mercoledì 11 luglio 2012

Nessuno disturbi il manovratore di Sergio Cararo, www.contropiano.org

Intorno a Monti è stato costruito un cerchio di ferro che mette al bando qualsiasi tono dissonante.
E’ stato decisamente impressionante vedere il rubicondo neopresidente della Confindustria messo in croce dai giornali "che contano" e dalla ridda di dichiarazioni che lo invitavano a tacere per non stuzzicare il demone dei nostri tempi: lo spread.
Il povero Squinzi, industriale minore e rappresentante di una industria preoccupata dagli effetti della recessione e delle misure antisociali sul mercato interno, sta pagando un doppio “torto”: Il primo è quello di aver vinto in Confindustria contro Bombassei, il candidato dei grandi “prenditori” (da Marchionne a Montezemolo a Tronchetti Provera); il secondo di aver detto pane al pane quello che pensava delle misure adottate dal governo Monti in materia di lavoro e spesa pubblica: “una boiata” (la controriforma del mercato del lavoro), “una macelleria sociale” (il decreto sulla spending review). Parole che avremmo dovuto sentire da Bersani e dalla Cgil sono state invece pronunciate dall’attuale presidente degli imprenditori italiani.
Non si è rovesciato il mondo. Al contrario, dentro la crisi gli interessi materiali entrano in campo cercando di imporre soluzioni “confacenti”. Non a un “interesse generale” sempre meno tangibile, ma a quelli di gruppi ben delineati e potenti. Solo i lavoratori pubblici e privati non hanno avuto voce in capitolo dentro il Parlamento. Ma anche le “imprese che non possono delocalizzare” e che quindi devono stare attente al mercato interno si ritrovano davanti problemi irrisolvibili e che questo governo non ha interesse a risolvere. Squinzi rappresenta soprattutto quest'anima.
Intorno al governo Monti e alla sua sintonia con i poteri decisionali a livello europeo (e transatlantico), si è stretto un cordone di protezione, anzi un cerchio di ferro, che non ammette dissonanze, neanche nei piani inferiori dei poteri forti. Tant’è che lo stesso Monti, conversando amabilmente in uno splendido giardino provenzale, ha lasciato intendere che non disdegna l’idea di rimanere al potere anche dopo le elezioni del prossimo anno. Ciò significa che a quel "posto lì" non potrà andarci neanche un Bersani, ma solo personaggi assolutamente integrati con l'establishment sovranazionale.
E’ evidente come il garante politico e istituzionale di questo governo unico delle banche sia il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’ultima entrata a gamba tesa sulla riforma elettorale che va fatta subito, costi quel che costi. Al confronto, le “picconate di Cossiga” erano amichevoli suggerimenti.
Una riforma elettorale approvata a maggioranza, che premia i partiti disposti ad assicurare la continuità del governo Monti anche dopo il 2013, potrebbe essere definita anche come un golpe senza spargimento di sangue. I partiti esclusi e penalizzati dalla nuova legge sarebbero costretti a concorrere alla vita politica del paese con una o anche due mani legate dietro la schiena. L’obiettivo dichiarato è buttar fuori in modo permanente le rappresentanze politiche “inaffidabili” rispetto ai “programmi” prescritti dalla troika (Bce, Ue, Fmi). Fuori anche da un luogo svuotato di qualsiasi potere decisionale, ma tutto sommato indispensabile per salvare le apparenze della democrazia formale. Neanche il “diritto di tribuna”, insomma. Non si sa mai come potrebbe esser usato...
Se il governatore della Bce Draghi qualche mese ha mandato in soffitta il “modello sociale europeo”, incompatibile con la competizione globale del XXI Secolo, il cerchio di ferro tra Monti, Napolitano ed eurocrazia sta mandando invece in soffitta la democrazia rappresentativa conosciuta dal primo dopoguerra ad oggi.
Come mettersi di traverso? Sicuramente definendo uno spazio e un soggetto politico alternativo e conflittuale a quello oggi dominante e che vorrebbe rimanere tale anche dopo le elezioni del 2013.
Con la nuova legge elettorale, diversi soggetti saranno costretti ad essere indipendenti dal Pd e dalle sue scelte strategiche. Tale definizione di campo, dunque, appare dunque ormai la condizione minima, ma non più sufficiente, a delineare un progetto politico alternativo e fondato sugli interessi popolari. I contenuti e la pratica del conflitto saranno quelli che faranno la differenza, a cominciare dal fatto se si vuole rimanere o meno ingabbiati nell’Eurozona fino al non pagamento del debito e alla nazionalizzazione di banche e industrie strategiche come punto di discrimine tra alternativa e subalternità.

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