Sono entrate nel lessico mediatico di questa stagione drogata
dall'ideologia liberista due formule infami. La prima, propinata un
giorno sì e l'altro pure dalla Bce, è l'intimazione di “fare i compiti a
casa”, che allude ad imperativi indiscutibili, per troppo tempo elusi
da cicale pigramente appollaiate sull'albero della cuccagna, dedite a
consumare ciò che non producono e a vivere (ecco un altro luogo comune)
“al di sopra dei propri mezzi”. I compiti a casa sono in realtà posti
tutti a carico di quanti sgobbano senza tregua per raccattare i propri
deboli “mezzi”, ormai neppure sufficienti ad assicurare loro almeno la
sopravvivenza. Il volgare eufemismo “fare i compiti a casa” significa,
semplicemente, sbaraccare ogni forma di protezione sociale
universalistica, ogni pezzo di welfare espressione di diritti che la
Costituzione vorrebbe garantiti e protetti.
“Fare i compiti a casa” vuol
dire, ancora, privatizzare tutto ciò che può essere ridotto a merce e
messo sul mercato per essere acquistato da un pubblico solvibile,
pagante.
La seconda formula, di cui Angela Merkel detiene il copyright,
dice: “Nessun pasto è gratuito”, dove il rovesciamento della realtà è
diametrale poiché i parassitati sono lì trasformati in parassiti e gli
sfruttati spacciati per ingoiatori ad ufo di risorse. Dei ricchi,
invece, non si può né si deve parlare, se non per dire che se tali sono
diventati è per merito proprio, non per una congiura ordita contro i
poveri. Dunque, “crepi chi non ce la fa”, perché ognuno è responsabile
delle proprie disgrazie. Con questo epitaffio sulla solidarietà sociale e
sulla Costituzione si chiude un'epoca e se ne schiude un'altra dove
barbarie sociale, spoliazione democratica e modernità tecnologica si
fondono come nelle più ardite fantasie letterarie e cinematografiche,
dove cessa ogni forma di diritto e dove la sola legge operante in via di
fatto è il mantra competitivo che recita “Mors tua vita mea”,
direttamente dettato dai proprietari universali saldamente insediati in
plancia di comando.
Si tratta, a ben vedere, dell'applicazione delle teorie elaborate nei
primi anni '70 del secolo scorso da Milton Friedman (insignito per
questo del Premio Nobel per l'economia) e sperimentate dalla Scuola di
Chicago nel Cile di Augusto Pinochet assurto al potere dopo avere
liquidato il governo di Salvador Allende con un colpo di stato
organizzato in partnership con gli Stati Uniti. Teorie che ora sono
divenute, sotto forma di scienza economica, il Verbo che ispira la
politica europea in gran parte del vecchio continente: la cavia è stata
la Grecia, ora tocca alla Spagna e l'Italia è lì, ad un passo soltanto.
Per mandare a compimento questo disegno occorrono due condizioni: da una
parte un consenso di massa, convinto o passivo che sia, alla tesi che
“non c'è alternativa” (letterale citazione dell'acronimo T.I.N.A, “There
is no alternative”, desunto dalle regole d'oro fondate dalla Trilateral
Commition) e che le classi subalterne vivano in uno stato di totale
spaesamento e depressione; dall'altra che i ceppi resistenti ancora
attivi e potenzialmente pericolosi siano del tutto inertizzati, messi
nelle condizioni di non nuocere. Questo lo si fa in primo luogo usando
la forza, in senso proprio, distruggendo la contrattazione collettiva,
secondo gli insegnamenti di Von Hayek (ecco un altro genio insignito del
Premio Nobel!), mutilando il potere di coalizione dei lavoratori,
cacciando i reprobi e i sindacati non addomesticati dalle fabbriche,
nonché reprimendo con la violenza ogni focolaio di opposizione che si
manifesti nel Paese. Ecco perché Monti e Marchionne, per usare
l'espressione più sintetica, rappresentano le due facce, perfettamente
complementari, di un'identica politica: il colpo inferto, manu militari,
ai lavoratori, la manomissione dell'intero impianto giuslavoristico e
la demolizione del welfare. E poi lo si fa mettendo al lavoro un
esercito di maitre a penser, di spin doctors, di giornalisti embedded, di
esperti catechisti e apprendisti catecumeni, tutti impegnati in una
colossale manipolazione mediatica, diretta ad istillare la convinzione
che “ciò che è reale è assolutamente razionale” e che opporvisi è una
passione pericolosa, oltre che inutile.
Sarebbe un errore letale sottovalutare quanto questo autentico,
quotidiano bombardamento eserciti – anche su individui dotati di spirito
critico e personalità indipendente – una funzione disciplinatrice del
pensiero che si scopre prigioniero di tabù e di insospettabili
recinzioni ideologiche. Sembrerebbe lecito pensare che una
compromissione così estesa di diritti, di condizioni materiali e
aspettative di vita spalancasse gli occhi anche di coloro che sono a
lungo rimasti tramortiti dalla rapidità con cui si è consumata
un'offensiva così devastante, per il successo della quale – è bene
ricordarlo – erano tuttavia in incubazione tutte le premesse politiche e
sociali. Eppure non è così o, perlomeno, non lo è necessariamente, come
la storia drammaticamente ci ha insegnato. Le botte prese generano una
reazione positiva solo quando si sa da che parte vengono, perché
vengono, come è possibile evitarle e come sia possibile reagire. Ecco
perché fra i nostri compiti più urgenti, insieme alla promozione e alla
condivisione di tutti i conflitti antagonistici, c'è proprio da compiere
questa doppia fatica: disvelare ciò che è occultato e mistificato,
decostruire l'impianto ideologico liberista e ricostruire uno sguardo
critico sulla realtà, condizione perché la proposta di un'altra rotta
sia ritenuta plausibile, convincente, produttrice di lotta sociale e
politica e di un'alternativa fatta non soltanto con le parole, ma con le
forze reali che possono inverarla.
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