La
ricorrenza dei 40 anni dalla pubblicazione del libro del Club di Roma,
“I limiti dello sviluppo” (ma il titolo originale era “I limiti alla
crescita”) rinfocola il dibattito su crescita/decrescita. La tesi del
libro era: in un mondo di risorse limitate una crescita della produzione
delle merci, e di conseguenza dell’impoverimento delle riserve di
risorse naturali e della produzione di rifiuti, non può continuare a
lungo. Se continuasse l’attuale ritmo di crescita della popolazione e
dei consumi di merci agricole e industriali, l’umanità andrebbe incontro
a malattie per l’inquinamento e a guerre per la conquista di materie
prime scarse, al punto che la crescita si fermerebbe e anzi si avrebbe
una diminuzione della produzione e forse della stessa popolazione
mondiale.
Ne è nato un infinito dibattito; secondo alcuni è necessario fermare la crescita della popolazione mondiale; secondo altri deve essere fermata la crescita della popolazione nei paesi poveri, dove si fanno più figli, per permettere ai paesi ricchi di continuare con la crescita dei loro consumi; secondo altri ancora è necessario fermare la crescita della produzione di merci nei paesi ricchi per permettere ai poveri di migliorare le proprie condizioni di vita; secondo l’economia corrente si deve assicurare la crescita delle merci nei paesi ricchi e in quelli poveri e si risolveranno in qualche modo i problemi della disponibilità di risorse naturali e di inquinamento. In polemica con questa posizione si pongono molti ”ambientalisti” e il movimento della “decrescita”, parola che comprende anche una specie di moda di gentili signore che coltivano pomodori “bio” nel proprio giardino, virtù peraltro poco proponibile a livello globale e nazionale.
Mi pare che nel dibattito manchi una domanda: crescita o decrescita di chi e di che cosa? Lasciamo da parte per il momento il più complesso problema della popolazione, nei paesi ricchi (dove decresce) e in quelli poveri (dove cresce in ragione di 70 milioni di persone all’anno). Gli indicatori monetari come il Prodotto Interno Lordo o simili aumentano se cresce la produzione e il consumo delle merci, dal grano all’acciaio, dai frigoriferi alle barche a vela, dal carbone al cemento e alla carta, delle merci che consentono i servizi di mobilità (automobili e carburanti), di comunicazione (telefoni e televisori), di salute (letti di ospedale e macchine per la diagnosi delle malattie), dell’istruzione (libri o computers o edifici scolastici), eccetera.
Questi beni materiali non sono tutti uguali e i governi lo sanno (più o meno) bene; infatti di alcuni regolano la decrescita con leggi talvolta emanate spontaneamente, talvolta sollecitate da considerazioni economiche (è inutile finanziare un prodotto che non si vende più o l’estrazione in una miniera esaurita) o ecologiche e sanitarie (non si deve più produrre e usare una merce pericolosa o inquinante). Così i governi, nel corso degli anni, hanno imposto la decrescita e addirittura il divieto della produzione di merci come il piombo tetraetile, l’amianto, i clorofluorocarburi; impongono la decrescita delle emissioni di gas che alterano il clima, del consumo di benzina e delle emissioni di gas da parte delle automobili, della quantità di concimi impiegati in agricoltura.
Secondo molti si tratta peraltro di rimedi che fanno decrescere troppo poco i danni ambientali e l’impoverimento delle riserve di minerali, petrolio e gas. Certe volte le proposte di decrescita di certe merci generano inconvenienti anche peggiori: la decrescita dei consumi di benzina attraverso la sua sostituzione con biocarburanti provoca una crescita della produzione e del consumo di prodotti agricoli che vengono sottratti agli usi alimentari. Certe altre volte la decrescita è provocata dalle stesse forze economiche perché la comparsa di altre merci e processi costringe alla chiusura di fabbriche e miniere e alla cessazione di coltivazioni, talvolta con dolore per occupati e per le loro famiglie. Abbiamo ben assistito alla decrescita e scomparsa della produzione di acciaio a Napoli e Genova; della coltivazione delle mandorle pugliesi che, mezzo secolo fa, esportavamo in tutto il mondo, o delle barbabietole nella Valle Padana.
