Nel corso della mia vita e da che ho l’età della ragione, ho cercato
di partecipare, anno dopo anno a ogni manifestazione del 25
aprile. Un paio di anni fa, percorrendo il corteo alla ricerca della
mia collocazione sotto le bandiere dell’Anpi, mi imbattei nel
gruppo che rappresentava i combattenti della “brigata ebraica”,
aggregata nel corso della seconda guerra mondiale alle truppe alleate
del generale Alexander e impegnata nel conflitto contro le forze
nazifasciste. Qualcuno dei componenti di quel drappello mi
riconobbe e mi salutò cordialmente, ma uno di loro mi rivolse un
invito sgradevole, mi disse: «Vieni qui con la tua gente». Io con un
gesto gli feci capire che andavo più avanti a cercare le bandiere
dell’Anpi che il 25 aprile è «la mia gente» perché io sono iscritto
all’Anpi con il titolo di antifascista. Lui per tutta risposta mi
apostrofò con queste parole: «Sì, sì, vai con i tuoi amici
palestinesi».
Il tono sprezzante con cui pronunciò
la parola palestinesi sottintendeva chiaramente «con i nemici del
tuo popolo». Io gli risposi dandogli istintivamente del coglione
e affrettai il passo lasciando che la sua risposta, sicuramente
becera si disperdesse nell’allegro vociare dei manifestanti.
Questo episodio, apparentemente
innocuo, mi fece scontrare con una realtà assai triste che si
è insediata nelle comunità ebraiche. I grandi valori universali
dell’ebraismo sono stati progressivamente accantonati a favore di
un nazionalismo israeliano acritico ed estremo. Un nazionalismo
che identifica stato con governo.
Naturalmente non tutti gli ebrei delle
comunità hanno imboccato questa deriva sciovinista, ma la parte
maggioritaria, quella che alle elezioni conquista sempre il
“governo” comunitario, fa dell’identificazione di ebrei e Israele il
punto più qualificante del proprio programma al quale dedica la
prevalenza delle sue energie.
Io ritengo inaccettabile questa
ideologia nazionalista, in primis come essere umano perché il
nazionalismo devasta il valore integro e universale della
persona, poi come ebreo, perché nessun altro flagello ha provocato
tanti lutti agli ebrei e alle minoranze in generale e da ultimo
perché, come insegna il lascito morale di Vittorio Arrigoni, io non
riconosco altra patria che non sia quella dei diseredati e dei
giusti di tutta la terra.
L’ideologia nazionalista israeliana
negli ultimi giorni ha fatto maturare uno dei suoi frutti tossici: la
decisione presa dalla comunità ebraica di Roma, per il tramite del
suo presidente Riccardo Pacifici, di non partecipare al corteo
e alla manifestazione del prossimo 25 aprile. La ragione ufficiale
è che nel corteo sfileranno bandiere palestinesi, vulnus
inaccettabile per il presidente Pacifici, in quanto nel tempo
della seconda guerra mondiale, il gran muftì di Gerusalemme Amin al
Husseini, massima autorità religiosa sunnita in terra di Palestina
fu alleato di Hitler, favorì la formazione di corpi paramilitari
musulmani a fianco della Germania nazista e fu fiero oppositore
dell’instaurazione di uno stato Ebraico nel territorio del mandato
britannico. Mentre la brigata ebraica combatteva con gli alleati
contro i nazifascisti. Tutto vero, ma il muftì nel 1948 venne
destituito e arrestato: oggi vedendo una bandiera palestinese a chi
viene in mente il gran muftì di allora? Praticamente a nessuno, se
si eccettua qualche ultrà del sionismo più isterico o a qualche
fanatico modello Isis.
