Scegli
una carta dal mazzo che ti sventaglio davanti, guardala, poi rimettila
dentro le altre senza che il prestigiatore la possa vedere. Ma
inesorabilmente il mago, per quanto possiate mischiare tagliare e
confondere le acque, la pescherà dal mucchio: il trucco è semplice e
raffinato, egli vi ha guidato in qualche modo nella scelta della carta,
quindi la conosce già, l’ha scelta, determinata prima ancora che vi
facciate avanti per partecipare al gioco. Una volta finito lo spettacolo
voi pensate di tornare al mondo della solida realtà, qualsiasi cosa si
intenda con questa espressione, ma non vi accorgete che le stesse regole
di illusionismo valgono nell’era della comunicazione. Così accade che
anche chi è consapevole dei trucchi si ritrovi in mano la carta
scelta dai prestigiatori dell’informazione.
Quindi nessuno stupore se anche a sinistra si parli in modo indignato
del default dell’Argentina e dell’agguato delle oligarchie finanziarie
che sono riuscite nell’intento, nascondendosi nelle mutande dello Zio
Sam. Tutto più che giusto, per carità, con un piccolo particolare: che
l’Argentina non è in default né mai lo ha dichiarato perché non è
affatto insolvente. Dunque Standard e Poor’s che tiene in mano le
scritture come in un mosaico bizantino e i quattro evangelisti italiani
del nulla, ovvero Corriere, Repubblica, Stampa e Sole 24ore narrano la
parabola del ritorno del padrone attraverso una bugia non solo formale,
ma anche sostanziale. L’Argentina è assolutamente in grado di pagare gli
interessi dei i suoi titoli, anzi lo vuole fare, ma ne è impedita da un
giudice americano, tale Griesa, 85enne collocato a suo tempo alla Corte
federale da Nixon, il quale in complicità con alcuni fondi speculativi,
ha bloccato i 539 milioni di dollari già trasferiti da Buenos Aires a
New York per pagare le cedole di tutti i creditori (il 93%) che negli
anni scorsi hanno accettato la ristrutturazione del debito dopo il vero
default del 2001, provocato dalla scellerata adesione alle formule e
consigli dell’Fmi. Solo i fondi sciacallo pretendono il pieno rimborso
del valore nominali di titoli acquistati a prezzo stracciato. E il
buon giudice ha sequestrato i fondi in attesa che l’Argentina paghi
agli avvoltoi, il cui caprobranco si chiama Paul Singer, proprietario
della Elliot Capital Management, un miliardo e trecento milioni di
dollari.
I mercati per una volta ci dicono la verità, anche senza volere,
visto che non hanno affatto punito i bond del debito argentino, alcuni
dei quali, direttamente interessati dall’azione giudiziaria con scadenza
2038 hanno quotazioni più alte oggi di quanto non ne avessero in
febbraio. E del resto il Paese sudamericano ha un debito pubblico che è
appena il 50% del Pil, cioè meno di qualsiasi Paese europeo, e dunque
non preoccupa affatto gli investitori assolutamente in sicurezza. E
infatti Buenos Aires potrebbe tranquillamente pagare anche i soldi
richiesti dagli avvoltoi, ma non può farlo perché questo potrebbe
spingere tutti quelli che hanno aderito alla ristrutturazione a fare
marcia indietro e a richiedere l’intero valore nominale, ovvero 150
miliardi di dollari. Questo sì che porterebbe al default.
Naturalmente con il fallimento dell’Argentina è chiaro che nessuno
prenderebbe un fico secco se non in natura e per via traversa ossia
appropriandosi del Paese e di tutte le sue attività. Ed è dunque
ovvio che l’operazione Argentina è di fatto un avvertimento mafioso e
trasversale della finanza globale contro le sovranità nazionali, contro
quei Paesi con un debito alto perché non siano indotti in tentazione
e danneggino per sopravvivere gli interessi degli oligarchi e anche una
sorta di monito contro i Brics e i loro piani di liberasi dall’abbraccio
mortale della finanza occidentale. Perché dentro questa vicenda non c’è
solo un giudice mezzo ottenebrato, ma soprattutto l’impatto ormai
decisivo del lobbismo sia sul congresso che sulle battaglie elettorali
le quali decidono anche della giurisdizione: i modi per evitare questi
esiti sarebbero stati molti, se solo ci fosse stata la volontà politica
di farlo. Tutto questo avrà nel medio termine un effetto contrario a
quello sperato, ma intanto bisogna che l’avvertimento faccia un po’ di
rumore in modo che la minaccia sia credibile. Così nel meraviglioso
mondo dell’oligarchia del denaro e dei suoi megafoni abbiamo una
dichiarazione di default che in realtà non esiste ed è solo una sorta di
nauseante trappola e la negazione invece di un default che c’è come
quello della Grecia: entrambe le carte che abbiamo in mano ci vengono
suggerite dall’illusionista senza che noi ce ne accorgiamo. La mano del
borseggiatore globale è più veloce dell’occhio.
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