QUANDO DIFENDERE L’ARTICOLO 18 ERA “STRAORDINARIO” (Salvatore Cannavò).
TUTTI IN PIAZZA.
NEL 2002 IL CENTROSINISTRA MANIFESTAVA AL CIRCO MASSIMO
ASSIEME A COFFERATI. D’ALEMA FIRMAVA CAPPELLINI ROSSI, RUTELLI RIDEVA E
UN BEL PO’ DI “RENZIANI” SFILAVANO COMPATTI.
È
stata la manifestazione più grande di sempre, il “lungo fiume rosso”
che parlava di “speranza” e di “futuro”. Questi i titoli dell’Unità il
giorno dopo il grande corteo della Cgil al Circo Massimo, il 23 marzo
2002, quando il sindacato di Sergio Cofferati portò in piazza tre
milioni di persone per difendere l’articolo 18. Allora era minacciato
dal governo di Silvio Berlusconi e tutto il centrosinistra si ritrovò in
quella piazza per difendere i diritti dei lavoratori. Massimo
D’Alema, allora presidente dei Ds, si spinse a dire che per il
Cavaliere “la sfida con questo sindacato sarà perdente”. Ma le parole di
sdegno anti-padronale e di solidarietà operaista riguardavano tutti, Ds
e Margherita (scontato il sostegno della Rifondazione comunista di
Fausto Bertinotti). Tutti, anche i più fieri avversari di Cofferati si misero dietro il “cinese” della Cgil e si piegarono alla sua dimostrazione di forza. QUEL GIORNO D’Alema autografava cappellini rossi e si appuntava rose rosse sul petto.
Il
presidente dei Ds guidava la delegazione del suo partito insieme a
Piero Fassino, il segretario nazionale, oggi sindaco di Torino e sponsor
indefesso di Matteo Renzi. Mentre allora affermava con nettezza che
“sull’articolo 18 il governo ha fatto
una sciocchezza” e si compiaceva per una “manifestazione serena e
compatta” segno di un “grande movimento di opposizione”. Insieme ai due
dirigenti principali c’erano tutti gli altri esponenti del
centrosinistra: Walter Veltroni, nel frattempo sindaco di Roma, Rosy
Bindi oppure un capogruppo
dei Ds che oggi sta manovrando per essere eletto alla Corte
costituzionale: Luciano Violante. C’era tutta la sinistra di quel
partito, Pietro Ingrao, Fabio Mussi, ma anche i suoi esponenti liberisti
tra cui un Enrico Morando che sfilava in difesa dell’articolo 18 mentre
oggi lo affossa da viceministro dell’Economia del governo Renzi. Quella manifestazione rappresentò l’avvio della riscossa del centrosinistra nei confronti di Berlusconi che portò poi alla vittoria
elettorale, sia pure di misura, del 2006. In quella piazza il
centrosinistra c’era tutto. Se avesse avuto ruoli di primo piano ci
sarebbe stato anche Renzi. C’era, ad esempio, il suo partito di allora,
la Margherita. Il presidente, Francesco Rutelli, ritornò apposta da
Parma, dove era alle prese
con le beghe del congresso nazionale, per poi ritornarci la sera
stessa. Una navetta obbligata da “una manifestazione immensa, forte e
serena”. NON
SI SPOSTÒ invece, Dario Franceschini, che però dal congresso di Parma
sottolineo che quella di Roma era “una rivolta morale sacrosanta” anche
se precisava che non tutto quello che si diceva in piazza era
condivisibile al 100%. Più coraggioso di lui, invece, un democristiano
di lungo corso come Giuseppe Fioroni, oggi messo un po’ in disparte da
Renzi, che attaccava a testa bassa il governo Berlusconi: “Tre milioni
di cittadini che liberamente manifestano il dissenso sono stati additati
come sovversivi. Ora il governo fa marcia indietro. Delle due l’una:
o il governo mentiva quando parlava o mente ora che scrive. O forse
mente tutte e due le volte perché, dal suo insediamento, non ha fatto
altro”. Franco Marini, ex sindacalista e padre nobile dei popolari nella
Margherita era ancora più schietto: “Gratta, gratta, dietro alla faccia
del presidente-operaio viene fuori quella del padrone”. Mentre il più
morbido Paolo Gentiloni, anche lui margheritino e oggi al fianco di
Renzi, sosteneva, dal congresso del suo partito che
“la manifestazione di Roma non è lontana da Parma, non è in contrasto
con il nuovo riformismo”. Anzi: “Quella di Roma è una manifestazione
straordinaria”. Entusiasmo
a piene mani di un gruppo dirigente che presagiva la rivincita anche
se, quel giorno, doveva accettare di mettersi sulla scia del
“massimalismo” della Cgil e dietro la forza di un segretario sindacale,
Cofferati, che dopo quella prova di forza, vinta, tentò di incassare un
risultato politico prendendo la testa dell’Ulivo. Non ci riuscì. Fu
ingabbiato dalle manovre dei D’Alema e Fassino e alla fine scelse di
fare il sindaco di Bologna. Poi venne la seconda volta di Prodi, vennero
altri governi
di centrosinistra fino all’avvento di Renzi che l’articolo 18, forse,
lo cancellerà davvero. Di quella giornata, della foto-ricordo della
sinistra che fu, resta oggi un po’ di mal di pancia nel Pd che proverà a
strappare qualche risultato. Restano scene come quella che andò in onda
sotto il palco del Circo Massimo con la “iena” Enrico Lucci che mette
il microfono davanti alla faccia di D’Alema: “Perché uno è di sinistra?”
“Perché crede nella propria dignità”, fu la risposta. “E perché un
giovane dovrebbe essere di sinistra?” chiede ancora Lucci. “Se non si è
di sinistra da giovani…”, rispose D’Alema. Matteo Renzi non avrebbe
certamente sottoscritto.
Da Il Fatto Quotidiano del 19/09/2014.
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