Oggi la bandiera palestinese parla
a tutti i democratici di un popolo colonizzato, occupato, che
subisce continue e incessanti vessazioni, che chiede di essere
riconosciuto nella sua identità nazionale, che si batte per
esistere contro la politica repressiva del governo di uno stato
armato fino ai denti che lo opprime e gli nega i diritti più
elementari ed essenziali. Un governo che lo umilia escogitando uno
stillicidio di violenze psicologiche e fisiche e pseudo legali
per rendere esausta e irrilevante la sua stessa esistenza. Quella
bandiera ha pieno diritto di sfilare il 25 aprile — com’è accaduto
per decenni e senza polemica alcuna — e glielo garantisce il fatto di
essere la bandiera di un popolo che chiede di essere riconosciuto,
un popolo che lotta contro l’apartheid, contro l’oppressione, per
liberarsi da un occupante, da una colonizzazione delle proprie
legittime terre, legittime secondo la legalità internazionale, un
popolo che vuole uscire di prigione o da una gabbia per garantire
futuro ai propri figli e dignità alle proprie donne e ai propri
vecchi, un popolo la cui gente muore combattendo armi alla mano
contro i fanatici del sedicente Califfato islamico nel campo
profughi di Yarmouk, nella martoriata Damasco. E degli ebrei che
si vogliono rappresentanti di quella brigata ebraica che combatté
contro la barbarie nazifascista hanno problemi ad essere un
corteo con quella bandiera? Allora siamo alla perversione del senso
ultimo della Resistenza.
La verità è che quella del gran muftì di
allora è solo un pretesto capzioso e strumentale. Il vero scopo
del presidente Pacifici e di coloro che lo seguono — e addolora
sapere che l’Aned condivide questa scelta -, è quello di servire
pedissequamente la politica di Netanyahu, che consiste nello
screditare chiunque sostenga le sacrosante rivendicazioni del
popolo palestinese. Per dare forza a questa propaganda è dunque
necessario staccare la memoria della persecuzione antisemita
dalle altre persecuzioni del nazifascismo e soprattutto dalla
Resistenza espressa dalle forze della sinistra. È necessario
discriminare fra vittima e vittima israelianizzando la Shoah
e cortocircuitando la differenza fra ebreo d’Israele ed ebreo
della Diaspora per proporre l’idea di un solo popolo non più tale per
il suo legame libero e dialettico con la Torah, il Talmud e il
pensiero ebraico, bensì un popolo tribalmente legato da una terra, da
un governo e dalla forza militare.
Se come temo, questo è lo scopo ultimo
dell’abbandono del fronte antifascista con il pretesto che
accoglie la bandiera palestinese, la scelta non potrà che portare
lacerazioni e sciagure, come è vocazione di ogni nazionalismo che
non riconosce più il valore dell’altro, del tu, dello straniero come
figura costitutiva dell’etica monoteista ma vede solo nemici da
sottomettere con la forza.
25 Aprile. E' ancora scontro sulle manifestazioni a Roma
di Alessandro Avvisato, Contropiano.org
Nella Capitale non cessano le polemiche intorno alle
celebrazioni del 25 Aprile che quest'anno festeggia i settanta anni
dalla Liberazione del paese dal nazifascismo.
A Roma continua a pesare l'ipoteca posta dai gruppi ultrasionisti
della comunità ebraica – coadiuvati da una complice e acritica campagna
stampa – contro la presenza di bandiere palestinesi nel corteo. L'anno
scorso si arrivò allo scontro platealmente, con una aggressione ripetuta
della Led (Lega di Difesa Ebraica) contro chi esibiva una bandiera
palestinese alla partenza della manifestazione al Colosseo.
Memori di quella esperienza, le reti solidali con i palestinesi, da
tempo hanno avviato un percorso di confronto pubblico per arrivare in
modo compatto e unitario al corteo che storicamente parte o si conclude a
Porta San Paolo, luogo simbolo della Resistenza romana contro il
nazifascismo.
