Pubblica amministrazione, ecco perché non passa il tetto alle pensioni
Sforbiciando gli assegni della previdenza pubblica si potrebbe risparmiare 2,3 miliardi nel pubblico. Altri 15 potrebbero arrivare se la norma fosse estesa al privato. Ma il governo ha bloccato il tetto di 6mila euro/mese inizialmente proposto. Che andrebbe a colpire molti tra coloro che oggi decidono dove e cosa tagliare
Il governo, lo stesso che si appresta a sforbiciare la spesa pubblica con la spending review e che ha varato la riforma della previdenza, ha detto no all’inserimento di un tetto alle pensioni d’oro.
Perché? Di pensioni a 5 stelle tra i banchi dell’esecutivo ce ne sono
diverse, basta leggere le indennità di diversi ministri e
sottosegretari. Un pacchetto di alti redditi che in parte aiutano a
spiegare la reticenza con cui l’esecutivo ha affrontato finora il tema
dei tetti agli assegni della previdenza pubblica. La lista, del resto,
chiama in causa addirittura il super-commissario ai risparmi, Enrico Bondi. Ma spicca anche un sottosegretario, Gianfranco Polillo, il sospettato numero uno del rinvio della norma.
Non è ancora chiaro, infatti, come sarà il provvedimento che il Consiglio dei ministri è chiamato a varare la spending review (10 miliardi di tagli quest’anno, il doppio nel 2013, per disinnescare la bomba dell’aumento dell’Iva previsto da Berlusconi).
E soprattutto non è chiaro se ci sarà o no un tetto massimo per le
pensioni pagate dall’amministrazione pubblica che l’emendamento
presentato dal deputato Pdl, Guido Crosetto, indicava in 6mila euro
netti mensili. Quell’emendamento è stato ritirato dopo le insistenti
“pressioni” da parte del governo e degli stessi colleghi di Crosetto.
“Smuovi un campo troppo ampio” gli aveva detto in Commissione proprio Polillo. Il sottosegretario sa bene di cosa parla perché è titolare di una pensione di 9.541,13 euro
netti al mese percepita dall’ottobre del 2006 dopo oltre 40 anni di
servizio come funzionario della Camera. A pensar male, ovviamente, si
dovrebbe ritenere che è la propria pensione a indurre a smussare un
provvedimento tutt’altro che simbolico (consentirebbe un risparmio di
2,3 miliardi solo per il pubblico, di 15 estendendolo anche al privato).
Ma questo presupporrebbe un’azione retroattiva del taglio che, a
eccezione dei pensionati comuni (ai quali hanno bloccato l’adeguamento
all’inflazione per gli assegni superiori ai 1.400 euro), come gli
esodati, non si dà mai nella legislazione italiana. Forse si tratta
invece di una mera rappresentanza di un interesse “di casta”.
Se però si volesse capire chi potrebbe effettivamente essere beneficiato dal mancato tetto, ecco il nome di Elsa Fornero.
Il ministro del Lavoro che in pensione ancora non ci è andata ma che
gode di una lunga carriera a cui aggiunge importanti consulenze e
incarichi prestigiosi. Nel 2010 ha dichiarato un reddito di 402mila
euro lordi annui, per cui non è difficile prevedere per lei una
pensione al limite della soglia Crosetto. Ma quanti altri “cloni” di
queste figure potrebbero essere salvati? Ancora altri esempi, magari
proprio considerando l’estensione al privato: il ministro della
Giustizia, Paola Severino, ha dichiarato nel 2011 oltre 7 milioni di euro. Il suo collega allo Sviluppo Corrado Passera, oltre 3,5 milioni. Per non parlare di Piero Gnudi, con una dichiarazione dei redditi da 1,7 milioni. Legittimo attendersi che, quando andranno in pensione, saranno ben oltre il tetto.
Prof, generali e grand commis - Diamo ancora un’occhiata alle pensioni di chi è al governo. Il ministro Anna Maria Cancellieri dal novembre 2009 è titolare di una pensione di 6.688,70 euro netti
al mese. È il frutto di una lunga carriera nell’amministrazione
statale, con l’ingresso al ministero degli Interni nel 1972. Il ministro
della Difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, percepisce 314.522,64 euro di “pensione provvisoria” pari a circa 20mila euro mensili. È pubblicata, inoltre, sul sito del governo quella del sottosegretario allo Sviluppo economico, Massimo Vari che percepisce 10.253,17 euro netti
al mese, frutto di una lunga attività di magistrato fino a ricoprire la
carica di vice-presidente emerito della Corte costituzionale. Vari è in
attesa di un’altra indennità per gli anni trascorsi alla Corte dei
conti europea. Così come è pubblicata la pensione di Andrea Riccardi, 81.154 euro lordo annui (circa 4mila euro
al mese) frutto del lavoro di docente universitario. Impossibile da
rintracciare nella dettagliatissima documentazione reddituale del
presidente del Consiglio, invece, la pensione di cui è beneficiario dal
novembre del 2003 pari a 3.330,11 euro netti mensili frutto dell’attività di docente universitario.
Poca
cosa in confronto alle vere pensioni d’oro e poca cosa, soprattutto,
rispetto al reddito superiore al milione di euro dichiarato da Mario Monti nel
2011. Vale la pena di considerare, però, che quella pensione che è
comunque tre volte medici Asl, fino ai 134mila euro annui dei
magistrati. Nella fascia di pensioni superiori ai 4mila euro lordi
mensili ci sono 104.793 persone che si riducono all’aumento del tetto
individuato (non ci sono dati per fasce superiori ai 4mila euro). I
risparmi possono comunque essere molto alti. Basti pensare che
l’incidenza degli stipendi dei dirigenti pubblici arriva spesso al 20%
dei costi sostenuti con punte del 40% nella Sanità (o, per fare un
esempio più piccolo, all’interno della Presidenza del Consiglio).
Del resto, basta guardare la è di 22.307 euro netti al mese (avete
letto bene, ventiduemila euro al mese); la seconda, integrativa, è di
10.465 euro netti mensili. Come se non bastasse ce n’è una terza, di
“soli” 896,38 euro mensili frutto di una pensione “contributiva”. Il
totale è di 33.668 euro netti mensili. Se fosse stabilito un tetto di 5 o
6mila euro, Geronzi dovrebbe rinunciare ad almeno
27mila euro. Si pagherebbero almeno 30 esodati. Un po’ meno se si
ponesse a 10mila euro il tetto consentito per il cumulo degli assegni.
Ma comunque un bel risparmio.
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