La decrescita non è felice, ma non è neanche parolaccia. E’ una fase della vita umana, di quella economica e di quella merceologica. Chi può, fa bene a coltivare, con gioia, pomodori “bio” senza concimi e pesticidi. Nello stesso tempo i governi dei vari paesi faranno bene a emanare leggi per regolare crescita, ma anche decrescita, della produzione tenendo conto dell’inevitabile impoverimento delle riserve di risorse naturali e della fertilità del suolo, dell’aumento dell’inquinamento e del numero degli abitanti della terra, con gli scandalosi sprechi di alcuni e con la giusta aspirazione di tanti altri ad uscire da una scandalosa miseria. E faranno bene i cittadini a sollecitare e criticare i governi quando sono troppo lenti e svogliati nell’affrontare tali compiti.
Ne è nato un infinito dibattito; secondo alcuni è necessario fermare la crescita della popolazione mondiale; secondo altri deve essere fermata la crescita della popolazione nei paesi poveri, dove si fanno più figli, per permettere ai paesi ricchi di continuare con la crescita dei loro consumi; secondo altri ancora è necessario fermare la crescita della produzione di merci nei paesi ricchi per permettere ai poveri di migliorare le proprie condizioni di vita; secondo l’economia corrente si deve assicurare la crescita delle merci nei paesi ricchi e in quelli poveri e si risolveranno in qualche modo i problemi della disponibilità di risorse naturali e di inquinamento. In polemica con questa posizione si pongono molti ”ambientalisti” e il movimento della “decrescita”, parola che comprende anche una specie di moda di gentili signore che coltivano pomodori “bio” nel proprio giardino, virtù peraltro poco proponibile a livello globale e nazionale.
Mi pare che nel dibattito manchi una domanda: crescita o decrescita di chi e di che cosa? Lasciamo da parte per il momento il più complesso problema della popolazione, nei paesi ricchi (dove decresce) e in quelli poveri (dove cresce in ragione di 70 milioni di persone all’anno). Gli indicatori monetari come il Prodotto Interno Lordo o simili aumentano se cresce la produzione e il consumo delle merci, dal grano all’acciaio, dai frigoriferi alle barche a vela, dal carbone al cemento e alla carta, delle merci che consentono i servizi di mobilità (automobili e carburanti), di comunicazione (telefoni e televisori), di salute (letti di ospedale e macchine per la diagnosi delle malattie), dell’istruzione (libri o computers o edifici scolastici), eccetera.
Questi beni materiali non sono tutti uguali e i governi lo sanno (più o meno) bene; infatti di alcuni regolano la decrescita con leggi talvolta emanate spontaneamente, talvolta sollecitate da considerazioni economiche (è inutile finanziare un prodotto che non si vende più o l’estrazione in una miniera esaurita) o ecologiche e sanitarie (non si deve più produrre e usare una merce pericolosa o inquinante). Così i governi, nel corso degli anni, hanno imposto la decrescita e addirittura il divieto della produzione di merci come il piombo tetraetile, l’amianto, i clorofluorocarburi; impongono la decrescita delle emissioni di gas che alterano il clima, del consumo di benzina e delle emissioni di gas da parte delle automobili, della quantità di concimi impiegati in agricoltura.
Secondo molti si tratta peraltro di rimedi che fanno decrescere troppo poco i danni ambientali e l’impoverimento delle riserve di minerali, petrolio e gas. Certe volte le proposte di decrescita di certe merci generano inconvenienti anche peggiori: la decrescita dei consumi di benzina attraverso la sua sostituzione con biocarburanti provoca una crescita della produzione e del consumo di prodotti agricoli che vengono sottratti agli usi alimentari. Certe altre volte la decrescita è provocata dalle stesse forze economiche perché la comparsa di altre merci e processi costringe alla chiusura di fabbriche e miniere e alla cessazione di coltivazioni, talvolta con dolore per occupati e per le loro famiglie. Abbiamo ben assistito alla decrescita e scomparsa della produzione di acciaio a Napoli e Genova; della coltivazione delle mandorle pugliesi che, mezzo secolo fa, esportavamo in tutto il mondo, o delle barbabietole nella Valle Padana.
La decrescita non è felice, ma non è neanche parolaccia. E’ una fase della vita umana, di quella economica e di quella merceologica. Chi può, fa bene a coltivare, con gioia, pomodori “bio” senza concimi e pesticidi. Nello stesso tempo i governi dei vari paesi faranno bene a emanare leggi per regolare crescita, ma anche decrescita, della produzione tenendo conto dell’inevitabile impoverimento delle riserve di risorse naturali e della fertilità del suolo, dell’aumento dell’inquinamento e del numero degli abitanti della terra, con gli scandalosi sprechi di alcuni e con la giusta aspirazione di tanti altri ad uscire da una scandalosa miseria. E faranno bene i cittadini a sollecitare e criticare i governi quando sono troppo lenti e svogliati nell’affrontare tali compiti.
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