Il
progetto di abolire le tutele previste dall’art. 18 non rappresenta
un’innovazione che apre la strada al futuro ma una regressione ad
un’epoca in cui le relazioni industriali erano regolate esclusivamente
dai rapporti di forza a prescindere dal diritto.
Di fronte alle mistificazioni con le quali si tenta di ingannare l’opinione pubblica, occorre precisare che l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori non interviene sulla libertà di licenziamento, che resta regolata dal principio della giusta causa o del giustificato motivo; si tratta di una norma-sanzione che reprime il licenziamento ingiustificato, cioè illegale, eliminandone gli effetti.
L’abolizione dell’art. 18, quindi, non incide sulla libertà di licenziamento (che resta regolata dalla legge), bensì sulla repressione del licenziamento illegale, consentendo ai forti ed ai furbi di sottrarsi all’osservanza delle regole.
Tale sanzione rappresenta l’architrave per la tenuta di tutto l’edificio dei diritti, sancito dallo Statuto dei diritti dei lavoratori, che tutela la dignità del cittadino lavoratore nei confronti del potere privato.
Infatti da lungo tempo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione hanno rilevato che i diritti nascenti dal rapporto di lavoro possono essere esercitati, in costanza di rapporto, soltanto in presenza di un regime di stabilità reale.
Il riconoscimento della dignità del cittadino lavoratore impone che sia assicurata la tutela contro il licenziamento ingiustificato come richiede l’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
La Costituzione italiana assicura il godimento dei diritti di libertà a tutti e garantisce al cittadino lavoratore una serie di diritti (retribuzione adeguata, durata massima della giornata lavorativa, riposo settimanale, ferie annuali e retribuite) che impediscono che la prestazione di lavoro possa essere ridotta al rango di una semplice merce compravenduta sul mercato dei fattori produttivi.
Allo Statuto dei diritti dei lavoratori è stata riconosciuta la funzione di aver fatto valere la Costituzione anche nei confronti del potere privato introducendola in un vasto territorio da cui era stata rigorosamente esclusa.
L’eliminazione della norma che sancisce la tenuta dello Statuto, consegna ai poteri privati la libertà di sottrarsi all’osservanza delle leggi e dei principi costituzionali e trasforma la prestazione di lavoro in una merce, consentendo che venga calpestata al massimo grado la dignità dei cittadini-lavoratori, ed insidiata la libertà delle organizzazioni sindacali sgradite al potere privato, che potranno essere messe fuori dai cancelli della fabbrica, sbarazzandosi dei lavoratori sindacalizzati, come avveniva negli anni 50 del secolo scorso.
Che non si tratti di un pericolo puramente teorico è dimostrato dall’esperienza di questi ultimi anni che ci hanno fatto assistere al tentativo di un potere privato di sbarazzarsi del più forte sindacato metalmeccanico europeo; tentativo che è stato bloccato soltanto per l’intervento del potere giudiziario, che adesso si cerca di disarmare, smantellando le sanzioni per i comportamenti illegali.
Di fronte alle mistificazioni con le quali si tenta di ingannare l’opinione pubblica, occorre precisare che l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori non interviene sulla libertà di licenziamento, che resta regolata dal principio della giusta causa o del giustificato motivo; si tratta di una norma-sanzione che reprime il licenziamento ingiustificato, cioè illegale, eliminandone gli effetti.
L’abolizione dell’art. 18, quindi, non incide sulla libertà di licenziamento (che resta regolata dalla legge), bensì sulla repressione del licenziamento illegale, consentendo ai forti ed ai furbi di sottrarsi all’osservanza delle regole.
Tale sanzione rappresenta l’architrave per la tenuta di tutto l’edificio dei diritti, sancito dallo Statuto dei diritti dei lavoratori, che tutela la dignità del cittadino lavoratore nei confronti del potere privato.
Infatti da lungo tempo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione hanno rilevato che i diritti nascenti dal rapporto di lavoro possono essere esercitati, in costanza di rapporto, soltanto in presenza di un regime di stabilità reale.
Il riconoscimento della dignità del cittadino lavoratore impone che sia assicurata la tutela contro il licenziamento ingiustificato come richiede l’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
La Costituzione italiana assicura il godimento dei diritti di libertà a tutti e garantisce al cittadino lavoratore una serie di diritti (retribuzione adeguata, durata massima della giornata lavorativa, riposo settimanale, ferie annuali e retribuite) che impediscono che la prestazione di lavoro possa essere ridotta al rango di una semplice merce compravenduta sul mercato dei fattori produttivi.
Allo Statuto dei diritti dei lavoratori è stata riconosciuta la funzione di aver fatto valere la Costituzione anche nei confronti del potere privato introducendola in un vasto territorio da cui era stata rigorosamente esclusa.
L’eliminazione della norma che sancisce la tenuta dello Statuto, consegna ai poteri privati la libertà di sottrarsi all’osservanza delle leggi e dei principi costituzionali e trasforma la prestazione di lavoro in una merce, consentendo che venga calpestata al massimo grado la dignità dei cittadini-lavoratori, ed insidiata la libertà delle organizzazioni sindacali sgradite al potere privato, che potranno essere messe fuori dai cancelli della fabbrica, sbarazzandosi dei lavoratori sindacalizzati, come avveniva negli anni 50 del secolo scorso.
Che non si tratti di un pericolo puramente teorico è dimostrato dall’esperienza di questi ultimi anni che ci hanno fatto assistere al tentativo di un potere privato di sbarazzarsi del più forte sindacato metalmeccanico europeo; tentativo che è stato bloccato soltanto per l’intervento del potere giudiziario, che adesso si cerca di disarmare, smantellando le sanzioni per i comportamenti illegali.
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