Provate a immaginare un’elezione politica in cui i cittadini fossero
liberi di votare soltanto per i partiti che hanno sottoscritto un
impegno a sostenere Mario Monti e qualunque decisione della troika. Non
sarebbe un’elezione ma una truffa.
Peggio ancora, provate a pensare se
le elezioni dei parlamentari fossero sostituite dalla nomina di
onorevoli di fiducia decisa dai partiti sottoscrittori del patto. Più
che una truffa, sarebbe la fine della democrazia.
Ebbene, è quel che
succede nelle fabbriche Fiat dove alla Fiom è impedito di svolgere
attività sindacale perché colpevole di non aver sottoscritto un
contratto aziendale che cancella il contratto nazionale dei
metalmeccanici. Così si brucia un pezzo essenziale di democrazia, pur
sospesa come quella italiana. È per questo che lo sciopero generale di
venerdì prossimo indetto dalla Fiom e che porterà in piazza a Roma
centinaia di migliaia di persone non riguarda soltanto i lavoratori
Fiat o i metalmeccanici, ma l’intero paese.
In un contesto politico
generale segnato dalla «sospensione della democrazia» e in un contesto
sociale segnato dalla disoccupazione e dalla precarietà di massa, dalla
crescita delle diseguaglianze, dal tentativo di ridurre le battaglie
democratiche a questioni di ordine pubblico come in Val di Susa, la
giornata di venerdì sarà un termometro per misurare la febbre e gli
anticorpi del paese. Rompere l’accerchiamento è la prima mossa per
contrastare i piani dell’avversario e al tempo stesso le bugie e i
silenzi della politica. Stanno tentando di cancellare la Fiom,
tagliandole i viveri e ricattando chi aspetta di essere richiamato al lavoro,
dove la condizione imposta da Marchionne ai lavoratori di Pomigliano
per essere riassunti è che strappino quella maledetta tessera. Neanche
negli anni Cinquanta i padroni si muovevano con tanta sfacciataggine.
Oggi tocca alla Fiom, e domani?
Inevitabilmente la giornata di venerdì porterà in piazza tutti i movimenti che si battono in difesa dei beni comuni, per la scuola pubblica, contro il precariato. In piazza San Giovanni chi difende i diritti dei lavoratori e, dunque, l’art. 18, si troverà fianco a fianco con chi chiede un reddito di cittadinanza, un modo per rimandare al mittente i tentativi di dividere chi è più colpito dalla crisi e dalle ricette liberiste abbracciate dal governo Monti. Ci sarà l’associazionismo, Arci in testa, ci sarà il movimento per l’acqua pubblica, le associazioni territoriali in difesa dell’ambiente, quelle che difendono la Costituzione, in testa l’Anpi. Ci saranno tanti studenti che con un loro corteo che partirà dalla Sapienza si uniranno a quello centrale della Fiom – concentramento alle 9,30 in piazza Esedra – all’altezza della stazione Termini. Ci saranno i centri sociali e, naturalmente, le categorie e le Camere del lavoro della Cgil. Alcune di queste, lo Spi, la Filcams, la Cgil Emilia hanno sostenuto anche economicamente lo sforzo organizzativo dei metalmeccanici. Arriveranno in tanti i No Tav dalla Val di Susa e da tutto il paese perché le ragioni e la determinazione dei valsusini sono contagiose. Hanno già aderito organizzazioni come Libera, il Centro per la riforma dello stato, A Sud. Ci saranno i partiti extraparlamentari di sinistra e l’Italia dei valori, mentre il Pd si dice «preoccupato» per la presenza nel corteo dei valsusini. In casa Bersani è partita una sindrome da anni Settanta, o forse il Tav è un’alibi per chiamarsi fuori. Il Pd, è noto, non partecipa alle manifestazioni indette dagli «altri». La Fiom evidentemente rappresenta «gli altri». Ma chi sono «i loro»?
