti morali, da cui nasce poi la corruzione dilagante. “Claudio Giardiello sicuramente ha fatto un gesto estremo spinto dal’esasperazione e da uno stato che pensa solo a strozzarti con tasse assurde spingendoti al fallimento”, recita una delle pagine Fb prontamente apprestata per onorare l’assassino. Insomma la solita lamentazione rituale di padroncini e/o aspiranti tali scattata come un tic prima ancora che si capisse come la tragica vicenda se ha qualcosa a che vedere con le tasse è semmai con l’evasione delle stesse, con la spartizione di fondi neri per milioni e con le liti suscitate da un’avidità senza remore. Il tutto naturalmente maturato in quell’ambiente che fa della lamentazione ontologica il proprio credo, l’alibi perfetto per auto assolversi da ogni peccato, compresa la bancarotta fraudolenta, ma che non è poi estraneo ai moduli  commedia all’italiana, tanto che il protagonista della vicenda era chiamato “Conte Tacchia” e i suoi complici, vittime, sodali,  il “Marchesino”, “Tinto Brass”, il “Predatore”, il “Comandante”,
E’ più o meno lo stesso ceto che ormai da un quarto di secolo campa alla grande sulle esternalizzazioni, sulle precarizzazioni, sullo sfruttamento del lavoro, facendo della favola liberista – stato inefficiente, privato efficiente – l’alfa e l’omega del proprio orizzonte sub culturale. Invece anche questo evento casca loro addosso come l’uccello morto delle auto menzogne: la sorveglianza del tribunale di Milano è infatti affidata a privati (gli stessi che sorveglieranno l’Expo) con i risultati che abbiamo visto. Non ci vuole molto a capire che i margini di profitto e l’efficienza trovano sempre un equilibrio al ribasso rispetto all’interesse pubblico.
Non c’è dubbio che reazioni così scoperte e scomposte siano il sintomo di un accumulo di tensione che non riesce a trovare alcuna sponda e naviga nel vuoto, che pianificare una strage in tribunale per togliersi dalle grane sia un’assurda follia però in qualche modo sostenuta da una progressiva perdita di prestigio dello stato e delle sue istituzioni, che l’esaltazione di simili “eroi” anche se marginale denuncia il drammatico scadimento e l’eclissi di ogni idea sociale dietro il corpo nero della soluzione individuale e persino armata di ogni problema. Anche questo è ciò che abbiamo consentito e voluto.

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