Berlusconi torna in campo. La sua storia
poteva dirsi conclusa se si fosse andati a votare dopo la sua caduta. E
invece Napolitano e il Pd hanno offerto, ancora una volta, un assist al
centrodestra. Sostenendo un governo iperliberista e non riuscendo a
configurare un'alternativa, non solo di governo ma soprattutto di
pratica politica.
Questa è la storia di un film già visto. Il film degli ultimi venti anni, pronto a durare all’infinito. Con i protagonisti, sempre gli stessi. E con gli stessi figuranti, la cui unica funzione è votare il barattolino A contro il barattolino B, per poi venir tosati come delle pecore prima dagli uni e poi dagli altri.
Il ritorno del Caimano era più che prevedibile, quasi ovvio per il susseguirsi degli eventi. Berlusconi ritorna in auge adesso col nuovo simbolo (un aquilone tricolore) e nuovo nome al partito, un restyling perfetto. Studiato dalla prima all’ultima mossa, come sempre è avvenuto del resto. E con ottimi risultati (per lui, che si è dimostrato sempre cento volte più furbo dei D’Alema di tutto il mondo).
Quando Berlusconi affermava che non si sarebbe mai più candidato o quando incoronava Angelino Alfano come suo successore (o quando diceva di non vendere Thiago Silva al Milan), sapeva di mentire, come sempre è avvenuto del resto. Aveva tutti contro a novembre scorso, anche all’interno del Pdl. Ecco allora un passo indietro, conscio che nel partito sarebbe stata guerra civile e fratricida. Così è stato. Finché (quasi) tutti, dalla Santanchè a Galan, l’hanno di nuovo acclamato. Hanno invocato il suo ritorno. E lui? «Torno perché gli altri me lo chiedono» (vi ricorda qualcosa?). Più forte che mai. Con il suo harem di donne e politici fedeli intorno, come sempre è avvenuto del resto.
Tutto come prima o quasi: il suo personaggio è in parte compromesso e ha perso appeal e credibilità in Italia come in Europa – tra Minetti vestita da suora, i perizomi di Ruby, gli scandali sessuali e anni e anni di governo contraddistinti dal vuoto cosmico – ma si può sempre riciclare ora come il leader anti-Monti. In versione ultrapopulista, contro l’euro, contro l’alta finanza, contro le banche (sic!). Come sempre è avvenuto del resto.
E qui passiamo alle responsabilità del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del Pd. Non ci voleva la scienza di Marconi per capire che se il Paese non avesse imboccato la strada del voto anticipato, il Cavaliere sarebbe prima o poi ritornato – che poi, a dirla tutta, non se n’è mai andato: il Pdl sostiene questo governo, anche se fa finta di stare all’opposizione.
Andando alle urne a gennaio scorso il centrosinistra (foto di Vasto aperta a Fiom e società civile) avrebbe stravinto le elezioni affossando definitivamente il Caimano, ai minimi storici come consensi. E invece la scelta del Pd – commissionato dal Colle – è stata al contrario di sostenere i tecnici, di entrare in una maggioranza col Pdl (sic!) e soprattutto di essere insieme all’Udc di Casini il più grande sostenitore dell’esecutivo Monti. Un appoggio incondizionato ad un governo iper-liberista in linea con il centrodestra europeo.
Col passare dei mesi, mentre il Pdl tentava sistematicamente di smarcarsi pur votando tutto in Parlamento, il partito di Bersani ha sostenuto con convinzione provvedimenti nefasti come la riforma della Carta inserendo il pareggio di bilancio in Costituzione, la riforma “esodante” delle pensioni, la dismissione dell’articolo 18, la tassazione pure dell’aria, la privatizzazione dei servizi, il colpo di grazia alla sanità pubblica, il licenziamento degli statali che presto avverrà. Un bel biglietto da visita, premiato con uno spread ancora a quota quasi 500.
Nel frattempo la popolarità del governo tecnico – che pur ha il sostegno della stampa mainstream – diminuisce di giorno in giorno di fronte ai continui tagli (altro che «spending review»), con Berlusconi già bello e pronto a scaricare le colpe di Monti sul centrosinistra. In Grecia era già successo: i conservatori di Neo Demokratia portano il Paese sul baratro, il Pasok vince le elezioni ma prosegue con le politiche di rigore, il premier Papandreu si dimette ed invece di andare al voto i progressisti del Pasok decidono di fare un governo di unità nazionale, retto da un banchiere (ricorda qualcosa?). Dopo nemmeno due anni di nuovo il voto: Neo Demokratia, ovvero quella che aveva generato la crisi, è di nuovo al potere. Il Pasok è sì crollato ma è anche recidivo: continuerà sulla strada della Grande Coalizione, finché non sparirà definitivamente.