A subire il massimo di pressioni è stata l'Anpi provinciale di Roma,
titolare delle celebrazioni, che a fine marzo aveva convocato una
riunione pubblica per discutere come organizzare il 25 Aprile cercando
di stemperare le tensioni. Ma i gruppi oltranzisti dell'ebraismo romano
hanno abbandonato la riunione con accuse fantasiose e annunciando che
non sarebbero stati in piazza il 25 Aprile perchè le bandiere
palestinesi sono estranee, anzi sono il simbolo dell'alleanza con i
nazisti. Il ritornello, piuttosto stonato, è il solito discorso sui
rapporti tra la Germania nazista e il Gran Muftì di Gerusalemme,
dimenticando che la Palestina degli anni '30 era una colonia britannica e
che lo stesso atteggiamento lo ebbe Gandhi che conduceva la lotta
contro l'occupazione coloniale britannica dell'India, ritenendo la Gran
Bretagna il problema e il nemico principale dei popoli delle colonie.
Insomma una decontestualizzazione del tutto strumentale e tesa a far sì
che l'occupazione di bandiere israeliane della manifestazione del 25
aprile negli ultimi anni, è stata esagerata, intrusiva e in finale
aggressiva. Utilizzando l'apripista della Brigata Ebraica, i gruppi
sionisti sono via via diventati una presenza ingombrante nelle
manifestazioni esibendo le bandiere dello Stato di Israele e pretendendo
la rimozione di quelle palestinesi.
Il pressing dei gruppi sionisti ha fatto sì che la Giunta comunale di
Roma, coadiuvata dall'Anpi nazionale, esautorasse l'Anpi provinciale
dalla gestione del corteo del 25 Aprile, convocando una manifestazione
“istituzionale” in Campidoglio nella quale, evidentemente, verranno
accettate le bandiere dello Stato di Israele ma non quelle palestinesi. A
quel punto il presidente dell'Anpi provinciale, Nassi, ha rassegnato le
dimissioni per protesta contro questo blitz. Secondo alcune fonti,
l'Anpi provinciale, a maggioranza, non avrebbe però accettato le
dimissioni riconfermando la fiducia a Nassi.
Le reti solidali con la Palestina in queste settimane hanno lavorato
per allargare la presenza in piazza alle altre resistenze, come quella
kurda e quella nel Donbass, discutendone pubblicamente in più incontri e
decidendo di mantenere comunque l'appuntamento del 25 Aprile in piazza a
Porta San Paolo, sia per dare un segno non avvilente all'anniversario
della Liberazione e alla funzione avuta dalla Resistenza partigiana, sia
per non accettare i diktat e i ricatti dei gruppi sionisti della
comunità ebraica romana.
L'appuntamento antifascista, antimperialista e antisionista a Porta
San Paolo, alternativo a quello istituzionale in Campidoglio è stato
dunque confermato, anche per manifestare pubblicamente il sostegno alla
comunità palestinese, da sempre presente nelle manifestazioni del 25
Aprile, ma negli ultimi anni oggetto di ripetute intimidazioni ed
esclusioni, che a questo punto vengono legittimate dalla manifestazione
istituzionale. Una posizione questa respinta però da diversi circoli
dell'Anpi.
Ma i problemi “romani” non finiscono qui. Da anni infatti, in
alternativa alla manifestazione “ufficiale” del 25 Aprile, si tiene un
corteo di movimento nella zona sud/est (Centocelle), da sempre molto
partecipato. I tentativi di convergere su un unico appuntamento al
momento non hanno portato ai risultati auspicati e neanche quello di
differire un po' gli orari per consentire anche a chi andrà a Porta San
Paolo di poter raggiungere in un secondo momento il corteo territoriale.
Insomma una conferma di incomunicabilità tra i vari settori del
movimento romano dalla quale ancora non si riesce a venire fuori.
Appare paradossale che anche sulla Resistenza antifascista, che pure
ha dato ottima prova di sé con la manifestazione contro Salvini poco più
di un mese fa, non si riesca a produrre momenti convergenti. Ma è
evidente che, anche se non ci sarà il corteo ufficiale, la mattina del
25 Aprile non si può lasciare Porta San Paolo vuota di contenuti
antifascisti coerenti e di presenze caratterizzate dal sostegno ai
popoli che resistono.
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