Sono quelli della greca, lo strano ghirigoro che sta sotto le stellette, da una a quattro. E sono davvero tanti, almeno in Italia: 480 secondo i dati pubblicati dal Conto annuale del Tesoro 2010 della Ragioneria generale dello Stato. Ma poi ci sono quelli delle torri con tre stelle, anche loro un’enormità: 2342. In tutto ci sono dunque 2822 tra generali (le greche) e colonnelli (le torri). Considerando che, sempre secondo il documento della Ragioneria, i militari italiani sono 182.336, abbiamo la bellezza di un generale ogni 381 militari e un colonnello ogni 78.
Un numero molto alto, anche rispetto al totale degli ufficiali delle
tre forze armate, che sono in tutto 21.544 (sempre secondo lo stesso
Conto annuale) cioè un generale o colonnello ogni 8,5 ufficiali.
A confronto con gli Stati Uniti queste cifre dovrebbero far arrossire (di vergogna, come si diceva una volta). Le forze armate dello zio Sam contano 1.417.730 donne e uomini (dato 2010) e hanno in tutto 984 generali da 1 a 4 stelle, cioè un generale ogni 1440 uomini.
Appena il doppio di generali per un esercito quasi otto volte più
numeroso del nostro. Un po’ meno sbilanciato il raffronto dei
colonnelli. Dall’altra parte dell’Atlantico sono 12.229, cioè uno per
116 militari di tutti gli altri gradi. Comunque sempre imparagonabile
(piccola nota: i civili americani sono 919.254, uno ogni 2,54 militari, a proposito quanto scrivevo in un mio precedente articolo)
Anche la Germania non scherza. Là i generali sono appena 202, uno ogni 980
donne e uomini in divisa considerando che la Bundeswehr, con organici
di 198 mila militari, non è molto più grossa delle nostre forze armate.
La Gran Bretagna è apparentemente messa male come noi:
496 generali, cioè uno ogni 386 militari. Non a caso, nell’ultimo piano
di riduzione della spesa militare, ne è previsto un sostanzioso taglio.
Ma i colonnelli sono la metà, appena 1220.
Per di più, rispetto al totale degli ufficiali, i rapporti sono molto
più equilibrati, considerando che da loro sono 31.930, il 50 per cento
in più che da noi. Dunque c’è un colonnello o generale ogni 19 ufficiali
contro i nostri 8,5.
Insomma, la classica piramide rovesciata
di cui parlavano già negli anni Settanta i pochi studiosi italiani di
sociologia militare. Adesso non ne parla più nessuno, visto che quasi
tutte le ricerche nel campo sono direttamente o indirettamente
sovvenzionate dal Ministero della Difesa oppure, se non lo sono, non
hanno un accesso facile ai documenti.
Al di là dei numeri, c’è un
altro fenomeno distorsivo tipico delle caste chiuse e autoreferenziali
com’è quella dei militari. Un fenomeno che traspare in tutta la sua
brutale dimensione dai freddi numeri della Ragioneria dello Stato
secondo la quale solo 129 (leggete bene: centoventinove) ufficiali nei
gradi da maggiore in su non godono di “trattamento superiore”:
centoventinove su 12.604, cioè appena l’1,02%. Insospettabilmente, le parole d’ordine del movimento Occupy hanno trovato terreno fertile nelle nostre Forze armate che sono riuscite per prime a invertire la situazione: il 99% è privilegiato, l’uno per cento è escluso.
Che cos’è il “trattamento superiore”? Semplice, se un ufficiale ha più di 13 anni di servizio prende lo stipendio da colonnello, a prescindere dal grado effettivamente rivestito, e quello di generale di brigata se ha più di 25 anni di servizio (articolo 1802 del Codice dell’ordinamento militare).
Considerando che ci si arruola attorno ai venti anni, a 35 anni tutti
sono colonnelli, e a 45 tutti generali. Almeno dal punto di vista dello
stipendio. La giustizia distributiva è arrivata nelle forze armate
italiane già da molti anni e nessuno l’avrebbe sospettato. Non ditelo ai
precari.
Difficile dunque meravigliarsi se l’ammiraglio-ministro Di Paola (che ha dichiarato una pensione del 2011 superiore ai 300 mila euro)
si lamenta che il 70 per cento delle spese del suo ministero finiscono
in stipendi. Tanto più che tra il 2006 e il 2010, nel chiuso dei tavoli
di concertazione generali-ministro, questi ufficiali si sono visti aumentare gli stipendi del 27% per la Marina, del 18% per l’Esercito,
mentre i volontari in servizio permanente si sono dovuti accontentare
del 9% o poco più e i civili hanno visto le retribuzioni diminuire fino
al 3,15% (relazione della Ragioneria generale dello Stato alla Comissione difesa del Senato). Una perfetta ingiustizia distributiva.
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