Difesa.
Il governo Renzi, scavalcando il Parlamento ma di sicuro in accordo col
Presidente della Repubblica, si è solennemente impegnato al Summit Nato
nel Galles ad aumentare la spesa militare italiana
La Dichiarazione finale del Summit – articolata in 113 punti
redatti a Washington dopo aver consultato al massimo i principali
alleati (Gran Bretagna, Germania, Francia) – impegna i 28 membri
della Nato, ai punti 14/15, a «invertire la tendenza al declino dei
bilanci della difesa».
Ciò perché «la nostra sicurezza e difesa dipendono
complessivamente sia da quanto che da come vi spendiamo».
Occorrono «accresciuti investimenti» per realizzare «i nostri
obiettivi prioritari in termini di capacità»: a tal fine «gli
Alleati devono dimostrare la volontà politica di fornire le capacità
richieste e dispiegare le forze che sono necessarie».
Per fornire le capacità richieste resta «indispensabile una
forte industria della difesa in tutta l’Alleanza», soprattutto «una
più forte industria della difesa in Europa e una accrescita
cooperazione industriale attraverso l’Atlantico: gli sforzi della
Nato e della Eu per rafforzare le capacità della difesa sono infatti
complementari».
Il documento ricorda quindi agli alleati che essi si sono impegnati a destinare al bilancio della difesa come minimo il 2% del loro prodotto interno lordo. Finora, oltre agli Usa che investono nel militare il 4,5% del loro pil, hanno raggiunto la soglia del 2% solo Gran Bretagna, Grecia ed Estonia. L’Italia vi destina l’1,2%. Una percentuale apparentemente ridotta, falsata dall’ingannevole parametro spesa militare/pil: in realtà, trattandosi di denaro pubblico, quella militare va rapportata alla spesa pubblica.
Il documento ricorda quindi agli alleati che essi si sono impegnati a destinare al bilancio della difesa come minimo il 2% del loro prodotto interno lordo. Finora, oltre agli Usa che investono nel militare il 4,5% del loro pil, hanno raggiunto la soglia del 2% solo Gran Bretagna, Grecia ed Estonia. L’Italia vi destina l’1,2%. Una percentuale apparentemente ridotta, falsata dall’ingannevole parametro spesa militare/pil: in realtà, trattandosi di denaro pubblico, quella militare va rapportata alla spesa pubblica.
Secondo di dati ufficiali relativi al 2013, pubblicati dalla Nato
nel febbraio 2014, l’Italia spende per la «difesa» in media 52 milioni
di euro al giorno (avete letto bene!). Tale cifra però, precisa la
Nato, non comprende diverse altre voci.
In realtà, calcola il Sipri, la spesa militare italiana
(all’undicesimo posto su scala mondiale) ammonta a circa 70 milioni di
euro al giorno.
Impegnandosi a portare la spesa militare italiana al 2% del pil,
il governo Renzi si è impegnato a farla salire a oltre 100 milioni al
giorno. Qualcuno potrebbe dire «verba volant».
L’impegno non è però formale: la Dichiarazione del Summit
prevede infatti che «gli Alleati verificheranno annualmente i
progressi compiuti sul piano nazionale» in apposite riunioni dei
ministri della difesa e nei futuri summit dei capi di stato e di
governo.
Tutti gli alleati, infatti, dovranno «assicurare che le loro forze
terrestri, aeree e navali siano conformi alle direttive Nato in
materia di dispiegabilità e sostenibilità» e possano «operare
insieme in maniera efficace secondo gli standard e le dottrine Nato».
Ad esempio, poiché il governo Renzi ha impegnato l’Italia (anche
qui scavalcando il Parlamento) a partecipare sia allo
schieramento di forze militari nell’Est europeo in funzione
anti-Russia, sia alla coalizione dei dieci paesi che, ufficialmente
per combattere l’Isis, interverranno militarmente in Iraq e Siria,
dovrà ovviamente essere l’Italia ad assicurare con adeguati
investimenti aggiuntivi la «dispiegabilità e sostenibilità»
delle forze aeree ed altre inviate in quel teatro bellico.
Oltre ad aumentare la spesa militare, il governo Renzi (sempre
scavalcando il Parlamento) si è impegnato a mantenere forze
militari in Afghanistan e a far parte dei «donatori» che
forniranno a Kabul (leggi alla casta dominante) un aiuto economico
di 4 miliardi di dollari annui.
Si è impegnato allo stesso tempo a partecipare a uno speciale
fondo di sostegno per il governo di Kiev, candidato a entrare nella
Nato insieme a Georgia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia,
allargando ulteriormente l’Alleanza «atlantica» ad est.
Questi e altri impegni, assunti dal governo Renzi al Summit Nato,
non solo trascinano l’Italia in nuove guerre e in un sempre più
pericoloso confronto militare con la Russia, ma provocano un
aumento della spesa militare diretta e indiretta che sottrae
ulteriori risorse alla spesa sociale e alla lotta contro la
disoccupazione.
Che cosa si aspetta a fare di questa materia un fronte di lotta
politico e sindacale? Che scendano in piazza i girotondini?
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