Parlare
di meritocrazia in un paese che vanta tra le sue eccellenze Sergio
Marchionne è come organizzare un mondiale di scacchi tra babbuini: una
cosa abbastanza insensata. L’ultima uscita del “vero socialdemocratico”
(cfr: Fassino) che guida la Fiat, cioè l’attacco a un concorrente capace
di vendere macchine in tutta Europa e nel mondo, è più comica che
paradossale. Credevamo che Marchionne fosse un grande sostenitore del
liberismo e del mercato, ed eccolo invece invocare una
«razionalizzazione» del mercato dell’auto in Europa. Tradotto in
italiano: implorare che francesi e (soprattutto) tedeschi facciano e
vendano meno macchine. E’ come se un maratoneta si appellasse al giudice
di gara per chiedere che i concorrenti corrano con la suocera in
spalla, e giustamente il commissario europeo per la concorrenza non gli
ha nemmeno risposto, affidando la questione al suo portavoce, che gli ha
signorilmente riso in faccia («Le intemperanze di Marchionne»…).
Insomma. Prima era colpa della Fiom. La Fiom venne cacciata con un referendum-ricatto e ora nello stabilimento modello de-fiomizzato si va allegramente in cassa integrazione. Poi fu colpa della crisi e del mercato, ma intanto i concorrenti vendevano più macchine di lui. Allora fu la volta dei concorrenti: come si permettono di produrre e vendere, addirittura di fare una politica dei prezzi? Dove credono di essere, su un libero mercato?
Ora, immaginiamo lo staff di Sergio Marchionne al lavoro per elaborare altre ardite teorie. Tipo prendersela con le strade: «Se fossero tutte in discesa le nostre macchine andrebbero meglio!». Oppure con le curve: «Se non ci fossero potremmo fare a meno del volante!». Aspettiamo con ansia, certi che qualche colpevole si troverà. Al momento, Marchionne guida la Fiat con esiti disastrosi da sette anni, l’unico segno più che si ricordi è quello delle sue stock options. E questo sarebbe niente, se non dovessimo anche sentirci recitare ogni giorno come il rosario la ridicola tiritera sulla meritocrazia.
Insomma. Prima era colpa della Fiom. La Fiom venne cacciata con un referendum-ricatto e ora nello stabilimento modello de-fiomizzato si va allegramente in cassa integrazione. Poi fu colpa della crisi e del mercato, ma intanto i concorrenti vendevano più macchine di lui. Allora fu la volta dei concorrenti: come si permettono di produrre e vendere, addirittura di fare una politica dei prezzi? Dove credono di essere, su un libero mercato?
Ora, immaginiamo lo staff di Sergio Marchionne al lavoro per elaborare altre ardite teorie. Tipo prendersela con le strade: «Se fossero tutte in discesa le nostre macchine andrebbero meglio!». Oppure con le curve: «Se non ci fossero potremmo fare a meno del volante!». Aspettiamo con ansia, certi che qualche colpevole si troverà. Al momento, Marchionne guida la Fiat con esiti disastrosi da sette anni, l’unico segno più che si ricordi è quello delle sue stock options. E questo sarebbe niente, se non dovessimo anche sentirci recitare ogni giorno come il rosario la ridicola tiritera sulla meritocrazia.
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