A settanta anni dalla Liberazione dal nazifascismo, con una
lunga intervista al Presidente della Repubblica Mattarella, il
quotidiano La Repubblica prova a realizzare una operazione ideologica a
tutto campo. Lo fa con domande anche significative che ripercorrono non
solo un bilancio della Resistenza antifascista su cui, almeno
formalmente, è ancora fondata questa Repubblica, ma sottolineando tutti i
nessi e i passaggi con cui quella esperienza fondativa ha interagito
con la storia recente di questo paese. In particolare il direttore de La
Repubblica, Ezio Mauro, insiste con più domande nel voler demolire –
facendolo dire e confermare a Mattarella – ogni lettura politica della
Resistenza che nei decenni trascorsi ha contribuito a darle una lettura
“rivoluzionaria” e non moderata, diventata negli anni prevalente.
La negazione della tesi della “Resistenza tradita” ad esempio, vede
Mattarella condividere pienamente le parole non casuali del suo
predecessore Napolitano; "Le risponderò con una citazione del
presidente Napolitano. Parlando a Genova il 25 aprile del 2008, disse
con estrema chiarezza: "Vorrei dire che in realtà c'è stato solo un mito
privo di fondamento storico reale e usato in modo fuorviante e nefasto:
quello della cosiddetta "Resistenza tradita", che è servito ad
avvalorare posizioni ideologiche e strategie pseudo-rivoluzionarie di
rifiuto e rottura dell'ordine democratico-costituzionale scaturito
proprio dai valori e dall'impulso della Resistenza".
Un vero e proprio esorcismo sia da parte di Mauro che del presidente
Mattarella per rimuovere dal campo e dalla storia del paese una opzione
politica rivoluzionaria che ha animato un intero quindicennio e che
aveva come nemico non certo la Costituzione, ma il blocco politico e
sociale dominante fondato sull'asse tra Democrazia Cristiana e Stati
Uniti.
Ma, dato un colpo alla visione “rivoluzionaria”, Mattarella non può
esimersi dal dire qualcosa sui tentativi golpisti e reazionari di quel
blocco della classe dominante che dal '67 in poi hanno inaugurato la
stagione delle stragi di Stato. “Quelle trame a cui lei fa
riferimento avevano un disegno e un obbiettivo comune. Quello di
abbattere lo Stato democratico, di cancellare la Costituzione del 1948,
di aprire la strada a un regime tendenzialmente autoritario”. Con
questo passaggio il Presidente Mattarella non si riferisce, ovviamente,
alle spregiudicate operazioni dell'attuale Presidente del Consiglio
Renzi, ma involontariamente offre anche una fotografia dell'oggi.
Con la stessa logica Mattarella ratifica la lettura revisionista
della Resistenza, pur avendo cura di salvaguardare il 25 Aprile come
festa costituente della Repubblica di fronte gli attacchi della destra e
dei “riconciliatori” che la ritengono una festa divisiva tra quelli che
“combatterono su entrambi i fronti” (cioè gli antifascisti e i fascisti
“italiani”). "È stato merito di esponenti provenienti dalla
sinistra, penso a Luciano Violante e allo stesso presidente Napolitano,
contribuire alla riappropriazione, nella storia e nella memoria, di
episodi drammatici ingiustamente rimossi, come quelli legati alle Foibe e
all'esodo degli Italiani dall'Istria e dalla Dalmazia” afferma il
presidente Mattarella. “Sono stati molti i libri e le inchieste che si
sono dedicati a riportare alla luce le vendette, gli eccidi, le
sopraffazioni che si compirono, anche abusando del nome della
Resistenza, dopo la fine della guerra”.
La destra, i fascisti e i democristiani in questi ultimi venti anni,
coadiuvati proprio da personaggi come Violante e Napolitano, hanno avuto
l'occasione di sputare tutto il loro odio verso la Resistenza
partigiana e il ciclo politico di lotta per il cambiamento che ne è
derivato. Quanti sputano veleno sui partigiani, alla fine sono gli
stessi che sputano veleno sui movimenti degli anni '70, sui sindacati
etc.
Ma soprattutto per i fascisti e la destra resta lo scorno di aver
subito una sconfitta da parte di poche centinaia di militanti comunisti
che nel settembre del '43 ruppero gli indugi e passarono alla resistenza
armata contro il nazifascismo.
L'ammissione più nitida di questa sconfitta, viene proprio da un
fascista e repubblichino di firma come Giorgio Pisanò nel suo intervento
al convegno su “La guerra rivoluzionaria” organizzato da fascisti e
servizi segreti alla vigilia dell'avvio della campagna di stragi di
stato. All'Hotel Parco dei Principi, nel 1965, durante il convegno
dell'Istituto Pollio, Pisanò ammise: “Quell'8
settembre la situazione italiana era quella che tutti conoscete: i
comunisti erano, si e no, un migliaio; di questo migliaio, fino :a pochi
mesi prima, gli attivi, così
li chiamano loro, in territorio nazionale saranno stati due o trecento,
non di più; il nucleo più sostanzioso era a Milano, con 45 uomini;
tutta gente che aveva dai 18 ai 30 anni. Il grosso del P. C. in quel
tempo era al confino (c'erano circa 1500 comunisti confinati, o in
carcere), però in quei 1500 uomini 11 P. C. contava i tecnici della
guerriglia. Ora, per il P. C. tecnico della guerriglia in quel momento
era definito colui che aveva partecipato alla guerra di Spagna”.
Trecento quadri comunisti, dunque, furono il nucleo che mise in piedi
un movimento di resistenza armata contro l'occupazione nazifascista e
che in diciassette mesi portò alla Liberazione del paese.
Mattarella assesta un colpo al cerchio (quello della memoria attiva
della Resistenza animata dalla sinistra) e uno alla botte (quelli che la
Resistenza la odiano fin dalle giornate dell'aprile del 1945), per
spianare la strada alla riconciliazione, alla memoria condivisa tra
fascisti e antifascisti, rimuovendo o addirittura criminalizzando il
ruolo protagonista dei comunisti nella Resistenza antifascista che portò
alla Repubblica e alla Costituzione.
Una operazione da democristiani, appunto, come è Mattarella e come è
l'ideologia oggi dominante nelle elìte e nei mass media. Una ideologia
che copre le picconate inferte dal modello Renzi proprio a quell'assetto
costituzionale e rappresentativo su cui è nata la Repubblica nata dalla
Resistenza. I comunisti in tutto questo hanno avuto un ruolo decisivo,
che se ne facciano una ragione.
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