sabato 21 luglio 2012

AMBIENTE. Decrescita, un dibattito lungo 40 anni di Giorgio Nebbia



La ricorrenza dei 40 anni dalla pubblicazione del libro del Club di Roma, “I limiti dello sviluppo” (ma il titolo originale era “I limiti alla crescita”) rinfocola il dibattito su crescita/decrescita. La tesi del libro era: in un mondo di risorse limitate una crescita della produzione delle merci, e di conseguenza dell’impoverimento delle riserve di risorse naturali e della produzione di rifiuti, non può continuare a lungo. Se continuasse l’attuale ritmo di crescita della popolazione e dei consumi di merci agricole e industriali, l’umanità andrebbe incontro a malattie per l’inquinamento e a guerre per la conquista di materie prime scarse, al punto che la crescita si fermerebbe e anzi si avrebbe una diminuzione della produzione e forse della stessa popolazione mondiale.

Ne è nato un infinito dibattito; secondo alcuni è necessario fermare la crescita della popolazione mondiale; secondo altri deve essere fermata la crescita della popolazione nei paesi poveri, dove si fanno più figli, per permettere ai paesi ricchi di continuare con la crescita dei loro consumi; secondo altri ancora è necessario fermare la crescita della produzione di merci nei paesi ricchi per permettere ai poveri di migliorare le proprie condizioni di vita; secondo l’economia corrente si deve assicurare la crescita delle merci nei paesi ricchi e in quelli poveri e si risolveranno in qualche modo i problemi della disponibilità di risorse naturali e di inquinamento. In polemica con questa posizione si pongono molti ”ambientalisti” e il movimento della “decrescita”, parola che comprende anche una specie di moda di gentili signore che coltivano pomodori “bio” nel proprio giardino, virtù peraltro poco proponibile a livello globale e nazionale.

Mi pare che nel dibattito manchi una domanda: crescita o decrescita di chi e di che cosa? Lasciamo da parte per il momento il più complesso problema della popolazione, nei paesi ricchi (dove decresce) e in quelli poveri (dove cresce in ragione di 70 milioni di persone all’anno). Gli indicatori monetari come il Prodotto Interno Lordo o simili aumentano se cresce la produzione e il consumo delle merci, dal grano all’acciaio, dai frigoriferi alle barche a vela, dal carbone al cemento e alla carta, delle merci che consentono i servizi di mobilità (automobili e carburanti), di comunicazione (telefoni e televisori), di salute (letti di ospedale e macchine per la diagnosi delle malattie), dell’istruzione (libri o computers o edifici scolastici), eccetera.
Questi beni materiali non sono tutti uguali e i governi lo sanno (più o meno) bene; infatti di alcuni regolano la decrescita con leggi talvolta emanate spontaneamente, talvolta sollecitate da considerazioni economiche (è inutile finanziare un prodotto che non si vende più o l’estrazione in una miniera esaurita) o ecologiche e sanitarie (non si deve più produrre e usare una merce pericolosa o inquinante). Così i governi, nel corso degli anni, hanno imposto la decrescita e addirittura il divieto della produzione di merci come il piombo tetraetile, l’amianto, i clorofluorocarburi; impongono la decrescita delle emissioni di gas che alterano il clima, del consumo di benzina e delle emissioni di gas da parte delle automobili, della quantità di concimi impiegati in agricoltura.

Secondo molti si tratta peraltro di rimedi che fanno decrescere troppo poco i danni ambientali e l’impoverimento delle riserve di minerali, petrolio e gas. Certe volte le proposte di decrescita di certe merci generano inconvenienti anche peggiori: la decrescita dei consumi di benzina attraverso la sua sostituzione con biocarburanti provoca una crescita della produzione e del consumo di prodotti agricoli che vengono sottratti agli usi alimentari. Certe altre volte la decrescita è provocata dalle stesse forze economiche perché la comparsa di altre merci e processi costringe alla chiusura di fabbriche e miniere e alla cessazione di coltivazioni, talvolta con dolore per occupati e per le loro famiglie. Abbiamo ben assistito alla decrescita e scomparsa della produzione di acciaio a Napoli e Genova; della coltivazione delle mandorle pugliesi che, mezzo secolo fa, esportavamo in tutto il mondo, o delle barbabietole nella Valle Padana.

La decrescita non è felice, ma non è neanche parolaccia. E’ una fase della vita umana, di quella economica e di quella merceologica. Chi può, fa bene a coltivare, con gioia, pomodori “bio” senza concimi e pesticidi. Nello stesso tempo i governi dei vari paesi faranno bene a emanare leggi per regolare crescita, ma anche decrescita, della produzione tenendo conto dell’inevitabile impoverimento delle riserve di risorse naturali e della fertilità del suolo, dell’aumento dell’inquinamento e del numero degli abitanti della terra, con gli scandalosi sprechi di alcuni e con la giusta aspirazione di tanti altri ad uscire da una scandalosa miseria. E faranno bene i cittadini a sollecitare e criticare i governi quando sono troppo lenti e svogliati nell’affrontare tali compiti.

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