La destra populista – sta avvenendo in tutta Europa – attribuisce al centrosinistra le politiche europeiste e di austerity. Difatti Berlusconi si ripresenterà sulla scena politica facendo sue battaglie su «patriottismo», «identità nazionale», protezionismo ed euroscetticismo, mettendo in discussione la moneta unica. Altro tema che la sinistra non ha voluto discutere, lasciando intere praterie a Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle. Perché a sinistra l’euro è un tabù, affrontato con un atteggiamento più religioso che politico. E invece anche a sinistra sarebbe stato giusto discuterne.
Chi scrive ha la posizione di Syriza – ovvero restare nell’euro ma rinegoziandone le condizioni con Bce e Fmi – ma una riflessione sulla moneta andrebbe fatta ugualmente visto che lo stesso Paul Krugman (uno dei più grossi economisti al mondo) prevede per il 2013 il crollo della moneta unica.
Il Cavaliere sarà capace di ricompattare il centrodestra su queste posizioni estreme ristabilendo rapporti con La Destra di Storace e la Lega Nord di Maroni. Il nuovo centrodestra, più becero che mai. E allora, grazie Monti, grazie Napolitano, grazie Pd per il gentile regalo.
Finisce qui? No. Gli stessi che hanno sbagliato completamente strategia – la stanno sbagliando dal 1994 – favorendo il ritorno del Caimano invece di andare in pensione invocheranno il «voto utile» contro il berlusconismo.
Ci risiamo. Punto e daccapo: giornali che ricominceranno a riempirsi di novelle Ruby, le mignotte, i provvedimenti ad personam o ad aziendam, la campagna contro la legge sul bavaglio, sulle intercettazioni (a proposito: la chiede anche Napolitano, ma non protesta nessuno), «se non ora quando?», lo sdegno sdegnato che provoca sdegno sdegnato a iosa e così via. Il Pd si presenterà come il partito argine in difesa della Costituzione – che ha già modificato sotto banco –, il Cavaliere darà dei «comunisti montiani» (sic!) ai vari Bersani e D’Alema. Davvero un film già visto. Altro giro, stessa corsa.
PS. Tutte le manovre finora fatte sono state divorate dallo spread e così a dicembre probabilmente ne faranno un’altra, mentre l’aumento dell’Iva è stato solo rimandato al 2013; secondo la società di consulenza Accenture (che si sappia non ha simpatie trozkiste), la riforma pensionistica sta producendo un «effetto boomerang»; Confindustria (che si sappia non ha simpatie castriste) ci fa sapere che «l’economia affonda»; i tecnici del Senato (che si sappia non hanno simpatie no global) spiegano che la «spending review» è un modo carino per raffigurare «tagli lineari» che «metteranno a rischio i servizi». Forse, anche a sinistra, bisognerà abbattere un altro tabù. Ma davvero tra Monti e Berlusconi c’è uno migliore dell’altro?
Questa è la storia di un film già visto. Il film degli ultimi venti anni, pronto a durare all’infinito. Con i protagonisti, sempre gli stessi. E con gli stessi figuranti, la cui unica funzione è votare il barattolino A contro il barattolino B, per poi venir tosati come delle pecore prima dagli uni e poi dagli altri.
Il ritorno del Caimano era più che prevedibile, quasi ovvio per il susseguirsi degli eventi. Berlusconi ritorna in auge adesso col nuovo simbolo (un aquilone tricolore) e nuovo nome al partito, un restyling perfetto. Studiato dalla prima all’ultima mossa, come sempre è avvenuto del resto. E con ottimi risultati (per lui, che si è dimostrato sempre cento volte più furbo dei D’Alema di tutto il mondo).
Quando Berlusconi affermava che non si sarebbe mai più candidato o quando incoronava Angelino Alfano come suo successore (o quando diceva di non vendere Thiago Silva al Milan), sapeva di mentire, come sempre è avvenuto del resto. Aveva tutti contro a novembre scorso, anche all’interno del Pdl. Ecco allora un passo indietro, conscio che nel partito sarebbe stata guerra civile e fratricida. Così è stato. Finché (quasi) tutti, dalla Santanchè a Galan, l’hanno di nuovo acclamato. Hanno invocato il suo ritorno. E lui? «Torno perché gli altri me lo chiedono» (vi ricorda qualcosa?). Più forte che mai. Con il suo harem di donne e politici fedeli intorno, come sempre è avvenuto del resto.
Tutto come prima o quasi: il suo personaggio è in parte compromesso e ha perso appeal e credibilità in Italia come in Europa – tra Minetti vestita da suora, i perizomi di Ruby, gli scandali sessuali e anni e anni di governo contraddistinti dal vuoto cosmico – ma si può sempre riciclare ora come il leader anti-Monti. In versione ultrapopulista, contro l’euro, contro l’alta finanza, contro le banche (sic!). Come sempre è avvenuto del resto.
E qui passiamo alle responsabilità del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del Pd. Non ci voleva la scienza di Marconi per capire che se il Paese non avesse imboccato la strada del voto anticipato, il Cavaliere sarebbe prima o poi ritornato – che poi, a dirla tutta, non se n’è mai andato: il Pdl sostiene questo governo, anche se fa finta di stare all’opposizione.
