Che cosa ha reso così diverse fra loro le dinamiche del mercato
del lavoro nei paesi europei nell’ultimo decennio? E quali politiche
dovrebbe adottare ciascun Governo per modificare la situazione?
L’analisi dei dati suggerisce di guardare ai salari e alla produttività.
Il problema dell’Italia.
IL COSTO DEL LAVORO IN EUROPA
L’immagine che ci viene spesso proposta del mercato del lavoro
in Europa è quella di un’area eterogenea, dove nell’ultimo decennio il
costo del lavoro per unità di prodotto ha registrato dinamiche molto
diverse tra paesi. Mentre è rimasto stabile in Germania,
è fortemente cresciuto negli altri paesi, soprattutto in quelli
dell’Europa mediterranea. E si aggiunge spesso che la crisi
economico-finanziaria in alcuni paesi dell’Eurozona, come l’Italia,
sarebbe fortemente connessa alla struttura del mercato del lavoro.
Queste osservazioni richiedono un’analisi più approfondita, che permetta di comprendere meglio alcune cause delle dinamiche recenti del costo del lavoro in Europa. Partiamo da alcuni dati relativi alle tre maggiori economie dell’eurozona: Germania, Francia e Italia.
Queste osservazioni richiedono un’analisi più approfondita, che permetta di comprendere meglio alcune cause delle dinamiche recenti del costo del lavoro in Europa. Partiamo da alcuni dati relativi alle tre maggiori economie dell’eurozona: Germania, Francia e Italia.
Il grafico 1 mostra le dinamiche del costo del lavoro per unità di prodotto
(Clup) a partire dal 2000 per i tre paesi. Conferma appunto che in
Germania il Clup è rimasto pressoché invariato mentre è cresciuto in
Francia e ancora di più in Italia. L’indicatore non è però sufficiente
per capire i retroscena di dinamiche così difformi.
Il Clup è dato dal rapporto tra il costo del lavoro per addetto (che comprende, oltre alle retribuzioni lorde, i contributi sociali, le provvidenze al personale e gli accantonamenti per il trattamento di fine rapporto) e la produttività per addetto. Pertanto, se per l’impiego di un’ora di lavoro un’impresa spende il 10 per cento più di un’altra impresa, ma da quell’ora di lavoro ottiene il 20 per cento di prodotto in più, a quella spesa più alta per la retribuzione corrisponde un costo del lavoro per unità di prodotto inferiore. Per questo è importante disaggregare il dato della dinamica del Clup nelle due componenti che contribuiscono a determinarla: quella della dinamica dei salari e quella della dinamica della produttività.
Il Clup è dato dal rapporto tra il costo del lavoro per addetto (che comprende, oltre alle retribuzioni lorde, i contributi sociali, le provvidenze al personale e gli accantonamenti per il trattamento di fine rapporto) e la produttività per addetto. Pertanto, se per l’impiego di un’ora di lavoro un’impresa spende il 10 per cento più di un’altra impresa, ma da quell’ora di lavoro ottiene il 20 per cento di prodotto in più, a quella spesa più alta per la retribuzione corrisponde un costo del lavoro per unità di prodotto inferiore. Per questo è importante disaggregare il dato della dinamica del Clup nelle due componenti che contribuiscono a determinarla: quella della dinamica dei salari e quella della dinamica della produttività.
SALARI E PRODUTTIVITÀ
Cominciamo dai salari nominali.
Il grafico 2 mostra come nell’ultimo decennio siano cresciuti
significativamente, e pressoché in egual misura, in Italia e Francia,
mentre l’aumento è stato meno marcato in Germania.
Il tasso di inflazione (grafico 3) è stato tuttavia più alto in
Italia che negli altri due paesi (e maggiore in Francia rispetto alla
Germania), dunque la dinamica dei salari reali è quella
illustrata nel grafico 4: sono cresciuti in Francia, sono rimasti
pressoché invariati in Italia e sono diminuiti in Germania.
