domenica 18 marzo 2012

La crisi è finita? - Carlo Formenti, Micromega

La crisi è finita, anzi no: così si potrebbe sintetizzare il succo di due articoli apparsi sull’ultimo numero dell’Economist intitolati, rispettivamente “America’s recovery is neither robust nor dramatic. But it is real” e “Can it be…the recovery?”. Titoli che definire prudenti è un eufemismo, ma che, ove commisurati ai dati analizzati e commentati al loro interno, rischiano di apparire perfino trionfalisti.
Le “buone notizie” dalle quali gli autori ritengono di poter trarre sia pur moderati motivi di ottimismo, infatti, sono tutt’altro che entusiasmanti. “Le cose non stanno andando meglio, ma è già molto che non vadano peggio”, leggiamo nel primo, nel quale le ripetute delusioni per gli annunci di ripresa che si sono ripetuti dal 2009 (e che sono stati puntualmente smentiti dai fatti) vengono attribuite soprattutto a fattori “esterni” (l’aumento dei prezzi del petrolio, la crisi del debito europeo, ecc). Ma ora che gli effetti di questi fattori sembrano farsi meno pesanti, ecco apparire segnali incoraggianti, come una certa ripresa dell’occupazione negli ultimi tre mesi (benché si riconosca che potrebbe trattarsi dell’effetto di distorsioni statistiche) e una certa tendenza all’aumento del PIL (che però, se tutto va bene, non supererà il 2,5% nell’anno corrente).
Ancora meno giustificato l’ottimismo del secondo articolo, nel quale si celebra come un ottimo risultato il fatto che la crisi finanziaria europea stia rivelandosi “meno peggio” del previsto e che le economie dei Paesi in via di sviluppo stiano rallentando ma non troppo la loro corsa. Infine – tutti i salmi liberisti finiscono in gloria! – si conclude dicendo che le cose potranno migliorare ulteriormente, a condizione che i governi non commettano gravi errori di politica economica, interferendo indebitamente nei meccanismi di riequilibrio spontaneo dei mercati.
Il fatto che il maggiore organo del liberismo mondiale sia indotto a simili contorsioni dialettiche per far intravvedere ai propri lettori un barlume di luce alla fine del tunnel, suona come una evidente – ancorché involontaria – conferma della natura strutturale della crisi – una realtà che si cerca in ogni modo di occultare, salutando ogni timida oscillazione congiunturale verso l’alto come un segnale di ripresa.
Ma la vera “morale” del tutto sta nell’elenco dei fattori “esterni” – prezzo del petrolio, tsunami giapponese, errori di politica economica dei governi europei – su cui viene rovesciata la “colpa” delle persistenti difficoltà dei mercato globale: la famosa battuta “piove governo ladro” suona qui particolarmente appropriata, nella misura in cui racchiude in tre parole catastrofi naturali e errori umani. Del resto chi può provocare disastri se non la natura e gli uomini, visto che i mercati non sbagliano mai?

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