domenica 29 luglio 2012

I numeri dell’Inps smentiscono Fornero di Michele Carugi, Il Fatto Quotidiano

A fronte del quasi dimezzamento delle nuove pensioni e dell’età media effettiva di pensionamento che si è innalzata a 61,3 anni e cioè di quasi un anno secco rispetto al 2011, che conferma una tendenza già iniziata nel 2011 e che ha portato a ottimi risultati economici in quell’anno sul versante puramente previdenziale, il presidente dell’Inps Mastrapasqua ha dichiarato: “I dati Inps sul calo delle nuove pensioni dimostrano che le riforme hanno funzionato e che il sistema previdenziale é stato messo in sicurezza”. Va dato atto peraltro a Mastrapasqua, di avere sostenuto già dal 2010 che il sistema previdenziale era stabilizzato, in questo concordando con moltissimi altri personaggi pubblici ed esperti del settore.
A scanso di equivoci non è superfluo sottolineare che la riforma Fornero non ha avuto alcun impatto di alcun genere sui risultati dell’Inps del primo semestre del 2012, poiché i suoi effetti devastanti sulle persone e quelli economici si cominceranno a sentire solo dal 2013.
Allora le domande che sorgono spontanee sono:
  1. Da quale infausta motivazione furono ispirati Trichet e Draghi quando nell’agosto 2011 scrissero la famosa lettera al Governo italiano nella quale chiedevano tra le altre cose che si mettesse mano con urgenza alla riforma della previdenza?
  2. Che cosa ha motivato Fornero a pensare e poi attuare la riforma che si sta rivelando, oltre che drammaticamente insostenibile per centinaia di migliaia di pensionandi senza lavoro, anche del tutto superflua?
  3. Perché le forze politiche hanno colpevolmente avallato la bieca riforma proposta da Fornero salvo apportare alcune modifiche meno che marginali?
Le mie risposte sono le stesse già date altre volte. Trichet semplicemente non sapeva di cosa parlava essendogli probabilmente sconosciuti i dettagli del nostro sistema previdenziale. Draghi mirava a sostenere preventivamente una riforma non necessaria ma che certamente è utile per spostare a regime risorse dai contributi dei lavoratori alle spese dello Stato in altre aree e migliorare i conti pubblici. Fornero ha attuato una riforma di cui è ideologicamente convinta da sempre anche contro le evidenze di non necessità e ha trovato sponda da tutti coloro che volevano “fare cassa”. I partiti politici hanno subito ottusamente il ricatto consistente nel “prendere o lasciare”, e cioè o si approva tutto ciò che il Governo Monti propone oppure lo stesso lascia.
Nessuna di queste motivazioni ha radici nei conti del nostro sistema previdenziale preesistente, che a questo punto solo un commentatore in malafede potrebbe continuare a definire instabile e illumina meglio le ragioni grettamente di cassa che stanno dietro alla furia riformatrice altrimenti ingiustificata.
I circa 200.000 esodati che pagheranno sulla loro pelle la riforma saranno agnelli sacrificali, il cui sangue non scorrerà per risanare i conti della previdenza o per garantire pensioni migliori ai giovani di oggi, bensì per bilanciare nei conti dello Stato spese quali l’assistenza (gestita dall’Inps) oppure, peggio, per mantenere un flusso di risorse che contribuisca a finanziare aree di spreco, clientelismo e parassitismo che non si andranno a toccare, perlomeno non sufficientemente.
Altresì, l’età pensionistica più alta d’Europa verrà raggiunta con effetto quasi immediato non perché ciò fosse necessario per i numeri previdenziali, ma per migliorare la situazione di cassa dello Stato prelevando da una delle poche aree in equilibrio grazie ai contributi dei lavoratori e delle imprese.
Ci dissero, in dicembre, che occorreva la riforma perché lo Stato rischiava di non poter neppure pagare le pensioni esistenti; ciò sembrò da subito un’invenzione, sensazione confermata vedendo i conti della ragioneria dello Stato che indicavano i primi benefici a partire dal 2013 e che quindi rendevano non credibile che tali risparmi servissero a pagare le pensioni nell’immediato.
 
Ci dissero anche che la riforma era una delle cose necessarie per dare agli investitori internazionali fiducia sul paese e quindi far abbassare lo spread; tutti hanno visto cosa è successo in seguito allo spread e come questo sembri del tutto in dipendente dallo stato del nostro sistema pensionistico.
In conclusione, ritengo che ci siano state raccontate molte storie fantasiose che la realtà dei fatti smentisce una per una; di fronte a questo occorre che il Governo ci liberi quanto prima della presenza del ministro Fornero e che venga cancellata la sua riforma o almeno modificata radicalmente con buon senso; ci si aspetterebbe che tutti i partiti ne chiedessero le dimissioni, cosa che invece è stata fatta solo da alcune forze all’opposizione e nel non supportarla si è persa un’occasione.
Temo, invece, che il ministro resterà al suo posto e che continuerà a sostenere contro l’evidenza che la sua riforma era necessaria e che non ci sono risorse per risolvere il problema di tutti gli esodati e che in partiti politici continueranno a giocare con proposte di legge future ed emendamenti minimali, continuando a sottostare al ricatto surreale di chi dice: “o questo governo esattamente com’è oppure il diluvio”.
Continueranno su questa strada che però, è bene lo sappiano, li porterà al tracollo elettorale e porterà la nazione a una reale ingovernabilità; sempre che la rabbia degli esodati che oltre che bastonati sono anche ora irrisi dalle cifre pubblicate dall’Inps, saldata a quella dei lavoratori che vedono la pensione allontanarsi enormemente senza un motivo reale, non esploda e costringa finalmente qualcuno a smetterla di trincerarsi dietro favolette sempre più risibili e ad affrontare la realtà del fatto che la riforma si può e si deve modificare radicalmente, molto radicalmente e che le risorse per il problema esodati ci sono, basta evitare di stornarle dalla previdenza per destinarle ad altro e che cambiando il Ministro del lavoro non necessariamente i Governi devono dimettersi; si chiama “rimpasto” ed è doveroso quando la principale riforma di quel ministro viene smentita dalla realtà dei numeri.

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