La Cgil dichiara uno sciopero che, forse, si farà
quando sarà ormai inutile. Per non disturbare il voto amministrativo, dove il
Pd teme la disfatta.
Sulla gravità della situazione ci sono pochi dubbi.
Una crisi senza soluzioni, una nuova recessione già in atto, un governo
paracadutato da Marte che picchia sul lavoro e ha bisogno di mostrare al mondo
che il sindacato – meglio sarebbe dire “il movimento dei lavoratori”, senza
altre specificazioni - è stato ridotto al silenzio e all'irrilevanza.
Un sindacato normale, nemmeno troppo antagonistico, in
questa situazione effettuerebbe mobilitazioni rilevanti e diffuse il prima
possibile. Perché c'è un testo che descrive delle “linee guida” per una
“riforma del mercato del lavoro” che una volta tradotto in “articolato di
legge” e approvato dal Parlamento, ingabbierà ogni singolo lavoratore di questo
paese a vivere il solitudine e paura il rapporto di lavoro con il padrone.
Bene. Non parliamo di Cisl e Uil che hanno ormai il
nome di sindacato e la natura di “centro servizi” a pagamento. Parliamo della
Cgil che ha quasi sei milioni di iscritti paganti. Davanti a una minaccia
simile proclama 16 ore di sciopero – e va bene – ma procrastina a data da
destinarsi l'effettuazione della scadenza generale, nazionale, per tutte le
categorie e i territori.
“A fine maggio”, ha detto il segretario generale meno
brillante che la Cgil abbia mai avuto. Una data lunare, perché la discussione
sulla “riforma” sta avvenendo ora. E fissare uno sciopero per dopo che sarà
stata varata serve, com'è stato per il ridicolo scioperetto di tre ore a fine
turno in occasione delle pensioni, a sciacquarsi la coscienza, non certo a
cambiare il segno dell'azione del governo.
Poteva dire “a babbo morto” e sarebbe stato più
chiaro. Del resto Camusso non si sta affatto preoccupando del destino di
milioni di lavoratori, ma delle sorti del Pd e del governo stesso. Il partito
di Bersani – sulla questione dell'art. 18 e dl lavoro – è a un passo
dall'esplosione. Se la riforma fosse approvata con i suoi voti prima delle
amministrative di maggio – il 5, con i ballottaggi due settimane dopo –
probabilmente prenderebbe una scoppola devastante. Il governo ha perciò scelto
di venirgli incontro posticipando la data di approvazione della ”riforma”,
tramite la scelta di un disegno di legge (dai tempi medio-lunghi, minimo tre
mesi) anziché quella della decretazione d'urgenza.
Sul piano economico, infatti, una “riforma” con quelle
caratteristiche farà sentire i suoi effetti (disoccupazione e abbassamento dei
salari) sul lungo periodo; due mesi prima o due mesi dopo non fa grande
differenza. E quindi si può andare all'approvazione definitiva anche a giugno,
sena troppi problemi.
La Cgil segue questo calendario con scrupolo e
attenzione, per non rompere troppo le scatole né al governo né a Confindustria,
ma soprattutto senza rischiare di spaccare il Pd. Uno sciopero generale prima
delle amministrative era quindi da escludere per questo motivo. Dopo sarà
probabilmente troppo tardi, perché nel frattempo “l'articolato” avrà raggiunto
un grado di definizione maggiore. Tale comunque da non essere più facilmente
modificabile senza compromettere gli equilibri nel frattempo raggiunti.
Il campo di gioco sembra segnato. Monti non intende
cambiare di una virgola lo smantellamento dell'art. 18 (lo “scalpo” che
dimostra la sconfitta storica del movimento operaio) e lascia campo libero alle
scorribande di una destra risorta, che può criticare come vuole il governo,
pretende che sia il Pd a pagare il prezzo elettorale di un massacro sociale
(dando di nuovo linfa anche a una Lega che era arrivata dal un grado dalla
temperatura di fusione).
L'equilibrismo moderato-riformista, ancora una volta,
serve solo a far irrobustire un destra feroce: si accetta infatti il ruolo di
esser indicato come responsabile principale delle misure antipopolari senza
averle neppure decise e, in larga misura, senza condividerle.
Ci può essere una strategia peggiore? No.
E si può fare qualcosa per provare a invertire la
tendenza? Sì, col 31 marzo a Milano. Perché l'unica battaglia certamente persa
è quella che non viene combattuta...
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