giovedì 30 aprile 2015

Bivacco di ridicoli di Marco Travaglio


La fiducia

Ma che cosa deve ancora accadere perché il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ritrovi la favella? Le scene di ieri a Montecitorio parlano da sole. Un’aula ridotta a bivacco di manipoli, o di ridicoli, da un governo che espropria definitivamente il Parlamento del   suo potere di legiferare, imponendo la fiducia su se stesso per far passare una legge elettorale di squisita competenza parlamentare. Una presidente della Camera, brava donna per carità, ma palesemente inadeguata al ruolo, che assiste impassibile ai funerali dell’istituzione che presiede e inghiotte supinamente il diktat di Palazzo Chigi, terrorizzata dai giannizzeri governativi pronti a fare con lei ciò che han già fatto con i parlamentari disobbedienti, destituendo prima al Senato e poi alla Camera chiunque si mettesse di traverso sulla strada del premier padrone. E invoca, con voce monocorde e burocratica, “i precedenti”. Ci sono sempre dei precedenti, nella patria di Azzeccagarbugli. È vero, la ministra Boschi non è la prima a imporre la fiducia su una legge elettorale: prima di lei l’avevano già fatto il ministro dell’Interno Mario Scelba nel 1953 sulla cosiddetta “legge truffa” (un bijou di democrazia, al confronto dell’Italicum) e il governo Mussolini nel 1923 sulla legge Acerbo (questa sì, degna progenitrice dell’Italicum).  
Nelle pieghe del regolamento, volendo, si trova sempre tutto e il contrario di tutto pur di sostenere le ragioni del più forte. Però, un po’ al di sopra dei regolamenti, ci sarebbe la Costituzione. E l’articolo 72 prescrive che “la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale”. Che c’è di normale nella procedura che costringe il Parlamento a obbedire al governo sulla legge elettorale perché altrimenti cade il governo e il capo del governo, al prossimo giro, non ricandida più chi non vota la fiducia al suo governo? E che senso ha il voto segreto sulla legge elettorale, se poi il governo costringe i parlamentari al voto palese sulla fiducia al governo sulla legge elettorale? Oltre alle regole, poi, c’è la sostanza: oggi l’Italicum e domani il nuovo Senato approvati a colpi di maggioranza, che poi maggioranza non è se si toglie il premio del Porcellum già tolto dalla Consulta in quanto incostituzionale; e, anche volendolo ancora calcolare, la maggioranza non c’è lo stesso, perché senza i ricatti del premier i parlamentari del Pd contrari all’Italicum e al nuovo Senato sarebbero oltre un centinaio.
Ricordare questi dati di fatto a Mattarella è “tirare per la giacchetta il presidente della Repubblica”? Pazienza – diceva Giovanni Sartori quando richiamava Ciampi e Napolitano ai loro doveri – “alla peggio il presidente se ne comprerà un’altra”. Noi sappiamo per certo che Sergio Mattarella, su quanto accaduto ieri, ha le idee molto chiare. E non perché ci parliamo (per farlo, tra l’altro, bisogna essere in due). Ma perché quanto accaduto ieri è il replay (aggravato dalla fiducia, che neppure B. osò imporre) di quanto accadde nell’ottobre del 2005, quando il centrodestra cambiò la Costituzione e la legge elettorale a colpi di maggioranza. E Mattarella, allora deputato della Margherita, il giorno 20 pronunciò parole definitive,che abbiamo già citato ma continueremo a ricordare ancora per molto tempo: “Oggi voi del governo della maggioranza vi state facendo la vostra Costituzione, avete escluso di discutere con l’opposizione, siete andati avanti solo per non far cadere il governo, ma le istituzioni sono di tutti, della maggioranza e dell’opposizione”.    
Poi ci sono le parole dello Smemorato di Rignano, che per un anno intero se n’è riempito la boccuccia per giustificare il Patto del Nazareno con B. “Legge elettorale. Le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato” (Renzi, Twitter, 15-1-2014). “L’idea di scrivere le regole del gioco con le opposizioni è un fatto fondamentale, un valore assoluto: la legge elettorale non si può approvare a colpi di maggioranza” (18-3-2014). E c’è la Smemorata di Montevarchi, al secolo Maria Elena Boschi: “Cerchiamo la più ampia condivisione, non abbiamo un modello elettorale preferito, per noi vanno bene allo stesso modo il Mattarellum o lo spagnolo corretto, o anche il sistema dei sindaci. L’importante è che un accordo ci sia e non si proceda a colpi di maggioranza. Ci interfacceremo con B. come con gli altri” (Ansa, 6-1-2014). “Le riforme, quelle costituzionali e quella elettorale, non si fanno a colpi di maggioranza” (Ansa, 21-6-2014). Poi ci sono i paggetti del Duo Toscano, come Ettore Rosato, capogruppo Pd “facente funzioni” (dopo le dimissioni di Speranza), figura tragicomica di quella “cupidigia di servilismo” denunciata da Paolo Sylos Labini. Ieri alla Camera, siccome la menzogna era all’ordine del giorno, ha portato anche lui il suo contributo spiegando che la fiducia era necessaria a causa di un Parlamento che “in 10 anni non è riuscito a riformare il Porcellum” e a dare agli italiani una legge elettorale decente. E lui lo sabene,vistoche del Parlamento fa parte da 12 anni (tre legislature). Purtroppo per lui, il Porcellum non c’entra nulla perché non c’è più da un anno e mezzo: nel dicembre 2013 è stato spazzato via dalla sentenza della Consulta, che l’Italicum tradisce. E una legge elettorale esiste: è il proporzionale con preferenza unica disegnato dalla Corte, lo stesso sistema con cui l’Italia andò alle urne nel ‘92. Ci sarebbero poi le bugie di Renzi dopo la cura, che dice l’opposto di prima della cura, quando girava l’Italia e mieteva consensi promettendo “una legge elettorale per scegliere direttamente gli eletti” (3-4-2011). Ma di balle, ieri, abbiamo già fatto il pieno: non c’è bisogno di rievocarne altre.
Da Il Fatto Quotidiano del 29/04/2015.

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