mercoledì 10 settembre 2014

Antonio Gramsci, lo straniero made in Italy —  Paolo Ercolani, Il Manifesto

Ha preso il via ieri a Ghilarza la prima scuola internazionale estiva sull’autore dei «Quaderni del carcere». Un’intervista allo storico Gianni Francioni, uno degli organizzatori dell’incontro
Anto­nio Gram­sci, con una forza spe­cu­la­tiva e coe­renza esi­sten­ziale dif­fi­cil­mente egua­glia­bili, è stato colui che ha mostrato al mondo come l’individuo che agi­sce pos­se­dendo una teo­ria che sup­porti tale azione (nesso inscin­di­bile e reci­proco di teo­ria e pra­xis), smette per ciò stesso di essere un ingra­nag­gio di ideo­lo­gie, dogmi e super­sti­zioni che vor­reb­bero degra­darlo da fine a mezzo per scopi che non sono i suoi. Qui ritro­viamo anche il suo mes­sag­gio peda­go­gico. Ne par­liamo con Gianni Fran­cioni, sto­rico della filo­so­fia a Pavia e tra i fon­da­tori della Ghi­larza Sum­mer School, la prima scuola inter­na­zio­nale di studi gramsciani.
Quale ritiene sia il metodo oppor­tuno con cui cogliere l’insegnamento essen­ziale del teo­rico sardo, in un con­te­sto così auto­re­vole e ambizioso?
Come per tutti i «clas­sici», anche Anto­nio Gram­sci può e deve essere letto in ogni epoca e da ogni angolo visuale con la mas­sima libertà. Ciò che la Ghi­larza Sum­mer School (Gss) si pre­figge, è di dare un con­tri­buto affin­ché tutto ciò sia rea­liz­za­bile nelle migliori con­di­zioni. Di più: la Gss aspira a diven­tare il punto di rife­ri­mento degli «studi gram­sciani» nel mondo. Si è discusso molto, qual­che anno fa, su come si dovesse «stu­diare» Gram­sci, oscil­lando tra un approc­cio totus poli­ti­cus e uno, quasi per con­trac­colpo, «depo­li­ti­ciz­zato». Ma è un’alternativa sba­gliata: trat­tare Gram­sci come un clas­sico non signi­fica con­fi­narne il lascito in uno spa­zio boni­fi­cato, paci­fi­cato. Al con­tra­rio, nella Gss rite­niamo che stu­diare i testi di Gram­sci e la loro col­lo­ca­zione nel tempo che fu loro, con gli stru­menti della cri­tica filo­lo­gica e della sto­ria del pen­siero, sia una pre­con­di­zione affin­ché la loro poli­ti­cità possa emer­gere con net­tezza, e il let­tore possa oggi avere tutti gli stru­menti per apprez­zarne il signi­fi­cato. Un’operazione demo­cra­tica, anti-retorica e, se vuole, anti-autoritaria.
In que­sti tempi di anni­ver­sari si stanno cele­brando le figure sto­ri­che del comu­ni­smo ita­liano, a par­tire da Togliatti e Ber­lin­guer. Ma la figura di Gram­sci, tra i fon­da­tori del Pci, non è meno impor­tante, tanto che a livello inter­na­zio­nale si mol­ti­pli­cano gli studi sul suo pen­siero e la sua azione politica.
Cer­ta­mente, anche se su que­sto punto pro­ba­bil­mente occorre distin­guere Gram­sci in quanto co-fondatore del PCd’I nel 1921, suo ri-fondatore nel 1923–26 e infine in quanto autore dei Qua­derni del car­cere. Quest’ultimo Gram­sci, come rico­nobbe Pal­miro Togliatti nel 1964, non appar­tiene sola­mente al Pci ma anche alla cul­tura ita­liana (e oggi pos­siamo senz’altro aggiun­gere euro­pea e mon­diale). È neces­sa­rio anche aggiun­gere che gra­zie a Gram­sci pos­siamo oggi rileg­gere le vicende del comu­ni­smo mon­diale dell’età di Sta­lin sfug­gendo alle clas­si­che alter­na­tive tra mar­xi­smo orien­tale o occi­den­tale, tra Sta­lin e Troc­kij, tra dit­ta­tura e demo­cra­zia. Il pro­getto dei Qua­derni fa emer­gere in modo asso­lu­ta­mente impar­ziale gran­dezza e limiti di quella sta­gione. Un fatto, mi pare, straor­di­na­rio, soprat­tutto se con­si­de­riamo la dif­fi­coltà che un com­pito del genere pre­senta agli sto­rici odierni.
Alcune inter­pre­ta­zioni recenti, a dire il vero sol­tanto ita­liane, hanno pro­po­sto un Gram­sci in forte con­tra­sto con Togliatti e con l’ortodossia comu­ni­sta in genere. Fino a par­lare di un approdo del pen­sa­tore sardo alla teo­ria libe­rale, con tanto di un Qua­derno ine­dito, sapien­te­mente nasco­sto dalla diri­genza comu­ni­sta, in cui egli avrebbe mani­fe­stato tutto il pro­prio dis­senso. Lei cosa ne pensa?