In quanti arriveranno a Roma è un mistero. Certo è che metalmeccanici e amici della Fiom non conquisteranno la piazza romana viaggiando su treni speciali perché la stagione in cui le ferrovie erano un servizio collettivo a garanzia anche dei diritti democratici è finita: i costi dei treni sono inarrivabili, e tra le persone da ringraziare per il cambiamento di finalità del trasporto pubblico c’è Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato che nella sua prima vita dirigeva la Cgil trasporti. La chiamano eterogenesi dei fini. Dunque, a Roma i meccanici arriveranno con centinaia di pullman, sono già 600 quelli prenotati senza contare i mezzi organizzati dalle associazioni e dai partiti che hanno aderito.
In piazza San Giovanni ci saranno tutti i lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti a cui si sta presentando il conto della crisi. Persone che pensano che il problema non sia come rendere più facili i licenziamenti ma gli ingressi al lavoro e sanno bene che più tardi i «vecchi» andranno in pensione, più tardi i «giovani» prenderanno il loro posto.
Inevitabilmente la giornata di venerdì porterà in piazza tutti i movimenti che si battono in difesa dei beni comuni, per la scuola pubblica, contro il precariato. In piazza San Giovanni chi difende i diritti dei lavoratori e, dunque, l’art. 18, si troverà fianco a fianco con chi chiede un reddito di cittadinanza, un modo per rimandare al mittente i tentativi di dividere chi è più colpito dalla crisi e dalle ricette liberiste abbracciate dal governo Monti. Ci sarà l’associazionismo, Arci in testa, ci sarà il movimento per l’acqua pubblica, le associazioni territoriali in difesa dell’ambiente, quelle che difendono la Costituzione, in testa l’Anpi. Ci saranno tanti studenti che con un loro corteo che partirà dalla Sapienza si uniranno a quello centrale della Fiom – concentramento alle 9,30 in piazza Esedra – all’altezza della stazione Termini. Ci saranno i centri sociali e, naturalmente, le categorie e le Camere del lavoro della Cgil. Alcune di queste, lo Spi, la Filcams, la Cgil Emilia hanno sostenuto anche economicamente lo sforzo organizzativo dei metalmeccanici. Arriveranno in tanti i No Tav dalla Val di Susa e da tutto il paese perché le ragioni e la determinazione dei valsusini sono contagiose. Hanno già aderito organizzazioni come Libera, il Centro per la riforma dello stato, A Sud. Ci saranno i partiti extraparlamentari di sinistra e l’Italia dei valori, mentre il Pd si dice «preoccupato» per la presenza nel corteo dei valsusini. In casa Bersani è partita una sindrome da anni Settanta, o forse il Tav è un’alibi per chiamarsi fuori. Il Pd, è noto, non partecipa alle manifestazioni indette dagli «altri». La Fiom evidentemente rappresenta «gli altri». Ma chi sono «i loro»?
In quanti arriveranno a Roma è un mistero. Certo è che metalmeccanici e amici della Fiom non conquisteranno la piazza romana viaggiando su treni speciali perché la stagione in cui le ferrovie erano un servizio collettivo a garanzia anche dei diritti democratici è finita: i costi dei treni sono inarrivabili, e tra le persone da ringraziare per il cambiamento di finalità del trasporto pubblico c’è Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato che nella sua prima vita dirigeva la Cgil trasporti. La chiamano eterogenesi dei fini. Dunque, a Roma i meccanici arriveranno con centinaia di pullman, sono già 600 quelli prenotati senza contare i mezzi organizzati dalle associazioni e dai partiti che hanno aderito.
In piazza San Giovanni ci saranno tutti i lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti a cui si sta presentando il conto della crisi. Persone che pensano che il problema non sia come rendere più facili i licenziamenti ma gli ingressi al lavoro e sanno bene che più tardi i «vecchi» andranno in pensione, più tardi i «giovani» prenderanno il loro posto.
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