La Spending Review rappresenta una botta
terrificante per l’Umbria. Una botta sia per l’economia che per la sua
struttura organizzativa e la sua cultura di Governo. Nella nostra
Regione quasi un occupato su due è un impiegato pubblico, un dipendente
di aziende pubblico – private o di imprese che gestiscono, per conto
degli enti, servizi. A questi vanno aggiunti tutti coloro che lavorano
in aziende che prevalentemente vivono di appalti e commesse pubbliche.
Ed è su questo assetto economico che campa il forte della nostra
economia e cioè il commercio, in continua espansione, e l’artigianato
classico.
La drastica riduzione della spesa pubblica avrà riflessi pesantissimi. Perché i tagli, la razionalizzazione, la diminuzione dei dipendenti pubblici ecc. non produrranno una riconversione produttiva e magari, non clientelare, di queste risorse. Produrranno povertà e basta. Saranno soldi che non saranno più spesi e non saranno più incassati. Faccio un esempio pratico per capire. La cosa che viene considerata più disdicevole per i cittadini è oggi il costo della politica, che non è solo gli stipendi degli eletti e dei nominati, ma anche e soprattutto quello degli abusi e delle immense “corti” che si porta dietro. E’ dunque giusto sforbiciarlo. Si ma non è che quei soldi verranno impiegati per fare progetti di sana e robusta occupazione, per sostenere la ricerca e l’innovazione, per favorire lo sviluppo dei territori. Quei soldi non ci saranno più e basta e avremo solo altre centinaia di disoccupati e meno ricchezza che circola. Il tutto infilato nei pantaloni della nostra struttura provocherà danni maggiori che nel resto del paese, sud compreso. Perché non c’è nessuna valvola di sfogo. L’industria manifatturiera è stata quasi completamente distrutta dalla precedente crisi e non è stata sostituita con niente di simile. L’espansione del pubblico ha contenuto gli effetti. Del resto la frase attribuita all’Assessore Regionale Rossi sulle eccedenze dei forestali in Umbria è illuminante.
“Le acciaierie licenziavano, qualcuno doveva assumere”. E l’hanno fatto quelle Comunità Montane, che oggi sono in liquidazione e i cui dipendenti rischiano di mettere insieme “il pranzo con la cena”. Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno le cinque Comunità Montane avevano (o hanno perché ancora non s’è mica capito se sono state definitivamente soppresse) alle loro dipendenze quasi mille persone. Le quattro “consorelle” liguri, anche loro in liquidazione, ne avevano 120. E la cosa si ingigantirà nei prossimi anni. Perché i tagli veri ci saranno a partire dal 2013. 250 milioni di euro, per la sola regione, non sono uno scherzo. Provate ad aggiungervi tutte le risorse che mancheranno ai 92 comuni, il possibile accorpamento delle Province e la soppressione “forzata” e indifferibile di decine di enti, agenzie e aziende pubbliche e private. All’appello mancheranno diverse centinaia di milioni di euro. In soldoni 600/700 euro per ogni umbro. Euro che imprese, supermercati, centri commerciali, artigiani e affini non incasserebbero più, determinando un effetto a catena le cui ripercussioni potrebbero essere devastanti. Ma la spending non mette in crisi solo l’economia; destabilizza anche la politica. Ci avete fatto caso il Pd non ha fatto barricate sulle pensioni, sulla riforma del lavoro, sull’Imu e sulla baracca di balzelli che sono stati caricati sulle spalle delle famiglie in questi mesi. Ha votato tutto senza battere ciglio facendo passare qualche mugugno per opposizione (e bisogna dire che c’è anche riuscito). Ma sulla Spending Review ha organizzato la rivolta.
Una protesta che è dettata non solo dalle ripercussioni che essa avrà sui servizi ai cittadini, che è un indiscusso merito, ma anche e soprattutto per la messa in discussione della sua capacità di mantenere in vita, anche in maniera ridotta, i sistemi di potere locale, che sono il seme portante del consenso di questo partito. Non è un caso che il segretario provinciale dei democratici di Perugia Rossi abbia usato toni pesantissimi contro la politica del Governo nel corso di una riunione di maggioranza, svoltasi una settimana fa, lasciando allibiti anche i rappresentanti dei partiti della sinistra (Federazione, Sel e Idv) che, da sempre, si oppongono a Monti. E sono gli stessi toni usati dal sindaco di Perugia e da altri amministratori umbri. Stavolta si è andati a tagliare la carne viva. Il futuro, per chi deve gestire la cosa pubblica, si annuncia pieno di rospi da ingoiare e avaro di soddisfazioni. E, cosa più importante, pieno di rischi per la prosecuzione delle singole carriere. Non è quindi un caso che si assista ad un tentativo di fuggi, fuggi dalle istituzioni locali verso Roma. Sono diversi gli esponenti che stanno provando a trovare un posto sicuro alle prossime elezioni politiche. La lista è lunga e va dalle candidature ritenute “istituzionali” come quelle dello stesso sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, degli assessori regionali Rossi, Riommi e Rometti, del capogruppo Pd in Regione Renato Locchi, a quelle, in caso di primarie, dei consiglieri regionali Brega e Chiacchieroni e dei Presidenti delle due attuali Province. Tante proposte che vengono dagli enti, meno quella che molti dirigenti del Pd avrebbero voluto e sostenuto volentieri. Quella di Katiuscia Marini.
