Per favore, aridatece i puzzoni. Abbiamo nostalgia dei ventriloqui
che avevano più ingegno e più interessi espliciti del pupazzo che parla
in loro nome o in loro memoria.
“Chiamatela svolta per un Paese civile“, tuona il bullo di Palazzo Chigi “ma noi non permettiamo a un
avviso di garanzia citofonato sui giornali o a uno scoop di cambiare la
politica industriale nazionale”. Nella sua invettiva non c’è solo il
sostegno incondizionato a Descalzi, Ad dell’Eni indagato per tangenti
nigeriane, c’è anche l’appoggio senza riserve al suo candidato alle
primarie per la presidenza della Regione Emilia Romagna sotto inchiesta
per le spese pazze. E infatti “L’avviso di garanzia non sia un vulnus
della carriera politica“.
Nessuno si sogna di chiamarla svolta, semmai gradito ritorno al
passato, grazie al taglio delle ferie per le toghe, alle riforme
confezionate senza consultare l’Associazione nazionale magistrati, alla
promozione sul campo dell’avvocato Legnini ai vertici del Csm, per non
parlare della contegnosa sobria discrezione che il Pd, tutto, ha
riservato agli ultimi capitoli del feuilleton processuale di Berlusconi,
del fastidio espresso per gli avvertimenti di tecnici e saggi, di
quelli mai sazi di tramezzini, sulla legge elettorale e sul nuovo
Senato. L’intento, a essere maligni, viaggia su due binari: imbavagliare
le inchieste prima che si trasformino in una “mani Pulite 2”,
intimidendo i magistrati ma soprattutto alimentando con ancora più
pervicacia un pensiero che ci si augura diventi senso comune secondo il
quale è preferibile per ragioni di necessità, di opportunità, di
convenienza, non andare troppo per il sottile, levare gli intralci alla
libera iniziativa, aiutare i poveri imprenditori e manager, quelli della
Fiat, dell’Ilva, del Consorzio Venezia Nuova, angariati da magistrati
del lavoro, braccati da inchieste nemiche del progresso, molestati da
giudici “verdi” e luddisti.
Da Mani Pulite a oggi nemmeno Craxi, nemmeno
Berlusconi si erano spinti tanto avanti a dimostrazione che gli
sguatteri sono più solerti dei padroni, più spericolati anche se non si
muovono per espliciti interesse diretti, ma per salvare la loro
miserabile postazione, per mantenere la divisa di lacchè, per prendersi
gli avanzi di cucina. E d’altra parte non sorprende: la lotta alla
corruzione è diventata un argomento tabù, quella all’evasione una
battaglia che non possiamo permetterci, mentre si tagliano gli
investimenti in sicurezza e dunque nel contrasto alla criminalità per
rafforzare invece l’equipaggiamento militare al servizio del lontano
impero.
L’altra motivazione va ricercata nello smantellamento di tutto
quell’impianto di principi, tutelati anche in sede giudiziaria, che fa
da sostegno morale e giuridico alla Costituzione, per accartocciarla
come carta straccia a cominciare dall’articolo 1, per proseguire nella
valorizzazione di paesaggio, arte e beni comuni, fino alla salvaguardia
delle persone, delle loro attitudini e inclinazioni, della loro
autodeterminazione.
Ma l’infamia più turpe riguarda la rivendicazione che il premier
svergognato sbandiera, quella di voler così recuperare l’egemonia della
politica e dei suoi “addetti” sulle toghe: “Sono cose, dice, che io
sostengo dalle primarie del 2012. Bisogna cambiare pelle: la politica
prima di tutto e basta derive giustizialiste”. Dopo tanta rottamazione
il meccanico vuole rimontare i pezzi della macchina, per farne un
mostro tecnologico con i componenti della destra da combinare con il suo
partito, che aspira ad esserlo, di destra, una destra dinamica,
futurista, tanto che ha imparato a convertire il vizio dell’ubbidienza
cieca in valore moderno e che anche in occasione delle esternazioni del
post-giustizialista tace, dimentico con entusiasmo di essersi retto
per anni sull’antagonismo a quello che più che un alleato dimostra ogni
giorno di più di essere il padrone.
Ma che politica è quella che dovrebbe riconquistare il suo ruolo,
espropriato dalle maledette toghe rosse? Che partiti, alimentati da
finanziatori e sponsor non certo disinteressati, ormai chiusi in enclave
inespugnabili, sarebbero legittimati a testimoniare dei nostri bisogni e
delle nostre aspirazioni e a rappresentarle? Quando è stata promossa
una riforma costituzionale mirata a indebolire la
rappresentatività del parlamento grazie all’azzeramento
politico-istituzionale del senato. Quando il governo si aggiudica
giurisdizione e potere sull’agenda dei lavori parlamentari, inclusa
una ghigliottina perenne. Quando si disegna una legge elettorale
stra-maggioritaria che rende ancora più inaccessibili gli istituti di
democrazia e che riduce la rappresentatività della camera,
puntando tutto sul partito che ha più voti e sullo schiacciamento
delle opposizioni, oltre che sull’esclusione dei soggetti politici
minori. Quando quella maggioranza parlamentare è saldamente nelle
mani del leader, attraverso liste bloccate. Quando nelle pieghe
della cosiddetta riforma della PA una delega legislativa intende
potenziare il primo ministro nell’ambito dell’esecutivo. Quando, tanto
per non sbagliare, si rinnega la concertazione co0n le parti sociali,
in modo che non ci sia contesto nel quale la cittadinanza e i lavoratori
si possano esprimere e contare.
I commentatori che hanno deciso che ogni tanto la critica fa bene
alle vendite e all’audience, lo chiamano autoritarismo soft,
decisionismo light. Ma il panteon del teppista al governo non è
popolato di Fonzie, La Pira, degli U2 e di Kennedy. Macché i suoi numi
sono Craxi, Gelli, Cossiga, Berlusconi. Ma almeno loro erano
ipocriti, almeno qualcuno li votava, almeno qualcuno è morto.
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