Andando alle urne a gennaio scorso il centrosinistra (foto di Vasto aperta a Fiom e società civile) avrebbe stravinto le elezioni affossando definitivamente il Caimano, ai minimi storici come consensi. E invece la scelta del Pd – commissionato dal Colle – è stata al contrario di sostenere i tecnici, di entrare in una maggioranza col Pdl (sic!) e soprattutto di essere insieme all’Udc di Casini il più grande sostenitore dell’esecutivo Monti. Un appoggio incondizionato ad un governo iper-liberista in linea con il centrodestra europeo.
Col passare dei mesi, mentre il Pdl tentava sistematicamente di smarcarsi pur votando tutto in Parlamento, il partito di Bersani ha sostenuto con convinzione provvedimenti nefasti come la riforma della Carta inserendo il pareggio di bilancio in Costituzione, la riforma “esodante” delle pensioni, la dismissione dell’articolo 18, la tassazione pure dell’aria, la privatizzazione dei servizi, il colpo di grazia alla sanità pubblica, il licenziamento degli statali che presto avverrà. Un bel biglietto da visita, premiato con uno spread ancora a quota quasi 500.
Nel frattempo la popolarità del governo tecnico – che pur ha il sostegno della stampa mainstream – diminuisce di giorno in giorno di fronte ai continui tagli (altro che «spending review»), con Berlusconi già bello e pronto a scaricare le colpe di Monti sul centrosinistra. In Grecia era già successo: i conservatori di Neo Demokratia portano il Paese sul baratro, il Pasok vince le elezioni ma prosegue con le politiche di rigore, il premier Papandreu si dimette ed invece di andare al voto i progressisti del Pasok decidono di fare un governo di unità nazionale, retto da un banchiere (ricorda qualcosa?). Dopo nemmeno due anni di nuovo il voto: Neo Demokratia, ovvero quella che aveva generato la crisi, è di nuovo al potere. Il Pasok è sì crollato ma è anche recidivo: continuerà sulla strada della Grande Coalizione, finché non sparirà definitivamente.
La destra populista – sta avvenendo in tutta Europa – attribuisce al centrosinistra le politiche europeiste e di austerity. Difatti Berlusconi si ripresenterà sulla scena politica facendo sue battaglie su «patriottismo», «identità nazionale», protezionismo ed euroscetticismo, mettendo in discussione la moneta unica. Altro tema che la sinistra non ha voluto discutere, lasciando intere praterie a Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle. Perché a sinistra l’euro è un tabù, affrontato con un atteggiamento più religioso che politico. E invece anche a sinistra sarebbe stato giusto discuterne.
Chi scrive ha la posizione di Syriza – ovvero restare nell’euro ma rinegoziandone le condizioni con Bce e Fmi – ma una riflessione sulla moneta andrebbe fatta ugualmente visto che lo stesso Paul Krugman (uno dei più grossi economisti al mondo) prevede per il 2013 il crollo della moneta unica.
Il Cavaliere sarà capace di ricompattare il centrodestra su queste posizioni estreme ristabilendo rapporti con La Destra di Storace e la Lega Nord di Maroni. Il nuovo centrodestra, più becero che mai. E allora, grazie Monti, grazie Napolitano, grazie Pd per il gentile regalo.
Finisce qui? No. Gli stessi che hanno sbagliato completamente strategia – la stanno sbagliando dal 1994 – favorendo il ritorno del Caimano invece di andare in pensione invocheranno il «voto utile» contro il berlusconismo.
Ci risiamo. Punto e daccapo: giornali che ricominceranno a riempirsi di novelle Ruby, le mignotte, i provvedimenti ad personam o ad aziendam, la campagna contro la legge sul bavaglio, sulle intercettazioni (a proposito: la chiede anche Napolitano, ma non protesta nessuno), «se non ora quando?», lo sdegno sdegnato che provoca sdegno sdegnato a iosa e così via. Il Pd si presenterà come il partito argine in difesa della Costituzione – che ha già modificato sotto banco –, il Cavaliere darà dei «comunisti montiani» (sic!) ai vari Bersani e D’Alema. Davvero un film già visto. Altro giro, stessa corsa.
PS. Tutte le manovre finora fatte sono state divorate dallo spread e così a dicembre probabilmente ne faranno un’altra, mentre l’aumento dell’Iva è stato solo rimandato al 2013; secondo la società di consulenza Accenture (che si sappia non ha simpatie trozkiste), la riforma pensionistica sta producendo un «effetto boomerang»; Confindustria (che si sappia non ha simpatie castriste) ci fa sapere che «l’economia affonda»; i tecnici del Senato (che si sappia non hanno simpatie no global) spiegano che la «spending review» è un modo carino per raffigurare «tagli lineari» che «metteranno a rischio i servizi». Forse, anche a sinistra, bisognerà abbattere un altro tabù. Ma davvero tra Monti e Berlusconi c’è uno migliore dell’altro?
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