mercoledì 7 marzo 2012

Se quattro centimetri di Tav costano come un anno di pensione

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Mario Di Vito, http://www.eilmensile.it

Cinquemila euro a centimetro. Ecco il costo per i chilometri di Tav che l’Italia dovrà costruire. Un’opera imponente, di cui si discute da vent’anni e che, periodicamente, torna di moda su giornali e tv per gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine in Val di Susa, senza mai, o quasi, che qualcuno si interroghi sulle spese o sull’effettiva necessità di una cosa del genere.  
Il costo complessivo dell’impresa, stimato sulla base di quanto abbiamo speso per le altre linee ad alta velocità realizzate nel Belpaese, dovrebbe aggirarsi sui 40 miliardi di euro. Ed è comunque una stima al ribasso: in un dossier presentato all’Ue nel 2006, il preventivo era di 17 miliardi, soltanto quattro anni dopo, un altro dossier raddoppiava le cifre: 35 miliardi. Per fare qualche esempio, 4 centimetri di Tav sono un anno di pensione, 3 metri equivalgono a una scuola materna con 4 sezioni, 500 metri è un ospedale da 1.200 posti, 226 ambulatori e 36 sale operatorie. 
Tanto per dire, poi, in Francia, per 140 chilometri di Tav, dei quali 33 a cielo aperto e 45 di tunnel, spendono 6.2 miliardi di euro. Tra l’altro, non sono pochi quelli che dubitano nel fatto che l’Italia abbia tutti questi soldi da investire e che, quindi, si renderà necessario chiedere soldi in prestito dalle banche, con conseguenze immaginabili in termine di interessi e debito pubblico, come se già non avessimo problemi del genere. Nel complesso, la nuova tratta dovrebbe occupare una lunghezza compresa tra i 254 e i 265 chilometri, poco meno della linea attuale, che di chilometri ne percorre 287, sfruttata al minimo e con un traffico di merci che, anno dopo anno, va scendendo. Questi numeri sono soltanto il risultato di un processo tragicamente noto a tutti: quello degli appalti, spesso distribuiti in modo poco trasparente e sui quali anche l’Antimafia ha espresso diversi dubbi.
E’ una storia vecchia, ormai, le opere pubbliche in Italia arrivano a costare decisamente più che nel resto d’Europa, e senza che comunque la loro qualità raggiunga livelli appena accettabili. Oltre ai motivi ambientali, all’esproprio dei terreni e alla dubbia utilità economica della Tav (cioè, che senso ha percorrere la Lione-Torino in un’ora e mezza quando poi per arrivare in Calabria ci vuole, se va tutto bene, un giorno di viaggio?), bisogna anche considerare lo spreco di denaro pubblico che quest’opera porta con sé: l’Ue ancora non ha deciso se e in che misura finanziare l’opera e anche dall’altra parte delle Alpi le cose vanno avanti con estrema calma. Il 30 gennaio scorso, a Roma, è stato siglato un ennesimo accordo tra Italia e Francia “per la realizzazione e l’esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione”. Un accordo che in molti hanno definito farsesco, inutile, addirittura dannoso per gli stessi ipotetici investitori che starebbero guardando con interesse alla Tav che attraverserà la Val di Susa.
“Il governo Monti – scrivono i No Tav sui loro blog – dimostra anche in questa vicenda una assoluta continuità con i governi Berlusconi e Prodi che lo hanno preceduto. Anni in cui i governi hanno venduto su quest’opera solo false notizie e fumo, ingannando un’opinione pubblica addomesticata che ora però è divenuta cittadinanza attiva. Se da un lato il movimento no tav in val di Susa è cresciuto oltre che in partecipazione anche in determinazione e lotta dall’altro lato a livello italiano ha saputo informare e aggregare, diffondendo verità e consapevolezza”. Alla base dei dubbi c’è proprio il primo articolo dell’accordo, nel quale si legge che “non ha per oggetto l’avvio dei lavori definitivi della parte comune italo-francese, che richiederà l’approvazione di un protocollo addizionale separato, tenendo conto in particolare della partecipazione definitiva dell’Unione Europea al progetto”. In sostanza, il progetto per la Torino – Lione c’è, ma mancano ancora i presupposti per farlo partire, con l’Ue che ancora non ha deciso se prendere parte all’impresa o meno. Dunque, da dove arriva tutta questa fretta di aprire i cantieri?

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