Il Giappone si è fermato alle ore 14.46 locali (le 6.46
in Italia) in un minuto di silenzio e di emozione nazionale, a un anno
dalla triplice catastrofe dell'11 marzo 2011: il terremoto di magnitudo
9, il devastante tsunami e la crisi nucleare di Fukushima, la peggiore
da Cernobyl. L'imperatore Akihito, con la consorte Michiko, partecipa
alla cerimonia ufficiale voluta dal governo presso il Teatro Nazionale
di Tokyo, cui è presente il premier Yoshihiko Noda con il suo esecutivo.
Cerimonie si sono tenute in tutto il Paese e soprattutto nel Tohoku,
l'area a Nordest del Giappone devastata dalla forza dello tsunami che ha
superato i 40 metri di altezza, ad esempio, sulla costa di Ofunato,
città della prefettura di Iwate. Il numero dei morti è di 15.854, nei
dati della polizia nazionale aggiornati al 10 marzo, mentre quello dei
dispersi è di 3.155 e quello dei feriti, nell'ultimo conteggio
disponibile, è di 26.992. Le case distrutte ammontano a 129.107 unità,
quella danneggiate a quota 254.139.
Il numero di evacuati su scala nazionale al 23 febbraio è di 343.935
unità, con almeno 80.000 provenienti dalla 'no-entry zone' dei 20 km
intorno alla centrale nucleare di Fukushima. Proprio le proteste contro
l'atomo a uso civile hanno segnato la giornata, con appuntamenti in
numerose città e località del Giappone, a partire da Koriyama e
Fukushima, entrambe nella prefettura a più rischio contaminazione. A
Tokyo, nel centrale Hibiya Park, si sono riunite diverse migliaia di
persone, prima di dare vita a una catena umana anti nucleare per
'circondarè i vicini palazzi governativi.
Il ricordo di Pio D'Emilia, su "il manifesto"
Atomo e crisantemo, le menzogne di Tokyo
Pio d'Emilia
FUKUSHIMA:Altro che gli antinucleari. A disturbare il giorno della memoria non
sono certo i (sempre troppo pochi) cittadini che oggi, raccogliendo
l'appello del Nobel per la Letteratura Kenzaburo Oe e qualche altro
intellettuale dovrebbero arrivare da tutto l'arcipelago e riempire lo
stadio di Koriyama, a pochi chilomteri da Fukushima. Una polemica
divenuta nelle ultime ore furiosa con le autorità locali rischia di
affossare una iniziativa che comunque, per tutta una serie di motivi
(soprattutto logistici) non sembrava essere destinata a cambiare il
corso della storia. Nella storia resteranno invece scolpite le
registrazioni che, proprio alla vigilia dell'anniversario, sono
improvvisamente saltate fuori e che la stampa, normalmente pudica o
quanto meno lenta nel pubblicare materiale imbarazzante per le autorità
(ma in questo caso è il governo democratico a perderci la faccia, un
governo che la stampa non ha mai gradito più di tanto) ha sparato in
prima pagina. «Pare ci sia stato il meltdown» sostiene un ministro.
«Beh, è evidente» (y appari) , commenta un altro. Due ministri, mica due
portaborse. Quello degli interni, Matsumoto, e quello dell'industria e
dell'economia, Kaieda. Questo il 12, subito dopo la prima esplosione
nella centrale. Il governo è riunito in consiglio di emergenza. Il
ministro del terrritorio, Genba (attualmente agli Esteri) sostiene la
necessità di ordinare l'evacuazione fino a 30 chilometri, ma è lo stesso
Naoto Kan, l'allora premier, a frenare. «No, per ora ne bastano 20. Non
creiamo il panico». Le pubbliche relazioni della Tepco Forse era
proprio a queste parole, a quelle ore - cui seguirono, nei giorni
scorsi, altri episodi scabrosi come la consegna delle simulazioni
«Speedy» agli Stati Uniti, ma non la loro pubblicazione in Giappone, che
avrebbe probabilmente facilitato l'evacuazione ed evitato a migliai di
persone la contaminazione - che Naoto Kan, nel corso dell'intervista che
ho realizzato in esclusiva per Sky Tg24 (sarà trasmessa oggi) si
riferiva, quando ha risposto alla mia ultima domanda. «Ha mai mentito,
sapendo di mentire, al suo popolo?». La sua risposta era stata
sibillina, inadeguata e sospetta per chi ha fatto dell'onestà personale,
della trasparenza e dell'impegno a riconoscere sempre il sacrosanto
diritto dei cittadini ad essere informati i principi della carriera
politica. «No, non ho mentito sapendo di mentire. Ma a volte sapevo cose
che ho deciso di non rendere pubbliche». E questo è un governo