Sul pre­teso mistero del qua­derno scom­parso mi sono pro­nun­ciato pub­bli­ca­mente in un arti­colo pub­bli­cato dal quo­ti­diano «l’Unità» il 2 feb­braio 2012. Lì chia­rivo che il salto di nume­ra­zione dei qua­derni da parte di Tatiana accade per un suo errore mate­riale nel momento in cui, dopo la morte di Gram­sci, intra­prende la cata­lo­ga­zione del suo lascito. Pre­fe­ri­sco non tor­nare sui det­ta­gli di quella spie­ga­zione. Del resto, si può dispu­tare solo se tra i dispu­tanti – come ben sape­vano Ari­sto­tele e dopo di lui gli sco­la­stici – esi­stono comuni pre­sup­po­sti meto­do­lo­gici. In ogni caso, la com­mis­sione per lo stu­dio dei qua­derni gram­sciani, nomi­nata dalla Fon­da­zione Isti­tuto Gram­sci e della quale ho fatto parte insieme a Franco Lo Piparo, Luciano Can­fora, Giu­seppe Cospito, Fabio Fro­sini e Giu­seppe Vacca, è giunta ad accer­tare cir­co­stanze mate­riali che avva­lo­rano la mia tesi: Tatiana com­mette nume­rosi errori nell’etichettatura, torna indie­tro, rinu­me­rando vari qua­derni e finendo per aumen­tare la con­fu­sione. Al di là di que­ste con­sta­ta­zioni, non vedo come si possa soste­nere scien­ti­fi­ca­mente qual­che altra posizione.
Il tema por­tante di que­sto primo anno acca­de­mico riguarda due lemmi cen­trali nel pen­siero di Gram­sci: egemonia/subalternità. Quanto mai attuali in que­sta epoca di ritorno del popu­li­smo e della dema­go­gia. Come li affronterete?
È fon­da­men­tale con­si­de­rare il popu­li­smo e la dema­go­gia «gram­scia­na­mente», cioè come feno­meni impor­tanti, addi­rit­tura cen­trali nella poli­tica del XX e del XXI secolo (per come finora lo cono­sciamo). Come feno­meni, oso aggiun­gere, che richie­dono tutta la nostra ener­gia men­tale per affer­rarne la novità, il signi­fi­cato di novità (come Gram­sci fece negli anni Trenta dello scorso secolo). Detto ciò, non credo che nes­suno di noi imma­gini facili scor­cia­toie che con­du­cano dal testo dei Qua­derni a que­sto nostro mondo «grande e terribile».
In ambito inter­na­zio­nale (area anglo-indiana e anglo-americana) si è andata costruendo un’immagine del pen­sa­tore sardo che fini­sce col resti­tuir­celo for­te­mente cam­biato rispetto a come lo abbiamo cono­sciuto e stu­diato. Come vi col­lo­cate, voi della Scuola, rispetto a que­sto «Gram­sci glo­bale» che sem­bra emer­gere dagli studi stranieri?
Cre­diamo che gli studi gram­sciani deb­bano essere posti su di una base scien­ti­fica: di ciò vi è urgente biso­gno, anche per aiu­tare il «Gram­sci glo­bale» che oggi ritorna in Ita­lia dalle tra­du­zioni inglesi a cam­mi­nare su gambe più solide, e nutrirsi cioè di rife­ri­menti sto­rici meno super­fi­ciali ed estem­po­ra­nei. Ma cre­diamo anche che ciò possa acca­dere se i due ver­santi – sto­rico e teo­rico – sono por­tati a dia­lo­gare e a con­trarre obbli­ghi reci­proci. L’obiettivo che ci pre­fig­giamo è esat­ta­mente questo.
Su quali lemmi vi impe­gne­rete nei pros­simi anni e quali sono, in genere, gli argo­menti e le que­stioni su cui rite­nete che occorra con­cen­trare gli studi rispetto a un pen­sa­tore così cen­trale e con­tro­verso della sto­ria poli­tica e filo­so­fica internazionale?
Gram­sci è senza alcun dub­bio un pen­sa­tore cen­trale nel dibat­tito filo­so­fico e poli­tico inter­na­zio­nale, anche se l’Accademia ita­liana, sem­pre più chiusa nel suo orti­cello con­chiuso, sem­bra non riu­scire ad accor­ger­sene. Abbiamo pre­vi­sto di dedi­care il pros­simo anno alla que­stione dell’ideologia e il suc­ces­sivo alla società civile. Sono argo­menti di cui si dibatte, spesso con scarsa cogni­zione di causa. For­mando i gio­vani ricer­ca­tori di tutto il mondo, la nostra «offi­cina» intende get­tare i semi di una discus­sione e soprat­tutto di ricer­che future che squar­cino il velo delle frasi fatte, e inau­gu­rino, a par­tire dalle nuove forze, una sta­gione anch’essa nuova, all’insegna della sobrietà e dell’antiretorica.

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