sabato 2 agosto 2014

Avvoltoi e bugie sull’Argentina Di ilsimplicissimus


AvvoltoiScegli una carta dal mazzo che ti sventaglio davanti, guardala, poi rimettila dentro le altre senza che il prestigiatore la possa vedere. Ma inesorabilmente il mago, per quanto possiate mischiare tagliare e confondere le acque, la pescherà dal mucchio: il trucco è semplice e raffinato, egli vi ha guidato in qualche modo nella scelta della carta, quindi la conosce già, l’ha scelta, determinata prima ancora che vi facciate avanti per partecipare al gioco. Una volta finito lo spettacolo voi pensate di tornare al mondo della solida realtà, qualsiasi cosa si intenda con questa espressione, ma non vi accorgete che le stesse regole di illusionismo valgono nell’era della comunicazione. Così accade che anche chi è consapevole dei trucchi  si ritrovi in mano la carta scelta dai prestigiatori dell’informazione.
Quindi nessuno stupore se anche a sinistra si parli in modo indignato del default dell’Argentina e dell’agguato delle oligarchie finanziarie che sono riuscite nell’intento, nascondendosi nelle mutande dello Zio Sam. Tutto più che giusto, per carità, con un piccolo particolare: che l’Argentina non è in default né mai lo ha dichiarato perché non è affatto insolvente. Dunque Standard e Poor’s che tiene in mano le scritture come in un mosaico bizantino e i quattro evangelisti italiani del nulla, ovvero Corriere, Repubblica, Stampa e Sole 24ore narrano la parabola del ritorno del padrone attraverso una bugia non solo formale, ma anche sostanziale. L’Argentina è assolutamente in grado di pagare gli interessi dei i suoi titoli, anzi lo vuole fare, ma ne è impedita da un giudice americano, tale Griesa, 85enne collocato a suo tempo alla Corte federale da Nixon, il quale in complicità con alcuni fondi speculativi, ha bloccato i 539 milioni di dollari già trasferiti da Buenos Aires a New York per pagare le cedole di tutti i creditori (il 93%) che negli anni scorsi hanno accettato la ristrutturazione del debito dopo il vero default del 2001, provocato dalla scellerata adesione alle formule e consigli dell’Fmi. Solo i fondi sciacallo pretendono il pieno rimborso del valore nominali di titoli acquistati  a  prezzo stracciato. E il buon giudice ha sequestrato  i fondi in attesa che l’Argentina paghi agli avvoltoi, il cui caprobranco si chiama  Paul Singer, proprietario della Elliot Capital Management, un miliardo e trecento milioni  di dollari.
I mercati per una volta ci dicono la verità, anche senza volere, visto che non hanno affatto punito i bond del debito argentino, alcuni dei quali, direttamente interessati dall’azione giudiziaria con scadenza 2038 hanno quotazioni più alte oggi di quanto non ne avessero in febbraio. E del resto il Paese sudamericano ha un debito pubblico che è appena il 50% del Pil, cioè meno di qualsiasi Paese europeo, e dunque non preoccupa affatto gli investitori assolutamente in sicurezza. E infatti  Buenos Aires potrebbe tranquillamente pagare anche i soldi richiesti dagli avvoltoi, ma non può farlo perché questo potrebbe spingere tutti quelli che hanno aderito alla ristrutturazione a fare marcia indietro e a richiedere l’intero valore nominale, ovvero 150 miliardi di dollari. Questo sì che porterebbe al default.
Naturalmente con il fallimento dell’Argentina è chiaro che nessuno prenderebbe un fico secco se non in natura e per via traversa ossia appropriandosi del Paese e di tutte le sue attività. Ed è dunque ovvio che l’operazione Argentina è di fatto un avvertimento mafioso e trasversale della finanza globale contro le sovranità nazionali,  contro quei Paesi con un debito alto perché non siano indotti in tentazione e danneggino per sopravvivere gli interessi degli oligarchi e anche una sorta di monito contro i Brics e i loro piani di liberasi dall’abbraccio mortale della finanza occidentale. Perché dentro questa vicenda non c’è solo un giudice mezzo ottenebrato, ma soprattutto l’impatto ormai decisivo del lobbismo sia sul congresso che sulle battaglie elettorali le quali decidono anche della giurisdizione: i modi per evitare questi esiti sarebbero stati molti, se solo ci fosse stata la volontà politica di farlo.  Tutto questo avrà nel medio termine  un effetto contrario a quello sperato, ma intanto bisogna che l’avvertimento faccia un po’ di rumore in modo che la minaccia sia credibile. Così nel meraviglioso mondo dell’oligarchia del denaro e dei suoi megafoni abbiamo una dichiarazione di default che in realtà non esiste ed è solo una sorta di nauseante trappola e la negazione invece di un default che c’è come quello della Grecia: entrambe le carte che abbiamo in mano ci vengono suggerite dall’illusionista senza che noi ce ne accorgiamo. La mano del borseggiatore globale è più veloce dell’occhio.

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