Scriveva Paul Krugman alla fine degli anni Novanta (Il ritorno dell’economia della depressione):
«Credo che gli unici veri ostacoli strutturali al benessere del mondo
siano le dottrine obsolescenti che annebbiano la mente degli uomini».
Personalmente non condivido questo ottimismo della ragione illuminista.
Ritengo piuttosto che il problema sia ancora più «strutturale», tocchi
cioè il cuore pulsante della società-mondo del XXI secolo: la ricerca
del massimo profitto. Solo chi considera la società borghese, magari
nella sua versione progressista e keynesiana, il migliore dei mondi
possibili può avere del «benessere del mondo» il basso concetto che
legittimamente possiamo attribuire a Krugman e alla stragrande
maggioranza degli intellettuali e dei politici che governano il mondo,
chi stando al governo, chi stando all’opposizione.
Una volta Max Horkheimer disse che «La smisurata dimensione del
potere diventa l’unico ostacolo che proibisce la veduta della sua
superfluità». Si tratta di conquistare un punto di vista che ci permetta
di vedere la potenziale superfluità del Moloch. Di qui, la necessità di
combattere «le dottrine obsolescenti che annebbiano la mente degli
uomini». A cominciare da quelle che additano alle classi subalterne il
capro espiatorio di turno: la speculazione finanziaria, il politico
corrotto, il tedesco austero e via di seguito.
Sul Foglio
di ieri è apparso un interessante articolo di Stefano Cingolani sulla
crisi che devasta l’Occidente ormai da molti, troppi anni. L’articolo
peraltro non esce fuori dallo schema mainstream che individua
nei fenomeni del mercato – ovviamente a partire dalla iperdemonizzata
speculazione finanziaria – le cause essenziali di questa crisi.
«Dopo il mistero di Fatima, il mistero di una crisi che non finisce
più. Sette anni di impotenza e nessuna ricetta che ha funzionato. Un
rompicapo anche per CIA, FBI e Pentagono. […] In piena estate Cia, Fbi e
servizi segreti del Pentagono hanno riunito i loro esperti di finanza e
mercati per passare in rassegna l’economia mondiale e hanno trovato i
sette sigilli della nuova tempesta perfetta».
Dopo esorcisti, psicologi, guaritori e guru di varia/dubbia
competenza, ecco le barbe finte accorrere al capezzale del Capitale.
Cos’è questa dannata crisi? Dove non è arrivato il rigoroso scienziato
dell’economia arriverà l’agente segreto? Ma sì, tentiamole tutte! Tanto
più che, come scrive sempre Cingolani, «sono trascorsi sette anni di
vacche magre, anzi scheletriche, ma la profezia biblica non si è
avverata, le vacche grasse sono di là da venire, mentre scalpitano di
nuovo i cavalieri dell’Apocalisse».
Se non proprio il sempre procrastinato crollo definitivo (e per
qualcuno ancora inevitabile, sebbene alla lunga…) del Capitalismo,
certamente si va preparando una bella Tempesta Perfetta. Se son
catastrofi, fioriranno.
Stanley Fischer, numero due alla Federal Reserve, uno dei maggiori
economisti sulla piazza, ammette: “Ci sarà una prossima crisi, ma non
sarà identica all’ultima per questo dobbiamo vigilare per prevederla e
cercare di prevenirla”. Si sentono già gli zoccoli sul selciato, i
quattro cavalieri s’avvicinano e noi dobbiamo ancora preparare nuove
lance e nuove corazze». Si salvi chi può! E chi non può? Si arrangi,
come diceva Quelo.
A proposito! Il Bollettino di settembre della BCE fa sapere che «la
crisi è più grave e profonda del previsto». La produzione industriale
del Bel Paese intanto fa registrare un bel -5%; si arriva così a -25%
dal 2007. Allegria, come diceva il defunto mentore di Renzi.
«Preparare nuove lance e nuove corazze»? Vuoi vedere che si sta preparando una bella Terza guerra mondiale.
Quella vera, quella generale, in grande stile, altro che quella a
puntate di cui ha parlato recentemente il Santissimo Papa. Certo,
sarebbe una bella via d’uscita dalla crisi. Ma c’è la dannata bomba
atomica che ci preclude anche questa via maestra! Siamo, con rispetto
parlando, dentro un vero e proprio cul de sac.
Mi servo di questa segnalazione per ricordare a me stesso che la
crisi economica non è una catastrofe naturale, non è un macigno arrivato
sopra le nostre dure (di comprendonio, se mi è concesso dirlo) teste da
chissà dove. La crisi economica è sempre crisi del Capitale, è crisi
del processo di valorizzazione dell’investimento capitalistico, è crisi
del saggio del profitto, è crisi delle leggi che regolano
l’accumulazione capitalistica. È una crisi che come tutti sanno si
abbatte in primo luogo su chi crea profitti in cambio di un salario,
peraltro sempre più magro e precario.
Ecco cos’è questa crisi, e dovremmo tenerlo bene in mente quando dai
mass media ci tormentano parlandoci di questa «sciagura che non vuole
più passare»; tutte le volte che i politici ci chiedono di fare
sacrifici perché «ce lo chiede» l’Europa, l’Italia, la regione, la
città, il condominio, la famiglia, il pianeta, il buon Dio e chissà chi
altri ancora. Siamo tutti sulla stessa barca solo perché chi rema per un
salario ascolta ma non intende, guarda ma non vede. Certo, scopiazzo il
Filosofo.
Eppure, per dirla questa volta col poeta, il discorso radicalmente anticapitalista «merita il rischio di essere creduto». O no? Dite che la risposta forse la conosce solo Quelo. Sì, indubbiamente c’è grossa crisi.
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