venerdì 26 settembre 2014

Cambio di paradigma in Europa

 
crisi-europa-habermasForse è vero che quello che non riu­scì 70 anni anni fa alla Ger­ma­nia con i tanks sta riu­scendo ora con le banks, pas­sate da impu­tate per la crisi a isti­tu­zioni da sal­vare pena il disa­stro finan­zia­rio. Tutto ciò avviene men­tre assi­stiamo agli ultimi ran­toli di un’ideologia neo­li­be­ri­sta che, sep­pur smen­tita dalla mate­ma­tica e dai fatti, con­ti­nua a imporre l’austerità a tutta l’Europa. Ma se si vogliono sal­vare le ban­che senza toc­care i defi­cit pub­blici non esi­ste altra via se non quella di lasciare le ban­che in mano ai pri­vati, tra­sfe­rendo ai pro­prie­tari le risorse per tap­pare i buchi finan­ziari, toglien­dole a tutti gli altri.
Detto altri­menti: si è pre­fe­rito met­tere a rischio povertà milioni di euro­pei piut­to­sto che nazio­na­liz­zare anche per pochi anni la parte meno sana del sistema finan­zia­rio. E i pes­simi conti dell’economia ci danno solo una visione par­ziale della gra­vità della crisi, che fa cadere sì il Pil, ma soprat­tutto fa crol­lare il benes­sere e la qua­lità della vita.
Quella che si pro­fila, se la poli­tica (non solo eco­no­mica) non cam­bia dire­zione in fretta, è una lunga depres­sione, un «decen­nio per­duto», come lo chiama Joseph Sti­glitz qui accanto. A sette anni dall’inizio della crisi, l’Italia e la «peri­fe­ria» dell’Europa potreb­bero aspet­tarsi altri anni di eco­no­mia sta­gnante, imprese che non inve­stono, fab­bri­che chiuse (la pro­du­zione indu­striale è del 25% infe­riore al 2008), disoc­cu­pa­zione record, povertà che si allarga, men­tre il 5% degli ita­liani più ric­chi resta al riparo dei pro­pri pri­vi­legi e i pre­cari di oggi saranno i nuovi poveri di domani.
Ma il vero rischio è che non si colga la pos­si­bi­lità di un cam­bio di para­digma, di un nuovo modo di vivere e di pro­durre. Dob­biamo inven­tarci il futuro, certi che l’economia di domani sarà diversa da quella di oggi.
Quella chesi pro­fila è un’«età ella depres­sione», un modello che mescola declino eco­no­mico e spe­cu­la­zioni della finanza, una pro­du­zione ridotta all’osso e sem­pre più con­trol­lata dalle grandi imprese stra­niere, vec­chi risparmi fami­liari che finan­ziano con­sumi impo­ve­riti, in una società più disu­guale, fram­men­tata, diso­rien­tata. Una miscela esplo­siva. Ma il futuro non è scritto. Se saremo capaci di redi­stri­buire i red­diti e i lavori, pro­muo­vere una società della cono­scenza, pro­durre beni e non merci, insomma creare le con­di­zioni per una società soste­ni­bile, potremo avere un futuro diverso.
È il caso di ini­ziare a chie­dersi se una costru­zione poli­tica come l’euro potrà reg­gersi solo sulla finanza, e che cosa acca­drà in caso di crollo. E ad agire, prima di ini­ziare a con­tare i soprav­vis­suti (eco­no­mici, spero). È urgente dun­que ripor­tare l’attenzione sui pro­blemi reali dell’Europa e dell’Italia. A que­sto è ser­vito l’incontro alla Camera dei depu­tati con Joseph Sti­glitz di mar­tedi scorso e a que­sto serve la con­fe­renza di Euro­Me­mo­ran­dum a Roma che si chiude oggi: cento eco­no­mi­sti di quin­dici paesi diversi che ogni anno pre­pa­rano un rap­porto sulle alter­na­tive pos­si­bili alle poli­ti­che europee.
Pur­troppo di tutto que­sto non pare esi­sta trac­cia nel dibat­tito poli­tico ita­liano o, se c’è, è molto ben nasco­sta. Se le prio­rità del governo di Mat­teo Renzi non fos­sero l’obbedienza alle poli­ti­che di auste­rità, le riforme libe­ri­ste e la can­cel­la­zione dei diritti del lavoro, sarebbe il momento di ascol­tare le voci fuori dal coro. Le idee e le pro­po­ste su come cam­biare rotta in Europa non man­cano. Manca ancora la poli­tica che voglia realizzarle.
 
Mauro Gallegati - il manifesto

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