Diciamolo, quelli rubano, fanno i soldi col crimine e poi girano sui
macchinoni e ci sfottono pure. Quelli sono dei parassiti, non pagano le
tasse, ma godono di tutti i benefici dello stato sociale anche più di
voi. Quelli ci mettono le mani nella tasche senza pudore e se li
fermano, se li denunciano, se li arrestano, poi sono subito fuori, i
loro reati vanno in prescrizioni e loro tornano a delinquere come se
niente fosse, certi della loro impunità. Quelli non riconoscono leggi né
regole né istituzioni e organismi dello stato, che irridono e
sbeffeggiano. Quelli condannano i bambini all’ignoranza e alcune delle
loro ragazze si vendono, magari per un cellulare, un gioiello, un paio
di stivali alla moda. Eh si, sarebbe proprio ora di prendere i picconi,
andare a stanarli dalle cucce dove stanno a spese nostre, metterli ai
margini della società. Ecco.
Ma no, fermi tutti. Cosa avere capito? Mica stavo parlando di
amministratori regionali, imprenditori spregiudicati, evasori
inveterati, politici corrotti, banchieri sleali, ministri che negano la
scuola pubblica, esattori incaricati da potenze esterne. E nemmeno di
nipotine eccellenti, di ladri di beni comuni che rivendono a quattro
soldi, di cricche dedite alla malavita disciplinata per legge, in modo
che possano finanziare personalità che si affacciano sulla scena
pubblica.
No, parlavo di altre tribù, di altri “malviventi”, di altri pericoli
per la collettività, parlavo dei rom nella “percezione” e nella
propaganda del Salvini, costretto a contenere il suo esuberante
entusiasmo dichiarando che i loro accampamenti devono essere
necessariamente messi a ferro e fuoco, devono essere beneficamente rasi
al suolo per il bene di tutti, ma, purtroppo, solo dopo aver annunciata
anticipatamente la pulizia etnica, in modo che possano “comprarsi o
affittarsi casa come tutti gli altri”, insomma, lascia intendere, come
gli occupanti abusivi di alloggi, come gli sfrattati messi sul lastrico
da speculatori, immobiliaristi, comuni ed enti strangolati dalle
cravatte dei tagli e del fiscal compact. Anche loro malvisti, anche loro
“fuori legge”, oggetti indiretti di sostegni ingenti stanziati dal
ministro leghista Maroni e da altre figure istituzionali centrali e
periferiche, quelle benevolenze umanitarie che puzzano, quelle si,
visto che inchieste giudiziarie a varie latitudini hanno dimostrato che
erano investimenti promossi per alimentare il brand dello sfruttamento.
Come è avvenuto per gli odiati immigrati, per i poco sopportabili
aspiranti rifugiati, condannati a integrarsi si, purché in quella
tenebra della clandestinità, della marginalità, dell’esclusione,
illuminata dai falò purificatori dei benpensanti, dalle bottiglie
incendiarie dei ragazzi vivaci interpreti del malessere dei probi
cittadini, dai riflettori dei servizi d’ordine pubblici o privati,
incaricati di operazioni di recupero e restituzioni alla civiltà di
territori degradati.
Ai Salvini, come ai sindaci sceriffi a cominciare dal fondatore del
Pd, piace vincere facile. Nella progressiva normalizzazione della
trasgressione, grazie all’assuefazione, alla legittimazione di
comportamenti illegali tramite leggi o in virtù di necessarie rinunce
all’onestà, alla morale, alla giustizia in favore di profitti, potendo
scegliere che diversi da noi colpire, meglio lasciar stare chi sta in
alto, meglio accanirsi su chi è più estraneo, meglio trattare da
criminali i ladruncoli, meglio dare addosso a chi nelle disuguaglianze è
più differente, anche se per lo più è cittadino italiano, per
abitudini, tradizioni, volontà più o meno consapevole, più o meno
indotta, di non appartenere all’autobiografia nazionale, di non
integrarsi.
“Per primi vennero a prendere gli zingari”? Ma no, prendiamoli anche
per ultimi, dopo avere esaurito il business del loro sfruttamento,
perché non c’è migliore obiettivo di loro per una propaganda che si
fonda su paura, razzismo, autoritarismo antidemocratico, sulla perdita
di senso dell’antifascismo e sulla lettura aberrante della storia
resistenziale, sull’esaltazione delle monocrazie, sulla perdita di
rispetto dei valori costituzionali quindi anche di quelli della coesione
sociale, dell’uguaglianza, del lavoro, dei diritti. E vista di buon
occhio, come espressione dell’opposizione preferita, quella che si pone
come impresa della paura, che fa della xenofobia un marchio di fabbrica,
non in difesa di valori e identità di popolo, ma come legittima
autodifesa e esaltazione di un differenzialismo che tuteli gli autoctoni
tramite il rifiuto, il respingimento, la repressione degli “altri”, dei
forestieri, dei diversi e a completamento dell’opera svolta dal
susseguirsi di governi nazionali e locali per incrementare
disuguaglianze, impoverimento del ceto medio e condanna all’esclusione
dei più poveri, affermazione della precarietà, politica del ricatto e
della minaccia, estrazione da dentro e naturale sdoganamento
dell’invidia, del risentimento, dell’istinto alla deresponsabilizzazione
e alla sopraffazione.
E poi, ammettiamolo, gli zingari rubacchiano, fanno petulantemente la
questua, si arrampicano sui bus dove non pagano il biglietto con quei
grappoli di bambini appesi al collo. Insomma fanno in dimensione di
scala quello che fanno ben altri e molti altri e che non vorrebbero
fare, perché anni di esclusione hanno probabilmente rimosso istinti,
fatto dimenticare l’indole, imponendo il conformarsi allo stereotipo,
che a nessuno può piacere stare in accampamenti esposti al gelo e alla
calura, senz’acqua o corrente, dove negli anni è stata mantenuta al
livello più basso possibile la vivibilità in modo da nutrire
emarginazione e isolamento, da favorire la permeabilità a comportamenti
trasgressivi, non poi troppo diversi da quelli dell’ “economia
informale”, come all’insediamento di altri “diversi”, di altre etnie,
quelle sfuggite alle guerre umanitarie e all’importazione di democrazia,
in un perverso gioco di scatole cinesi, con una iniquità dentro
l’altra, una sopraffazione sull’altra, miseri su più miseri ancora,
diseredati che si accaniscono su chi è più disperato. Salvo appunto
fargli passare sopra le ruspe a ogni campagna elettorale.
Si è coronato il sogno della regolarizzazione del razzismo, della sua
accettazione, in un contesto apparentemente democratico, come difesa
necessaria. Basta leggersi – se si supera la nausea, male sempre meno
endemico – la pagina di Salvini sui social network, le migliaia di “mi
piace”, i commenti del popolo amico di Casa Pound.
Comincio a pensare che se un tempo avevamo paura di Berlusconi dentro
di noi, ormai c’è da aver paura di molti “noi” dentro Salvini.
Nessun commento:
Posta un commento