«democratico», signori. Che ricorda lo stile Cernobyl. Ma sarà che è il
nucleare, questa maledetta lobby fondata sull'inganno ed il profitto,
che avvelena non solo aria terra e mare, ma anche le relazioni umane? Ci
sarà pure un motivo per cui la Tepco, la società che per essere
nazionalizzata per evitarle il fallimento (scaricando quindi sui
cittadini lo «tsunami» dei risarcimenti) ha un budget per le pubbliche
relazioni quasi il doppio della Toyota? E mica deve vendere al
dettaglio, almeno fino a quando non si inventeranno le centrali
portatili da giardino. Deve ingannare, corrompere, zittire. A questo
punto, ahimè, tutto quadra. Quello che il popolo della rete, l'esercito
dei twitter aveva da subito paventato, facendo rimbalzare i commenti dei
«tecnici» che sostenevano l'ineluttabilità del meltdown, era vero. E
come lo sapevano i tecnici, spesso a migliaia di chilometri di distanza,
come lo sapevano i dirigenti della Tepco, così lo sapeva, fin
dall'inizio, il governo del Giappone. Un governo il cui portavoce Yukio
Edano, oggi ministro dell'economia, ha continuato a mentire,
spudoratamente, almeno quattro volte al giorno, fino a maggio,
ogniqualvolta si presentava, apparentemente disponibile e palesemente
affaticato, in sala stampa, per rassicurare il mondo e ingannare il suo
popolo. La capitale scampata allo tsunami Forse oggi non è la giornata
giusta, forse oggi la retorica della commemorazione - con Sua Maestà
(giustificata da una recente operazione) ed il premier Noda che non si
muovono però da Tokyo, città tutto sommata scampata alla catastrofe
dello tsunami e (forse) all'indicente nucleare - deve giustamente
prevalere sulla vergogna delle menzogne e della sciatteria con la quale,
giorno dopo giorno, sembra che il governo della terza economia mondiale
abbia gestito la più grave emergenza dal dopoguerra. Tutto il paese
oggi, osserverà un minuto di silenzio alle 14:46. Si fermeranno perfino i
treni, almeno quelli locali. Le ventimila vittime, di cui 3 mila ancora
introvabili - e i giapponesi non trovano pace fin quando non trovano i
resti dei propri cari defunti - verranno ricordate in una grande
manifestazione nazionale a Tokyo ed in centinaia di altre manifestazioni
locali. Cerimonie semplici, spesso commoventi, che non si conciliano
con l'indignazione civile e la mobilitazione politica. Un errore dunque,
decisamente, quello di « Sayonara Genpatsu » (Addio Nucleare), un
movimento lanciato dal Nobel Kenzaburo Oe ed alcuni altri intellettuali
(pochi, per la verità, nemmeno un incidente come quello di Fukushima ed
il profondo disagio sociale che sta provocando è bastato a «risvegliare»
l'impegno civile di intellettuali e artisti) che non è però riuscito a
unificare il «movimento» e che ha convocato una manifestazione
«nazionale» nello stadio di baseball di Koriyama. Il target iniziale era
di 100 mila persone, poi sceso a 50 mila. Alla vigilia, gli
organizzatori sperano arriivino in 20 mila. La le polemiche, pesanti,
delle ultime ore rischiano di far calare ancora adesioni. E così, anche
oggi, le solite manifestazioni separate, spesso alla stessa ora,
vecchio, odioso rituale degli anni '70, quando il «movimento», uno dei
più forti ed organizzato al mondo, cominciò Come a Tokyo, dove dopo il
solito, liturgico, rumoroso quanto innocuo passaggio davanti alla sede
della Tepco, ci sarà un raduno nel parco Hibiya e una sorta di
«girotondo» (questa sì, una novità che pare preoccupi un po' la polizia)
attorno a Nagatacho, il quartiere del potere che comprende anche il
Parlamento e la residenza del primo ministro. Altra novità - abbastanza
incomprensibile in un momento dove la voce della gente dovrebbe essere
bella forte ed udibile - è la manifestazione «silenziosa» organizzata
nel quartiere più rumoroso e disturbato dalla cacofonia commerciale di
Shibuya. Ritorno a Minamisoma Un anno dopo la tripla catastrofe dell'11
marzo, il Giappone è spaccato in due. Da un lato il nord, che mafia
permettendo ( le macerie sono state fatte sparire dalle strade, ma sono
state ammassate in luoghi nascosti da dove non si muovono senza il
permesso della yakuza, che pretende di organizzarne la
«redistribuzione») sta pian piano risollevandosi e sembra bene avviato
