Sì che ci sono, i soldi…
di Vicenç Navarro, Professore di Economia Applicata e di Scienze Politiche e Sociali; da: Pùblico.es; 20/7/2012
Durante il dibattito parlamentare che ha avuto luogo alle Cortes spagnole (il parlamento, n.d.t.)
per la
presentazione da parte del presidente Rajoy delle misure che il suo
governo si apprestava a prendere, il ministro delle Finanze e
dell’Amministrazione pubblica del governo spagnolo, Cristòbal
Montoro, ha detto che queste erano necessarie perché lo Stato
spagnolo “non aveva più denaro”, punto sottolineato dallo
stesso Rajoy quando ha sottolineato che lo stato del debito
pubblico in Spagna aveva raggiunto livelli inaccettabili che hanno
costretto a prendere misure eccezionali, poiché il governo considera
l’abbassamento del deficit la sua priorità numero uno. Il
presidente ha anche affermato che tale abbassamento è la condizione
indispensabile per uscire dalla crisi, poiché solo con questo
abbassamento si recupererebbe la fiducia dei mercati finanziari e
la Spagna potrebbe tornare a ricevere prestiti di denaro a interessi
più bassi.
E’ sorprendente che l’amministrazione Rajoy continui a
ripetere questa credenza (una credenza basata più sulla fede che
sull’evidenza) quando tutti i dati raccolti mostrano quanto sbagliati
siano i presupposti su cui si basa.
Ma prima di mostrare questi dati, è importante sottolineare,
una volta di più, cosa hanno in comune i paesi su cui oggi si è
intervenuti – Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda. Questi hanno
tutti Stati poveri (la loro spesa pubblica, compresa la spesa
sociale per abitante, è delle più basse dell’Eurozona), con basse
entrate dello Stato (tra le più basse dell’Eurozona), poco
redistributivi (tra i meno redistributivi dell’Eurozona) e basati su
una fiscalità altamente regressiva (tra le più regressive
dell’Eurozona).
Il fatto che tutti questi paesi abbiano questi punti in comune
è che tutti hanno un contesto politico simile. Durante la loro storia
recente (gli ultimi cinquant’anni) le forze
conservatrici hanno avuto un’enorme influenza sui loro Stati. Sono
stati governati per decine di anni da partiti ultraconservatori. Il
contrasto con i paesi scandinavi (che possiedono gli Stati
più sviluppati, con le maggiori politiche distributive e politiche
fiscali più progressive nell’Unione Europea) si basa sul fatto che i
quei paesi le forze progressiste sono state dominanti nella
vita politica, al contrario dei paesi su cui si è intervenuti.
Si potrebbe argomentare che la Spagna, come anche quei paesi,
ha uno Stato povero perché è un paese povero. Ma i dati non evidenziano
questa situazione.
Il PIL pro-capite è il 94% della media UE-15, e invece la
spesa pubblica rappresenta solo il 72% della media della UE-15 In
realtà, se fosse del 94%, la Spagna spenderebbe 66.000 milioni in
più nel suo settore pubblico e nel suo sotto-finanziato Stato del
welfare (tanto nei trasferimenti quanto nei servizi pubblici). Ma non li
spende, non perché non esistono. Esistono eccome. Il
fatto è che lo Stato non li raccoglie. E qui è il punto chiave di
cui non si parla.
La regressività della politica fiscale è ciò che la Spagna ha
in comune con tutti i paesi su cui si è intervenuti. Hanno dovuto
chiedere denaro in prestito perché lo Stato non ne raccoglie
abbastanza.
Ma quello che è ancor peggio è che durante i periodi di
“buona” (stimolati dalla bolla immobiliare) lo Stato spagnolo ha
abbassato varie volte le imposte, abbassamento che ha favorito
soprattutto le rendite elevate, quelle che acquisiscono la
maggioranza delle loro entrate dalla proprietà di capitale. Questo
abbassamento delle imposte ha determinato – secondo quanto indica il
FMI – niente meno che la metà del debito strutturale dello Stato,
deficit che si è mantenuto nascosto durante l’espansione economica per
l’elevata crescita di entrate dello Stato, apparendo,
invece, in tutta la sua crudezza quando il boom è scoppiato.
E ora lo Stato deve chiedere denaro in prestito alle banche
(dove i super-ricchi depositano le entrate acquisite in conseguenza
dell’abbassamento delle loro imposte), dovendo pagare
interessi per averlo, denaro che avrebbe potuto essere acquisito se
non si fossero abbassate le imposte.
E qui sta il problema su cui si fa più silenzio sui media e nei dibattiti.
E’ stato un peccato che nessuno di coloro che hanno
partecipato al dibattito alle Cortes spagnole abbia fatto le seguenti
domande al presidente Rajoy:
-perché lo Stato spagnolo ha deciso di congelare le pensioni
per ottenere 1.200 milioni di euro invece di rovesciare l’abbassamento
dell’imposta di successione, con cui avrebbe potuto
ottenere quasi il doppio delle entrate (2.552 milioni)?;
-oppure, perché invece di tagliare niente meno che 7.000
milioni nella sanità, il governo non ha eliminato la riduzione
dell’Imposta sulle Società alle imprese che fatturano più di 150
milioni di euro all’anno, cioè meno dello 0,12% di tutte le imprese,
con cui avrebbero ottenuto più di 5.600 milioni di euro?;
-o perché ora ha istituito il co-pagamento (la concorrenza dei pazienti al pagamento delle prestazioni sanitarie,
n.d.t.) invece di aumentare le imposte ai fondi SICAV e agli utili speculativi?;
-oppure, perché vuole aumentare l’IVA in questo momento di
recessione, cosa che toccherà i settori popolari, invece di aumentare
l’Imposte sulle Società al 35% per le società che guadagnano
più di un milione di euro all’anno, con cui potrebbe ricevere altri
14.000 milioni di euro?;
-o perché vuole distruggere posti di lavoro nei servizi
pubblici invece di fissare imposte sulle transazioni finanziarie, che
porterebbero alle sue casse – come ha segnalato il sindacato dei
tecnici del Ministero delle Finanze – 5.000 milioni di euro?;
-oppure, perché invece di obbligare le Comunità Autonome a
tagliare il welfare, non riduce di dieci punti l’economia sommersa, cosa
che porterebbe 38.500 milioni di euro?
Sono queste le domande che avrebbero dovuto essere fatte e non
sono state fatte. Rajoy non avrebbe potuto rispondere e sarebbe stato
così chiaro che, al contrario di quello che si dice, sì
che ci sono alternative, e sì che ci sono i soldi.
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