La drastica riduzione della spesa pubblica avrà riflessi pesantissimi. Perché i tagli, la razionalizzazione, la diminuzione dei dipendenti pubblici ecc. non produrranno una riconversione produttiva e magari, non clientelare, di queste risorse. Produrranno povertà e basta. Saranno soldi che non saranno più spesi e non saranno più incassati. Faccio un esempio pratico per capire. La cosa che viene considerata più disdicevole per i cittadini è oggi il costo della politica, che non è solo gli stipendi degli eletti e dei nominati, ma anche e soprattutto quello degli abusi e delle immense “corti” che si porta dietro. E’ dunque giusto sforbiciarlo. Si ma non è che quei soldi verranno impiegati per fare progetti di sana e robusta occupazione, per sostenere la ricerca e l’innovazione, per favorire lo sviluppo dei territori. Quei soldi non ci saranno più e basta e avremo solo altre centinaia di disoccupati e meno ricchezza che circola. Il tutto infilato nei pantaloni della nostra struttura provocherà danni maggiori che nel resto del paese, sud compreso. Perché non c’è nessuna valvola di sfogo. L’industria manifatturiera è stata quasi completamente distrutta dalla precedente crisi e non è stata sostituita con niente di simile. L’espansione del pubblico ha contenuto gli effetti. Del resto la frase attribuita all’Assessore Regionale Rossi sulle eccedenze dei forestali in Umbria è illuminante.
“Le acciaierie licenziavano, qualcuno doveva assumere”. E l’hanno fatto quelle Comunità Montane, che oggi sono in liquidazione e i cui dipendenti rischiano di mettere insieme “il pranzo con la cena”. Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno le cinque Comunità Montane avevano (o hanno perché ancora non s’è mica capito se sono state definitivamente soppresse) alle loro dipendenze quasi mille persone. Le quattro “consorelle” liguri, anche loro in liquidazione, ne avevano 120. E la cosa si ingigantirà nei prossimi anni. Perché i tagli veri ci saranno a partire dal 2013. 250 milioni di euro, per la sola regione, non sono uno scherzo. Provate ad aggiungervi tutte le risorse che mancheranno ai 92 comuni, il possibile accorpamento delle Province e la soppressione “forzata” e indifferibile di decine di enti, agenzie e aziende pubbliche e private. All’appello mancheranno diverse centinaia di milioni di euro. In soldoni 600/700 euro per ogni umbro. Euro che imprese, supermercati, centri commerciali, artigiani e affini non incasserebbero più, determinando un effetto a catena le cui ripercussioni potrebbero essere devastanti. Ma la spending non mette in crisi solo l’economia; destabilizza anche la politica. Ci avete fatto caso il Pd non ha fatto barricate sulle pensioni, sulla riforma del lavoro, sull’Imu e sulla baracca di balzelli che sono stati caricati sulle spalle delle famiglie in questi mesi. Ha votato tutto senza battere ciglio facendo passare qualche mugugno per opposizione (e bisogna dire che c’è anche riuscito). Ma sulla Spending Review ha organizzato la rivolta.
Una protesta che è dettata non solo dalle ripercussioni che essa avrà sui servizi ai cittadini, che è un indiscusso merito, ma anche e soprattutto per la messa in discussione della sua capacità di mantenere in vita, anche in maniera ridotta, i sistemi di potere locale, che sono il seme portante del consenso di questo partito. Non è un caso che il segretario provinciale dei democratici di Perugia Rossi abbia usato toni pesantissimi contro la politica del Governo nel corso di una riunione di maggioranza, svoltasi una settimana fa, lasciando allibiti anche i rappresentanti dei partiti della sinistra (Federazione, Sel e Idv) che, da sempre, si oppongono a Monti. E sono gli stessi toni usati dal sindaco di Perugia e da altri amministratori umbri. Stavolta si è andati a tagliare la carne viva. Il futuro, per chi deve gestire la cosa pubblica, si annuncia pieno di rospi da ingoiare e avaro di soddisfazioni. E, cosa più importante, pieno di rischi per la prosecuzione delle singole carriere. Non è quindi un caso che si assista ad un tentativo di fuggi, fuggi dalle istituzioni locali verso Roma. Sono diversi gli esponenti che stanno provando a trovare un posto sicuro alle prossime elezioni politiche. La lista è lunga e va dalle candidature ritenute “istituzionali” come quelle dello stesso sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, degli assessori regionali Rossi, Riommi e Rometti, del capogruppo Pd in Regione Renato Locchi, a quelle, in caso di primarie, dei consiglieri regionali Brega e Chiacchieroni e dei Presidenti delle due attuali Province. Tante proposte che vengono dagli enti, meno quella che molti dirigenti del Pd avrebbero voluto e sostenuto volentieri. Quella di Katiuscia Marini.
Nessun commento:
Posta un commento