verso un serio - anche se lento - dibattito su tempi, modi e soprattutto
«filosofia» della ricostruzione. Dall'altro Fukushima e i suoi
disperati, indignati (non abbastanza) e, più di quanto le autorità
abbinao il coraggio di ammettere e meno di quanto alcune organizzazioni
cone Greenpeace paventano, «contaminati» cittadini. A Fukushima citta
(60 chilomteri dalla centrale) la vita, in superficie, sembra scorrere
normale, con supermercati e ristoranti pieni, susherie comprese. Ne
hanno aperto una, nuova di zecca, modello «drive in» vicino al casello
dell'autostrada. Passi con la macchina, ordini, e ritiri i sushi pochi
metri avanti. Chiedi da dove viene il pesce, visto che per legge deve
essere tracciabile e ti guardano strano, come se li insultassi. Poi ti
fanno vedere una etichetta: «oceano pacifico». Fantastico. Poi però ti
accorgi che c'è qualcosa di strano. Ecco. Mancano i bambini. Sono
spariti. L'Orco Tepco li ha fatti scappare tutti. Migliaia di famiglie
sono emigrate «volontariamente», spesso provocando e sopportando
dolorose tensioni con i mariti, altre, obbligate a restare tengono i
bambini chiusi in casa ed ingaggiano battaglie quotidiane con le
autorità scolastiche, che rifiutano la trasparenza sulla provenienza dei
pasti e fanno pressione (in Giappone sanno come farla, a volte è
umanamente impossibile sottrarvisi) sulle mamme affinché evitino di
prepare il bento , il pasto personale, ai loro bambini. «Li fate sentire
diversi», dicono. Le mamme, che ovviamente vivono nel terrore che un
prodotto da loro acquistato possa un giorno provocare una grave malattia
ai loro figli, fanno quello che possono per acquistare prodotti sicuri.
E si organizzano per scambiarsi ortaggi , frutta e uova come fossero
contrabbandieri o spacciatori. Organizzando «riunioni» settimanali a
domicilio e passandosi la voce via facebook o twitter. Ma quanto possono
durare? È vita, questa? Le autorità dicono che, ad oggi, l'incidente
nucleare ha provocato solo una vittima ufficiale, un operaio precipitato
da un traliccio. Ma nella sola regione di Fukushima ci sono stati oltre
1300 decessi per varie ragioni, legate comunque allo stress. Per non
parlare dei suicidi. Una trentina, ma potrebbero essere di più. Se le
autorità non trovano un testamento, una «nota», in genere evitano di
catalogare un decesso come suicidio. A volte succede però il contrario.
Lo scorso 30 giugno un certo Satoru Kabayama, consigliere
circoscrizionale di un piccolo muncipio di Tokyo, è stato trovato morto,
asfissiato da una biusta di plastica, in un parco. Lo stesso dove,
qualche giorno prima aveva rilevato una dose di radioattività non certo
preoccupante, specie per Tokyo, 0,25 microsievert l'ora, dato che aveva
minuziosamente riportato sul suo blog. Perché mai avrebbe dovuto
suicidarsi? E perché mai una notizia del genere dovrebbe essere sparata
in prima pagina, su quasi tutti i grandi giornali nazionali? «L'ennesima
prova che è l'intero Paese ad avere subito il metdown», commenta
Katsunobu Sakurai, il sindaco di Minamisoma che l'anno scorso, dopo aver
ascoltato il suo appello su You Tube eravamo venuti a trovare. «Non
riusciamo più a riprendere il filo delle priorità, a progettare,
decidere, eseguire. Qui tutto il paese sta andando a catafascio, la
gente sta perdendo la fiducia nelle istituzioni, e questo, non era mai
successo, prima d'ora». L'atomo ha distrutto il crisantemo, insomma.
Sakurai oramai è una celebrità, Time Magazine l'ha inserito nella lista
dei 100 comunicatori pià imprtanti al mondo e un sondaggio del
quotidiano Mainichi lo indica come uno dei sindaci più popolari del
Giappone. Oramai è difficile incintrarlo, è sempre in giro per il paese,
chiamato a tenere cionferenze o impegnato a ricevere ospiti. Stavolta
lo troviamo tutto in ghingheri, dopo di noi aspetta un ospite
importante, l'ambasciatore Usa, John Roos. «Non so cosa voglia e perchè
abbia chiesto di vedermi, ma io ricevo tutti. Magari mi dà qualche
informazione riservata, qui sanno tutti più di quanto sappiamo noi
cittadini». Provo a cercare, nel salotto, la foto di Berlinguer che
l'anno scorso trionfava tra due trofei di maratone vinte. È sparita.
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