Vediamo ora l’andamento della produttività. Anche in
questo caso i dati rilevano differenze interessanti tra i paesi. Il
grafico 5 descrive l’andamento della produttività del lavoro per ora
lavorata (in euro) a partire dal 2000. La variabile misura la quantità
di prodotto ottenuto con l’impiego di un’unità di lavoro. Come ci si
poteva aspettare, in Italia la produttività del lavoro non è aumentata
nell’ultimo decennio (si percepisce semmai un leggero declino).
Tuttavia, in Germania e in Francia è aumentata in egual misura e in modo
costante e significativo. È anche interessante notare come in termini
di livelli, forse un po’ a sorpresa, la produttività del lavoro in
Francia sia più elevata di quella della Germania.
IL CUNEO FISCALE
I differenziali nell’andamento del costo del lavoro possono allora dipendere dal cuneo fiscale,
spesso citato nel nostro paese come la causa dell’eccessivo costo del
lavoro? Il cuneo fiscale rappresenta il divario tra il costo del lavoro a
carico delle imprese e la retribuzione netta in busta paga percepita
dal lavoratore dipendente. Il differenziale è costituito dal prelievo
fiscale, dai contributi previdenziali e sociali a carico del lavoratore e
dell’impresa. Dal grafico 6 si può osservare come negli ultimi dieci
anni in Germania vi sia stata una riduzione del cuneo fiscale (di un
lavoratore single monoreddito) di qualche punto percentuale, che
potrebbe aver favorito la riduzione del costo del lavoro in questo
paese. In Francia e in Italia, invece, è rimasto sostanzialmente
stabile. Quindi è difficile imputare al cuneo fiscale un contributo
significativo all’incremento del costo del lavoro. È inoltre
interessante notare come il suo livello in Italia sia inferiore a quello
degli altri due paesi.
Quali conclusioni possiamo trarre da questa breve analisi? Innanzitutto possiamo farci un’idea più chiara di ciò che ha reso così diverse, da paese a paese, le dinamiche del mercato del lavoro in Europa nell’ultimo decennio. In Italia i salari nominali sono cresciuti parallelamente all’inflazione, lasciando i salari reali invariati, nonostante una produttività del lavoro costante o in lieve declino. In Francia, l’aumento della produttività del lavoro è stato trasferito ai lavoratori, che percepiscono non solo salari nominali, ma anche reali, significativamente più alti. In Germania, l’aumento della produttività del lavoro è stato trattenuto dalle imprese, che hanno quindi guadagnato competitività sul mercato. In sintesi, la divergenza nel costo del lavoro tra i tre Paesi va imputata principalmente al fatto che in Italia la produttività non è cresciuta, contrariamente a quanto avvenuto in Francia e Germania. E mentre in Francia la crescita della produttività ha consentito un incremento dei salari reali, in Germania è stata superiore all’aumento dei salari.
Questi risultati suggeriscono, quindi, che le politiche del mercato del lavoro dovrebbero tenere conto delle differenze interne in merito alle dinamiche salariali e della produttività. Se paesi come la Francia, per esempio, potrebbero ottenere facilmente guadagni di competitività mediante un certo grado di moderazione salariale, il nostro paese sembra avere come unica soluzione la crescita della produttività. L’alternativa sarebbe la riduzione dei salari reali, un’opzione con costi sociali elevati, che non solo non garantirebbe la crescita e lo sviluppo economico del paese, ma potrebbe avere effetti depressivi sulla domanda aggregata.
Un’analisi della dinamica salariale e della produttività all’interno dei vari settori produttivi e tra le varie Regioni italiane potrebbe poi offrire spunti di riflessione interessanti per meglio comprendere le possibili cause della mancata crescita di produttività nel nostro paese, e soprattutto per individuare possibili interventi per stimolarne un significativo e persistente aumento.
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